Riportare nel pubblico ciò che proditoriamente è stato trasferito nel privato
Le vie per risorgere dalla crisi epocale prodotta dal passaggio della sovranità dal popolo al denaro e dalla globalizzazione incontrollata sono nel ritorno alla Costituzione
Paolo Maddalena (3)
Con il titolo: “Popolo territorio proprietà moneta dalle origini alla sovranità del mercato” abbiamo pubblicato il 10 maggio scorso nella sezione “Dice la storia” di questo sito la prima parte di un saggio di Paolo Maddalena, già vice-presidente della Corte Costituzionale, sull’ “uscita dalla crisi attuando la Costituzione”; il 20 maggio nella sezione “Dicono la loro” abbiamo pubblicato la seconda parte dal titolo «Come uscire dalla “fase finale”dell’attuazione del neoliberismo». Quella che segue è la terza ed ultima parte.
1. – Le rovinose prescrizioni dell’Europa. Il Regolamento europeo 1466/97. Il Fiscal compact.
Come si nota, il pensiero neoliberista, che, in nome della cosiddetta globalizzazione, ha fatto di tutto per fondere i capitali e far espandere in tutto il mondo la disoccupazione, ha davvero ridotto allo stremo la situazione economica della nostra Italia. Ma c’è di più. Per l’Italia (come per gli altri Paesi del sud Europa) la finanza ha escogitato un altro “meccanismo” (un vero e proprio “cappio al collo”) ancor più stringente di quello appena descritto, per ridurci alla rovina più completa: si pretende di far diminuire il debito pubblico[1], imponendo il “pareggio del bilancio”, impedendo cioè una politica espansiva dell’economia. Si è cominciato con il Patto di stabilità, adottato dal Consiglio dei Ministri del 16 e 17 giugno 1997, il quale sancisce l’impegno degli Stati membri a perseguire l’obiettivo di medio termine di un saldo, prossimo al pareggio o all’avanzo del conto economico delle amministrazioni pubbliche. A questo fine, ed è qui che sta l’assurdo, si impone un “pareggio” a livello regionale e un “pareggio” a livello nazionale, per cui i singoli enti pubblici, anche se hanno un avanzo di bilancio, non possono spenderlo, perché quegli avanzi servono per “pareggiare”, a livello regionale o nazionale, i disavanzi degli enti meno virtuosi. Si tratta di una vera e propria assurdità foriera di danni per la nostra economia, in quanto si limitano gli investimenti tanto necessari per la “crescita”, e cioè per l’aumento dell’“occupazione”, e per la conseguente “diminuzione del debito”. Si è poi continuato con le prescrizioni della “troika”, cioè del Fondo monetario internazionale (tutto formato da potentissime banche private multinazionali), dalla BCE (formata, a sua volta, da Banche centrali private), e dalla Commissione Europea, che dovrebbe essere la “guardiana” dei Trattati, e che invece favorisce i Paesi economicamente più forti, come, ad esempio, la Germania, che viola, impunemente e da sempre, l’obbligo di denunciare il suo surplus commerciale e la Francia, che sfora da sempre, e anch’essa impunemente, il limite del 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil, raggiungendo il 4,3 per cento e anche il 4,7 per cento di questo rapporto. Quanto al nostro Paese, la Commissione è stata sempre molto rigida pretendendo che i nostri bilanci seguissero pedissequamente le prescrizioni europee e minacciando, ad ogni piè sospinto, una procedura d’infrazione per mancato rispetto dei limiti di Maastricht. Ed è da sottolineare che la Commissione Europea non solo è stata intransigente in ordine ai limiti del predetto Trattato, ma ha consentito al Consiglio Europeo di inserire nel “diritto europeo derivato”, e, quindi, al di fuori dei Trattati, la regola che i Paesi in difficoltà, come il nostro, dovessero assolutamente “pareggiare i bilanci”, senza fruire neppure della possibilità di indebitamento nel limite sopra accennato del 3 per cento del Pil, al fine di deliberare investimenti necessari alla crescita e all’uscita dalla recessione. Ciò si è realizzato con il Regolamento n. 1466/97, divenuto applicabile