TRE SOGNI E SETTE PROBLEMI
TRE SOGNI E SETTE PROBLEMI
I tre sogni sono del cardinale Martini che ormai li riteneva irrealizzabili. I sette problemi fanno parte della più urgente riforma della Chiesa
Marco Vergottini
Pubblichiamo la parte finale di un saggio di Marco Vergottini dedicato al Concilio Vaticano II pubblicato sulla Rivista del Clero Italiano 4/2017
Per poter avviare un fattivo rinnovamento del vissuto pastorale è certo necessario, ma non sufficiente, emanare un buon numero di disposizioni disciplinari, decreti applicativi, norme canoniche; occorre, ancor prima, esercitarsi nell’atto di ideare e sognare un volto di Chiesa a misura di Vangelo, tanto nella comunione fraterna dei credenti, quanto nell’apertura missionaria verso tutti.
Nel lessico del cardinale Martini, il verbo ‘sognare’ rivestiva una funzione singolare, poiché non si configurava come atto di speculazione sul futuro o di fuga dalle fatiche quotidiane; si proponeva piuttosto come un’apertura della mente e del cuore su nuovi orizzonti, per coltivare
creativamente un futuro carico di promesse, in obbedienza allo Spirito che sollecita la libertà ad andare oltre la piatta assuefazione al fare quotidiano, così da poter ‘immaginare’ la Chiesa cattolica[1].
Il 7 ottobre 1999 il cardinale di Milano prese la parola nell’assemblea del Sinodo sull’Europa e, negli otto minuti concessi dal regolamento, propose un suo contributo appuntato su un foglietto – un intervento di poche parole. Il Leitmotiv fu il sogno di una nuova primavera della Chiesa in Europa, per ridare ossigeno allo stanco cristianesimo occidentale, mentre si profilava all’orizzonte il Terzo millennio. In apertura ricordò la figura dell’arcivescovo di Westminster, da poco scomparso, Basil Hume, che era solito introdurre i suoi interventi sinodali con la formula I had a dream. E Martini raccontò un triplice sogno, che ebbe un notevole impatto sull’opinione pubblica, non senza qualche strascico polemico nell’ambiente ecclesiastico.
Il primo sogno riguardava il futuro dell’Europa, che potrà riscoprire la sua vocazione nel confronto con gli altri continenti: attraverso una sempre più grande familiarità con la Sacra Scrittura, letta e pregata dai singoli, nei gruppi e nelle comunità, gli uomini e le donne europei potranno rivivere l’esperienza del fuoco nel cuore che fecero i due viandanti sulla strada per Emmaus. Martini è stato ‘l’uomo della Parola’ che ha aperto il cuore di molti alla forza avvincente della Scrittura, e non solo per quelli di dentro, ma anche per coloro che l’avevano seppellita tra i ricordi d’infanzia. Del resto, come non ricordare le parole pronunciate dal Cardinale in diverse occasioni?
«La mia esperienza mi ha convinto che la Parola di Dio ha molto da dire alla gente di oggi e di domani. Lampada per i miei passi è la tua parola – dice il Salmo – e luce sul mio cammino. Sono parole che vorrei fossero scritte sulla mia tomba, alle quali credo profondamente, a cui ho dedicato la mia vita: e sono parole che valgono per tutti»[2].
Il sogno successivo immaginava che la parrocchia – da molti ormai ritenuta un’istituzione anacronistica – continui a rappresentare sul territorio quella presenza del Risorto che i discepoli di Emmaus poterono sperimentare alla frazione del pane. In controtendenza con quanti sostenevano che una vivificazione spirituale dell’Europa possa essere assicurata dalla spinta travolgente dei nuovi movimenti ecclesiali, l’arcivescovo di Milano reclamò che occorreva nuovamente scommettere sulla tenuta del tessuto parrocchiale, ribadendo l’importanza di una pastorale che abita presso la vita quotidiana delle persone, che accoglie tutti senza discriminazione secondo una logica popolare e non elitaria, che sa formulare itinerari di fede differenziati (per le diverse fasce di età e di consapevolezza spirituale), per restituire attualità e incisività alla testimonianza credente. Pertanto le nuove forze, rappresentate dai movimenti postconciliari, certo doni dello Spirito, dovevano «inserirsi vitalmente nella comunione della pastorale parrocchiale e diocesana». Del resto, già nell’autunno 1987, durante il Sinodo sui laici Martini aveva sostenuto che nella misura in cui tali realtà accettano un cammino di discernimento e vengono riconosciute come un bene autentico per una Chiesa particolare, vanno accolte e sostenute… non dobbiamo aver paura del vino nuovo, anche perché siamo certi che la nostra Chiesa non è una botte invecchiata, ma otre nuovo e seno virginale fecondo […][3]
Infine, il terzo sogno poneva l’accento sulla necessità che nella Chiesa vi fosse uno strumento universale e autorevole che, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, riprendesse con coraggio il cammino di rinnovamento conciliare, da troppo tempo immobile, e affrontasse quei nodi che il Concilio non aveva potuto sciogliere, perché emersi dopo l’assise: segnatamente, la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i
rapporti con le Chiese sorelle dell’ortodossia e il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, il rapporto tra democrazia e valori, tra leggi civili e legge morale. Si parlò subito di un nuovo Concilio, benché quella parola non fosse stata intenzionalmente utilizzata[4]. Ad essere reclamata, piuttosto, era l’urgenza di un ‘confronto sinodale’ di alto profilo.
