A GENOVA PER IL PAPA UN PASTORALE D’ACCIAIO
La visita di Francesco in dialogo con tutti nella ricerca della sintonia con ogni interlocutore e con parole non scontate e stimolanti per ciascuno – Il valore fondamentale del lavoro
Angelo Cifatte (Genova)
La visita di Francesco a Genova è stata un tutt’unico, ma ha avuto qualcosa di originale rispetto a quelle di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, derivato dal modo di rapportarsi di Francesco, che ha voluto connotarla nei “suoi” termini eminentemente pastorali. Ormai ci siamo abituati a questo Papa e forse non avvertiamo che innova continuamente, in ogni sua frequentazione, come è accaduto fin dal suo primo apparire alla Loggia. Poco seguito, disponibilità all’ascolto, ricerca della sintonia con l’interlocutore del momento, piccola biro per appunti personali, con una lettura sincera di note preparate certamente da lui stesso, che completa sul momento. Ed allora esplode il suo carisma profetico. Piace vederlo in tv – che lui detesta – perché si colgono da vicino i contenuti e le inflessioni (magari anche con qualche perdonabile errore). Ed in ogni sede, riesce a dare segnali, a dire cose stimolanti.
Ma forse merita dividerne gli aspetti: quello “religioso” (in San Lorenzo, alla Guardia, alla Messa) e quello “sociale” (all’ILVA di Cornigliano, giovani e pranzo, Gaslini). L’ispirazione fondamentale è fortemente quella di un uomo che vive e si nutre di Dio e di valori fondamentali, riscontrandoli anche attorno a sé. Ma li vuole anche vedere riconosciuti ed esaltati (Costituzione); esaltati dalla testimonianza di fede (Martiri copti citati in San Lorenzo); visti per esempio nella sofferenza dei poveri, degli immigrati, dei detenuti e dei bimbi malati.
La testimonianza di fede che indica una speranza, e che richiama la preghiera, indica in Dio/Gesù l’ancora a cui agganciarsi lanciandola avanti. Ed il mare davanti a lui diventa la metafora dell’infinito che accoglie le speranze, le collega e deve diventare la scommessa aperta a tutti. Ma il mare non deve certo trasformarsi in una tomba… Spetta a tutti noi operare perché ciò non avvenga… ed il pungolo ciascuno lo avverta concretamente “come suo”. La dedica scritta lasciando il Gaslini riflette lo sforzo di essere vicino agli operatori che aiutano i bimbi. Potesse, resterebbe con loro.
Genova ha corrisposto positivamente? Direi di sì, ad un Papa “impegnato…” (che ci chiede di pregare e di collaborare con lui…). Ovviamente lo abbiamo accolto con piacere. Ma sane discussioni sono sempre stimolanti.
Riflettiamo: un Papa “impegnato” che ci sprona ad aiutarlo pregando ed operando con lui. La promozione del lavoro deve riprendere concretamente proprio lì, nell’enorme stabilimento ripulito, perché anche gli operai vogliono cogliere l’occasione, e chissà quanto avrebbero voluto si protraesse. Allora gli regalano un Pastorale d’acciaio, fatto lì, accogliendo il suggerimento di un simbolico “Tau” francescano, fiduciosi che possa sentire la concretezza di un loro prodotto.
In Duomo il clima è fraterno, anche Francesco ricorda la sua terra lontana e le sue esperienze diocesane, traendone moniti per il clero e per le suore (quante da terre lontane!), che vanno comunque allertati contro rischiose forzature, che tradirebbero la sincerità profonda di un impegno. Una franchezza di relazione che sicuramente avrà vibrato nella testa dei presenti e degli ascoltatori.
Analoghe reazioni nei due ambiti successivi: gl’incontri alla Guardia ed al Gaslini, santuari di fede e di sofferenza in cui diventa obbligo farsi carico della partecipazione da parte di tutti noi.
Tutto ciò è ampiamente recepito ed illustrato dai media. La città ha vissuto una giornata certamente straordinaria, da parte di tutti. Come sappiamo essere avvenuto ovunque.
Ma forse merita altresì interrogarsi “sull’aggiornamento” delle modalità rituali di taluni comportamenti, nei momenti topici di una pratica di vita ecclesiale. Una Messa cantata davanti a decine di migliaia di persone, coll’alternarsi di lingua italiana e di latino (che pareva essere stato escluso da una Commissione per la Liturgia guidata dal genovese Lercaro), sembra non avvertire l’occasione mancata di far fare qualche passo avanti ad una gran parte di fedeli, che ritrovano invece sempre consuete pratiche liturgiche e vecchi paramenti. Perché, anche se “si è sempre fatto così e non è questa l’occasione per cambiare”, viene coltivata la pigrizia che infatti poi si protrae nell’ordinarietà quotidiana.