il 1 gennaio 1999, data del lancio dell’euro[2]. Esso è rimasto in vigore per tredici anni, sino al 6 dicembre 2011. Il Regolamento ha così posto un principio nuovo in netto contrasto con quanto stabilisce il più volte citato Trattato di Maastricht. Quest’ultimo ha stabilito che gli Stati membri possono indebitarsi sino al 3 per cento, il Regolamento 1466/97 ha sostituito questo tre per cento con lo zero per cento. Il successivo Trattato di Lisbona ha riproposto il limite del 3 per cento, ma la Commissione ha continuato ad applicare contra legem il principio del pareggio del bilancio. E’ chiaro che questo Regolamento ha bloccato le potenzialità degli Stati in difficoltà a riprendere vigore ed ha provocato una spirale depressiva senza fine. Il successivo Regolamento 1175/2011 lo ha abrogato, constatando la sua illegittimità. Ma immediatamente si è dato spazio a provvedimenti costituenti applicazione anticipata del Fiscal compact. In tal modo la situazione è diventata ancor più confusa. D’altro canto, è da tener presente che il Fiscal compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance, firmato il 2 marzo 2012, ratificato dall’Italia con legge 23 luglio 2012, n. 114, ed entrato in vigore il 1 gennaio 2013), è un “Trattato di diritto internazionale”, più precisamente un “Trattato intergovernativo”, e, di conseguenza, non ha nessuna influenza su quanto stabilito dai Trattati di Maastricht e di Lisbona in ordine all’euro. Per modificare la disciplina riguardante la moneta unica, occorrerebbe seguire la procedura di cui all’art. 48 del Trattato di Lisbona, non qualsiasi altra procedura. Ad aumentare la confusione, si legge nel Fiscal compact che esso è applicabile soltanto se conforme ai Trattati Europei. Dunque, la conclusione da trarne è che il Fiscal compact non ha una base giuridicamente valida e che pertanto è un atto senza valore. Di conseguenza, il principio del “pareggio di bilancio” non fa parte dell’ordinamento europeo e niente ci imponeva di inserirlo nella nostra Costituzione, come ha fatto il governo Monti. Inoltre, questo inserimento nella Carta costituzionale è contro i principi e i diritti fondamentali che la Costituzione stessa riconosce e garantisce. Si tratta, per esser chiari, di un principio spurio da eliminare al più presto proponendo una questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale. Ciò non ostante i nostri governi continuano a affermare di voler seguire le prescrizioni europee e la situazione economica italiana continua a essere astretta da insostenibili vincoli internazionali e europei. L’esito finale non potrà che essere fatale. Sono in ballo l’appartenenza agli Italiani del territorio italiano e la stessa possibilità di sopravvivenza dell’intero Popolo.
Ciò non significa che dobbiamo rinunciare all’idea di una Europa unita, cioè all’idea di una Federazione europea. Si tratta invece di ricostruire l’Unione Europea sulla base dell’eguaglianza, almeno tendenziale, dei suoi Popoli, cioè degli Stati membri, ai quali bisogna offrire tutte le possibilità per la ricostruzione di una valida economia interna. Entrare nell’euro, cedere la “politica monetaria”, con l’implicita conseguenza di cedere anche la “politica economica”, è stato un errore imperdonabile. Se non si riconquista la “sovranità” in questo campo, sarà impossibile rimettere in sesto la nostra economia. Dunque, non esiste altra via, se non quella di rivedere i Trattati europei, almeno da Maastricht in poi. Intanto il problema centrale diventa quello di stabilire se e come è possibile dare attuazione alla nostra Costituzione e specialmente al Titolo III della Parte prima, dedicata ai “rapporti economici” (artt. 35-47 Cost.). In tali articoli, infatti, è descritto un vero e proprio “programma di governo”, che, per essere fondato su principi keynesiani, è certamente in grado di far riemergere il nostro Paese dalla grave recessione nella quale è stato spinto dagli opposti principi neoliberisti.