Tredici anni dopo, il cardinale Martini morì con l’amara convinzione che il suo sarebbe rimasto soltanto un «sogno» e che le sue attese non si sarebbero potute realizzare a breve. Divenuto vescovo emerito, confessò i suoi timori, misti a un po’ di delusione: Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. A settantacinque anni mi sono deciso a pregare per la Chiesa[5].
E proprio nell’ultima intervista – rilasciata pochi giorni prima e pubblicata sul «Corriere della Sera» il giorno dopo la morte, considerata perciò il suo testamento spirituale – ripeté addolorato: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio […]. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore». Se Martini avesse potuto vedere i giorni di papa Francesco, si sarebbe reso conto – come noi oggi – che le sue attese non erano affatto quelle di un visionario, costrette a rimanere un sogno, ma quelle di un profeta, destinate a divenire realtà.
Riforma della Chiesa. Sette interrogativi cruciali
A oltre cinquant’anni dalla conclusione del Concilio, restano aperte diverse questioni che avranno rilevanza per il futuro della Chiesa. In forma interrogativa, ecco un elenco di alcuni snodi cruciali che attendono di essere approfonditi.
- Quali sono le dimensioni della riforma oggi, e – per riprendere Congar – vi è modo di distinguere tra vera e falsa riforma? Dopo che i termini riforma e riformare sono finiti nel dimenticatoio per mezzo secolo nel post-Concilio, non è giunto forse oggi il momento favorevole per riscoprire questi concetti nella Chiesa cattolica?
- Il dibattito sulla collegialità durante e dopo il Vaticano II resta tuttora aperto, in cerca di soluzioni condivise. Non è giunto il momento che le questioni della collegialità e del consolidamento delle conferenze episcopali siano collegate all’antica tradizione sinodale della Chiesa?
- Il problema di come si provvede alla nomina dei vescovi è questione cruciale che esige di essere affrontata con procedure di maggior trasparenza e frutto di attento discernimento sinodale. L’apparato attuale non necessita di una riforma, in particolare al fine di rendere un tale processo più inclusivo e più sensibile ai bisogni delle Chiese locali, coinvolgendo organismi e operatori pastorali in questo processo?
- La riforma della curia continua a restare un punto dolente nell’agenda della Chiesa. Non si dovrebbero coordinare maggiormente l’attività degli uffici curiali, non soltanto per assicurare la trasparenza e ridurre la possibilità di decisioni assunte in modo arbitrario, ma anche per procedere in profonda sintonia con la spinta riformatrice di papa Francesco?
- Il coinvolgimento di tutti i battezzati, segnatamente i cosiddetti laici[6], nel progettare e nell’attuare la prassi ecclesiale non costituisce né un’indebita innovazione né una maldestra concessione alla moderna democrazia. Un’autentica riforma della Chiesa non necessita che si riscopra il sensus fidelium, come pure l’intuizione conciliare che v’è «un’unica missione in una pluralità di ministeri» (Apostolicam Actuositatem, 2)?
- Un discorso a parte vale per la questione delle donne nella Chiesa, a tutt’oggi marginalizzate sul piano dei ministeri. Come è possibile un tale retaggio ai nostri giorni? Non si dovrebbe valorizzarne l’apporto, così che con il loro consiglio e la loro azione esse possano assumere ruoli di responsabilità e contribuire al rinnovamento della Chiesa?
- In conclusione: se è vero che lo Spirito Santo – come ci ricorda il Vaticano II – dona ai fedeli «di ogni stato carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi» (Lumen Gentium, 12), una riforma della Chiesa non dovrebbe, anche se il suo scopo immediato è quello di rinnovare le strutture, tendere in sostanza a promuovere la vocazione universale alla santità?[7]
[1] Il cardinale Martini restò profondamente colpito dalla lettura di G. Lafont, Immaginare la Chiesa cattolica. Linee e approfondimenti per un nuovo ‘dire’ e ‘fare’ della comunità cristiana, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 1998 (ed. or. Paris 1995).
[2] M. Vergottini (ed.), Perle del Concilio. Dal tesoro del Vaticano II, EDB, Bologna 2012
[3] Tratto da G. Caprile, Il Sinodo dei vescovi 1987, La Civiltà Cattolica, Roma 1989, pp. 318-321.
[4] In forma confidenziale, agli amici che lo interrogavano a tal proposito, il cardinale Martini sosteneva di non auspicare affatto l’indizione di una nuova assise conciliare, perché – stante la composizione del collegio episcopale e il clima ecclesiale del tempo – il suo timore era che un eventuale Concilio Vaticano III potesse persino ritrattare alcune acquisizioni del Concilio Vaticano II.
[5] C.M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, Milano 2008, pp. 61s.
[6] In tema di laici sia consentito rinviare a M. Vergottini, Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato, EDB, Bologna 2017 (di prossima pubblicazione nell’autunno di quest’anno).
[7] 15 Il presente elenco è debitore al saggio di J.W. O’Malley, La riforma nella vita della chiesa. Il concilio di Trento e il Vaticano II, in A. Spadaro – C.M. Galli (edd.), La riforma e le riforme nella chiesa, Queriniana, Brescia 2017, 85-107.