Alle origini del femminismo cristiano moderno

Una raccolta di lettere di Sarah Moore Grimké una protagonista delle lotte antischiaviste e femministe americane dell’Ottocento.

Enrico Peyretti

 Una bella documentazione sul primo femminismo cristiano nell’800 si trova in questa raccolta di lettere[1] di Sarah M. Grimké (Sud Carolina,1792- Boston,1873), impegnata per l’abolizione della schiavitù (anche come scelta personale fin dall’infanzia), per i diritti politici e la parola in pubblico delle donne, sia nelle riunioni politiche, sia nelle chiese, in base al fatto che tutti i discepoli – uomini e donne – hanno ricevuto il vangelo per annunciarlo a loro volta.

Sarah e la sorella Angelina scrissero, viaggiarono (parlarono in città e villaggi a pubblici “promiscui”, fino a 40.000 persone!), animarono questi movimenti. Il titolo della raccolta è un verso del salmo 8, riferito ugualmente all’uomo come alla donna. Nel 1820 Sarah aderì alla Società degli Amici, i quaccheri, ma poi polemizzò con Joseph John Gurney, contrario al diritto di parola in pubblico delle donne, e stette col gruppo dissidente di Elias Hicks, favorevole all’eguaglianza anche nelle istanze decisionali [2].

Le lettere qui raccolte e curate da allievi di Pier Cesare Bori, che promosse questa ricerca, riguardano l’eguaglianza originaria della donna nella creazione (dimostrazione teologica dell’eguaglianza tra i sessi), la relazione sociale tra i sessi (la dignità della donna è distrutta dal fatto che essa è avvicinata dall’uomo in quanto femmina), l’intelligenza della donna, l’abbigliamento delle donne, l’incapacità giuridica delle donne, la relazione tra marito e moglie («La parola “marito” nella maggior parte dei Paesi è sinonimo di “tiranno”»), il ministero delle donne («Se è dovere dell’uomo predicare le insondabili ricchezze di Cristo, è anche dovere della donna»), l’eguale colpa dell’uomo e della donna nella Caduta.

L’Autrice si impegna seriamente (pur senza conoscere l’ebraico e il greco), acutamente, e anche vivacemente, sui testi biblici più critici e più abusati contro le donne, con una ermeneutica alternativa a quella più diffusa. Raccoglie le obiezioni usuali e replica con forza. Discute decisamente i costumi sociali del suo tempo, discriminanti verso le donne: esse potevano vedere il loro nome su una pubblicazione solo due volte nella vita, il giorno del matrimonio e il giorno del funerale.

«Mi rallegro  che [nelle Chiese] noi siamo state le oppresse, piuttosto che gli oppressori» (p. 87). Cita Adam Clarke quando ricorda con esecrazione che rabbi Eliezer diceva: «Possano le parole della legge essere bruciate, piuttosto che siano pronunciate dalle donne». Sarah cita, tra tanti testi, la profezia di Gioele: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno…», che sarebbe vana se le donne non avessero il dono e il dovere di edificare, esortare, consolare.

Enrico Peyretti

[1] Sarah M. Grimké, Poco meno degli angeli. Lettere sull’eguaglianza dei sessi. A cura di Thomas Casadei. Traduzione di Ingrid Heindorf., Ed. Castelvecchi, Roma, 2016, pp. 123, euro 14,50.

[2] Sulla figura di Sarah Grimké si trova una parziale traduzione delle lettere in A. Rossi-Doria (a cura di), La libertà delle donne, Rosenberg & Sellier, 1990.  Un’accurata indagine sul pensiero della Grimké  si può vedere in Serena Vantin, I «segreti di Blackstone» rivelati. Abolizionismo, riforma dell’educazione e suffragio femminile in Sarah Moore Grimké (1792-1873):

http://www.percorsistorici.it/numeri/26-numeri-rivista/numero-4/162-serena-vantin-i-segreti-di-blackstone.html

 

 

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