- – La prevalenza dei principi e dei diritti fondamentali della Costituzione sul diritto europeo.
A questo proposito, è innanzitutto da precisare che la nostra Costituzione repubblicana, nonostante gli interventi legislativi di governi chiaramente asserviti ai voleri della finanza internazionale (si pensi alla privatizzazione delle banche e dei nostri “gioielli di famiglia”, oppure al poco sopra citato decreto legge del governo Monti sulle liberalizzazioni) mantiene intatta la sua validità ed è impossibile parlare di un mutamento della Costituzione materiale, poiché a detti provvedimenti legislativi costituzionalmente illegittimi non sono seguiti comportamenti dell’intera società, da considerare come espressione di una mutata opinio legis ac necessitatis, ma solo una gravissima recessione, che ha spinto molti alla disperazione e, spesso, al suicidio (sembra che siano più di duemila i suicidi causati da dissesti economici). Molto significativa al riguardo è stata comunque la vittoria del No al referendum costituzionale sulla modifica della Costituzione approvata dal Parlamento su proposta del governo Renzi. Non è dubbio cioè che il popolo sovrano ha voluto mantenere in vita la nostra Costituzione e le ha conferito, anzi, una nuova vitalità, per cui è diventato urgente e indifferibile la sua attuazione specie in quelle parti finora rimaste inattuate.
Ci riferiamo, in modo particolare, al collegamento, che pure esiste in Costituzione, tra i diritti fondamentali e la “prevalenza” che la Costituzione stessa riconosce agli interessi della generalità dei cittadini sugli interessi individuali. Ciò si verifica, sia sul piano dell’attività negoziale, sia sul piano della disciplina della proprietà. Si occupa del primo aspetto il citato art. 41 Cost., secondo il quale “l’iniziativa economica privata è libera (sono le uniche parole che riconosce il decreto legge Monti, dimenticando le successive). Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L’interesse di tutti, insomma, domina su quelli dei singoli. Altrettanto si ricava dal seguente articolo 42, comma 2 (anch’esso citato), secondo il quale “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge … allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. La proprietà privata, insomma, in tanto ha una protezione giuridica (è riconosciuta e garantita) dalla legge, e cioè dalla volontà del Popolo, in quanto giovi, non solo al privato, ma a tutti i cittadini, assicuri cioè la sua “funzione sociale”. Insomma l’interesse del Popolo sovrasta sia l’attività negoziale, sia l’appartenenza della proprietà ai privati. In questo secondo caso è chiaro che si deve parlare, come suggerisce Carl Schmitt, di una “superproprietà del popolo” che si sovrappone e limita la proprietà privata, fino al punto di negare al singolo inadempiente la stessa tutela del suo diritto. In altri termini, la mancata osservanza di questo “munus”, di questo “ufficio”, come dice il Pugliatti[3], implica la perdita definitiva del diritto di proprietà privata e fa in modo che la cosa di cui si tratta torni là da dove era venuta, cioè nella “proprietà collettiva” del popolo, come contenuto della sovranità. Ne consegue ancora che i beni immobili “abbandonati” (e ce ne sono tanti dopo la crisi economica che da anni si è abbattuta sull’Italia), venendo meno la loro “funzione sociale”, passano anch’essi nella proprietà collettiva del Popolo, che dovrà destinarli a usi di carattere sociale[4].