Così che non ci si può permettere di trascurare gli interrogativi sollevati nelle settimane preparatorie, quando ci si chiedeva in che misura la visita del Papa avrebbe potuto essere di pungolo per riflettere sulle dinamiche e sulla capacità di essere all’altezza del suo compito da parte di tutta la Chiesa locale, cogliendo anche l’opportunità del nuovo stato di maggiore disponibilità del suo Cardinale. Il quale ha ben adempiuto al suo ruolo, ma forse un po’ troppo anche lui vittima (per così dire) di vecchi schemi e di prassi consolidate fin troppo che attendono appunto di essere aggiornate. Angelo Cifatte
Contro il totem della meritocrazia
la grande lezione di papa Bergoglio
“Così si legittima eticamente la diseguaglianza”
Fabrizio D’Esposito (da Il fatto quotidiano del 29 maggio)
È stato un discorso lungo, denso, articolato quello che papa Francesco ha tenuto sabato scorso all’Ilva di Genova, nel corso della sua visita nel capoluogo ligure. Il tema è stato il lavoro e la sciatta sintesi giornalistica ha schiacciato l’intervento del pontefice su un titolo strumentalmente anti-grillino: “Bergoglio contro il reddito di cittadinanza”. Vero. Ma in che contesto?
E qui viene il bello. Perché se i renziani possono rallegrarsi per le parole sul reddito non possono farlo per quelle sugli imprenditori “speculatori” (tra cui tanti amici del Sistema in generale) ma soprattutto per quelle, clamorose, contro la meritocrazia. Ossia il totem degli ultimi vent’anni che ha ridisegnato in peggio il perimetro della sinistra. Così, ancora una volta, il papa argentino si conferma punto di riferimento per coloro che si riconoscono nei valori dell’uguaglianza.
Bergoglio ha svolto un’autentica catechesi: «Un altro valore che in realtà è un disvalore è la tanto osannata ‘meritocrazia’. La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il ‘merito’; ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza».
Dopo aver spiegato i danni che provoca il talento considerato come “merito” e non come “dono”, il papa ha concluso: «Una seconda conseguenza è il cambiamento della cultura della povertà. Il povero è considerato un demeritevole e quindi un colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa. Ma questa non è la logica del Vangelo, non è la logica della vita: la meritocrazia nel Vangelo la troviamo invece nella figura del fratello maggiore nella parabola del figliol prodigo. Lui disprezza il fratello minore e pensa che deve rimanere un fallito perché se lo è meritato; invece il padre pensa che nessun figlio si merita le ghiande dei porci».
L’enciclica dell’ILVA
Massimo Marnetto
La chiarezza è la grazia del pensiero. E Papa Bergoglio l’ha mostrata parlando agli operai dell’Ilva.
Doveva e voleva arrivare a tutti, con concetti essenziali su lavoro, dignità, democrazia. E indicare il grande nemico dell’uomo: la speculazione. Che non è guadagno lecito, ma abuso di profitto, che genera povertà diffusa. Ci voleva qualcuno che dicesse con chiarezza che non è da velleitari battersi per la dignità del lavoro, quando persino il più grande partito della sinistra fa di tutto per svalutarlo. Ci voleva qualcuno che rivalutasse la fatica del lavoro, che non può essere gravata anche dall’ansia di perderlo.
Parole importanti, in questo tempo dove il caporalato urbano dei voucher da eccezione viene sdoganato come “contratto”. Dove gli imprenditori sono incentivati a non assumere altri addetti a tempo indeterminato, così se restano entro la soglia dei cinque lavoratori fissi, possono “precariare” tutti gli altri. Bene ha fatto chi nel PD si sente ancora dalla parte dei lavoratori a rifiutarsi di votare questa indecenza. E bene ha fatto il Papa a battere sul dente dell’attualità sociale, senza paura di essere accusato di essere “comunista”.
Ora i partiti devono riflettere sull’ “Enciclica dell’Ilva”.
Ora noi elettori dobbiamo scegliere da che parte stare: o con chi fatica o con chi specula.
Massimo Marnetto