Le disposizioni economiche della nostra Costituzione confliggono, dunque, irreparabilmente, con i Trattati da Maastricht in poi. In questi ultimi Trattati, a causa dell’invadenza della forza della finanza e delle multinazionali e in ossequio al pensiero neoliberista, si sono insinuati a livello europeo dei principi di carattere egoistico (il “massimo profitto” e la “concorrenza”), che sono estranei alle Costituzioni europee del secondo dopoguerra e sono inoltre palesemente in violazione del principio di “integrazione”, che lo stesso art. 4, par. 2 del Trattato di Maastricht, sembra voler perseguire là dove riconosce “le identità costituzionali degli Stati membri”. Ne deriva, come già detto, che occorre una urgente riforma di questi ultimi Trattati e, nel frattempo, ci si deve chiedere se possano o addirittura debbano essere attuati i principi fondamentali contenuti nelle nostre Costituzioni. La risposta è di sicuro segno positivo. Infatti, la prevalenza dei principi e dei diritti fondamentali sul diritto europeo riguarda non solo la Germania, la cui Corte costituzionale ha affermato che il Fiscal compact non può trovare applicazione là dove viene in contrasto con interessi economici costituzionalmente protetti, ma anche l’Italia, la cui Corte costituzionale ha affermato da tempo il “principio dei contro-limiti”, secondo il quale il diritto europeo non può entrare nell’ordinamento italiano là dove è in contrasto con i principi e i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana.
- – Cosa fare? Rappresentanza politica e partecipazione popolare.
E’ chiaro che in una situazione come quella descritta, ciò che viene in primo piano è quel “dovere sacro”, di cui parla l’articolo 52 della Costituzione: “difendere la Patria è dovere sacro del cittadino”. E i cittadini, se sono stati tanto ampiamente traditi dai loro governanti, non hanno altra scelta che ricorrere ai poteri di autogoverno che loro affida la Costituzione: quello di “partecipare” in prima linea “alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2, Cost.), pretendendo l’attuazione degli articoli riguardanti i “rapporti economici”, che prevedono, tra l’altro che “le imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio siano riservate o trasferite allo Stato, a Enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti”. E’ chiaro che in questa azione per l’attuazione della Costituzione ha molto peso anche il ricorso alla via giudiziaria, che i cittadini sono legittimati a utilizzare mediante il promovimento di “azioni popolari”, come prevede l’ultimo comma dell’art. 118 Cost., là dove riconosce “l’autonoma iniziativa di cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”.
Obiettivo fondamentale è rispondere agli errori del pensiero neoliberista globalizzato con la messa in campo di una “politica economica” interna capace di capovolgere l’attuale situazione, riportando nel pubblico ciò che proditoriamente è stato trasferito nel privato. Ed è opportuno ricordare in proposito che dell’attuale disastro cominciano ad accorgersi, non solo buona parte della classe intellettuale[5], ma gli stessi organismi europei, i quali hanno cominciato a essere propensi ad un allargamento degli “aiuti di Stato” per quanto riguarda la “tutela ambientale”, gli aiuti per la “formazione”, gli aiuti alle “piccole e medie imprese”[6]. E grande rilevanza riveste, sotto questo profilo, il progetto di Costituzione europea, il quale, riecheggiando quanto si legge nel citato art. 4, comma 2, del Trattato di Maastricht, dimostra la volontà di dare risalto alle “comuni tradizioni costituzionali europee”. E ciò sotto due aspetti: da un lato per facilitare “l’integrazione” proprio puntando sugli elementi comuni, e dall’altro lato per salvaguardare le diverse “identità nazionali”. E’ difficile riscontrare in questi comportamenti un indizio di cambiamento delle posizioni intellettuali neoliberiste, tali da portare a una svolta radicale nel campo delle politiche economiche, ed è invece molto più probabile ritenere che si tratti di semplici “aggiustamenti” messi in opera proprio al fine di rendere più difficile l’emersione di un pensiero critico alternativo. Resta il fatto, comunque, che l’Unione Europea, così come è stata realizzata, contrasta con i principi fondamentali del vivere civile e soprattutto con il principio dell’eguaglianza politica, economica e sociale, e che, comunque, se davvero si vuole realizzare una “Federazione Europea”, non resta che dar spazio alla diversità dei Popoli e dei territori e fare in modo che l’Europa sia formata da Stati membri diversi, con diverse politiche economiche interne, ma uniti da un interesse superiore a quello degli Stati stessi: l’”interesse europeo”, un interesse che rispecchi le comuni origini culturali e che si proietti verso un futuro migliore proprio attraverso l’interazione e l’integrazione dei diversi Popoli.
In questo quadro, “l’azione concreta” dei cittadini deve essere innanzitutto indirizzata, ripetiamo anche con azioni giudiziarie, a fermare una volta per tutte: la “creazione del danaro dal nulla”, e cioè la “finanziarizzazione” del mercato, le “privatizzazioni”, le “liberalizzazioni”, le “svendite”, e, infine, le “delocalizzazioni” di imprese, al fine di ricostituire quel patrimonio, che è stato così selvaggiamente depauperato. Si tratta, in sostanza di recuperare i due “fattori produttivi” di cui siamo stati spogliati: quello delle “risorse” economiche e naturali e quello del “lavoro”, sul quale si fonda la nostra Costituzione democratica e repubblicana. Va da sé che, per realizzare questi fini, è indispensabile avere una banca pubblica, come l’ha la Germania (La Kreditanstalt fur Wiederaufbau, KFW), e assumere come principio inderogabile la “nazionalizzazione” delle banche e delle imprese salvate dal fallimento con danaro pubblico.
E in questa azione di recupero è bene tener presente che, come rileva Eugenio Occorsio su La Repubblica del 24 aprile 2017, tutti i Paesi dell’occidente, e anche la Cina, difendono strenuamente gli interessi economici nazionali. “In Germania, acquisire una landesbank o una grande azienda di interesse nazionale, tipo Volkswagen o Siemens, è pressoché impossibile, perché il governo scatta immediatamente con tutto il suo peso politico e blocca qualunque avversario …. Quando quest’inverno il produttore di elettrodomestici cinesi Midea ha comprato la fabbrica di robot tedesco Kuka … il ministro dell’economia Sigmar Gabriel ha annunciato che la Germania introdurrà norme più stringenti di quelle comunitarie sulle acquisizioni da fuori dell’Unione Europea … In Gran Bretagnia “l’enterprise Act 2002” conferisce alla competition ad Markets Authoryti, oltre alla competenza di esaminare situazioni di fusioni rilevanti, anche il potere di esaminare fusioni che sono considerate importanti per la sicurezza nazionale … E’ successo nei casi di General Eletric Company, General Dynamics, Finmeccanica, Lokheed Martin e Atlas Elektronik … In Francia, la nuova norma voluta da Holland contiene una clausola antiscalate micidiale: abbandonata la neutralità del board durante un’offerta, c’è la possibilità di adottare misure frustranti per l’offerente senza l’approvazione dell’assemblea. Ma soprattutto si attribuisce automaticamente un diritto di voto doppio agli azionisti preesistenti … Rimane poi aperta la possibilità che lo Stato opponga la golden share per le aziende in cui ha una partecipazione anche minoritaria … Negli Stati Uniti la democrazia economica per antonomasia in realtà è munita di cinta quasi invalicabili. Il merito è del Carl Icahn, che a forza di hostile takeover negli anni Ottanta forzò il Congresso a varare le norme che ammettono e regolano le “poison pill”, le pillole avvelenate, che rendono indigeribile qualsiasi takeover: flip-in (possibilità per gli azionisti, ma non per gli offerenti, di acquistare azioni a sconto), flip-over (acquisti di azioni dell’offerente a metà prezzo da parte degli azionisti dell’azienda target), back-end rights (i possessori di option rilevano immediatamente le loro azioni, così si crea un esodo che impoverisce l’azienda), preferred stock (l’azienda target emette un gran numero di nuove azioni a favore dei vecchi azionisti). E l’Italia? L’Italia segue le regole imposte dall’Europa e si sottomette a chiunque. E’ possibile andare avanti cosi?
Il Popolo Italiano deve, dunque, ribellarsi, secondo le regole della nostra Costituzione, a tutte le sopra dette sopraffazioni, nonché ai tradimenti dei nostri governanti, dando forza all’”associazionismo” (art. 18 Cost.) e alla “cooperazione” (art. 45 Cost.). Esso deve ridiventare “protagonista dell’economia”, visto che spesso taluni “imprenditori”, d’accordo con le banche, mirano al fallimento e mettono sulla strada gli operai. Al posto degli imprenditori nazionali o stranieri, che hanno dimostrato di essere inetti o dei puri speculatori, è arrivato il momento che gli operai, costituendo delle cooperative, prendano nelle loro mani le sorti dell’economia nazionale: saranno essi a scegliersi i loro dirigenti tra gente capace e affidabile. Tutto questo è possibile. Infatti, come si è detto, il referendum del 4 dicembre ha salvato e rivivificato la nostra Costituzione repubblicana, secondo la quale “la sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 Cost.).
Infine sono da segnalare due fatti molto importanti: è indispensabile opporsi alla trasformazione del Fiscal compact in un Trattato Europeo, facendo valere subito, sul piano giudiziario, l’assoluta nullità di quel Trattato governativo, tanto dannoso per gli interessi economici nazionali. Ed è altresì indispensabile opporsi, con manifestazioni pubbliche, alla ratifica del Trattato fra Canada e Unione Europea, detto CETA, che I nostri rappresentanti nel Parlamento Europeo, su iniziativa del Governo Renzi, hanno approvato, senza rendersi conto di cosa facevano. Questo esecrando Trattato, infatti, distrugge la nostra Costituzione sovrapponendo a essa il principio della libertà dei commercianti e degli investitori americani, i quali avrebbero diritto a un risarcimento del danno, causato da misure poste dallo Stato a salvaguardia della salute o dell’ambiente, la cui determinazione spetterebbe a un organismo nominato dagli stessi commercianti e investitori. E’ incredibile. Ma a questo ci ha portato l’attuazione del pensiero neoliberista e l’azione inqualificabile dei nostri rappresentanti politici.
Paolo Maddalena
[1] P. Ferrero, La truffa del debito pubblico, Ed. DeriveApprodi, Roma 2014; Idem, Pigs!La Crisi spiegata a tutti, Ed. DeriveApprodi, Roma 2012.
[2] G. Guarino, Salvare l’Europa, salvare l’euro. Ed. Passigli, Firenze 2013, p. 177 ss.
[3] S. Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, Ed. Giuffrè, Milano 1954, p. 276.
[4] P. Maddalena, Il territorio bene comune degli Italiani, Ed. Donzelli, Roma 2014; Idem, Gli inganni della finanza, Ed. Donzelli, Roma 2016.
[5] Z. Bauman, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti”. Falso!, trad. it. Di M. Sampaolo, Ed. Laterza, Roma-Bari 2013;S. Essel, Indignatevi, trad. it. M. Balmelli, Torino 2011; L. Barra Caracciolo, La Costituzione nella palude, Ed. Imprimatur, Reggio Emilia 2015; S. Latouche, L’economia è una menzogna, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 2014; V. Giacché, La fabbrica del falso, Ed. DeriveApprodi, Roma 2011; Papa Francesco, Enciclica “Laudato sì”.
[6] G.A. Benacchio e G. Perini, Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione Europea, in Pubblicazioni della Provincia Autonoma di Trento, 23 maggio 2001. Si tenga anche presente che la Commissione europea ha preparato un “Elenco di una ventina di grandi principi” sull’accesso al mercato del lavoro, sulle condizioni del lavoro e sulla protezione sociale: vedi il quotidiano “Le Monde”, del 27 aprile 2017.