PERCHÈ LA STORIA CONTINUI

APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA

Comments

Leave your comments

  • […] Istituzione di una Scuola della Terra per suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo de… […]

  • Gennaio 04, 2020at5:30 PM

    Bene, complimenti

  • La nostra associazione aderisce all’iniziativa “costituente terra” che risponde pienamente allo spirito ed alle finalita’ da cui nasce “agire politicamente”: l’ampio orizzonte a cui papa francesco richiama l’interesse e la responsabilita’ dei credenti, il rispetto della dignita’ e dei diritti vitali di ogni essere umano senza alcuna discriminazione, la condivisione dell’impegno da parte di tutti senza alcuna esclusione, che sono alla base di una autentica democrazia. lino prenna – coordinatore nazionale

  • Gennaio 13, 2020at8:29 AM

    I componenti dell’associazione socio-culturale Aladinpensiero e l’omonima News online (http://www.aladinpensiero.it) condividono e sostengono con convinzione il progetto “Costituente Terra”, aderiscono al “Comitato promotore partito della Terra” e ne promuovono le iniziative a Cagliari e in Sardegna, in collaborazione con altre associazioni democratiche e con singoli cittadini attivi. Al riguardo, come primo impegno condividono e diffondo l’appello dei promotori per la raccolta delle adesioni e delle necessarie quote di finanziamento

  • Gennaio 18, 2020at2:27 PM

    Save the date – Punta de billete – Ricordati
    Giovedì 23 gennaio, con inizio alle ore 18, in viale Trieste 17 Cagliari, si terrà la prima riunione del Comitato d’impegno territoriale sardo per la “Costituzione della Terra”.
    – L’appello-proposta sul sito web di chiesadituttichiesadeipoveri, con le adesioni aggiornate.
    La pagina fb dell’evento.

  • Febbraio 20, 2020at5:25 PM

    Questo è il resoconto dell’incontro promosso a Cagliari il 23 gennaio 2020- in seguito alla pubblicazione dell”appello: Perché la storia continui – Appello-Proposta per una Costituente della Terra.

    Documento finale di sintesi degli interventi.

    L’Appello-Proposta ha trovato, seppure con sottolineature di problematicità, una buona accoglienza da parte di un gruppo di amici sardi, con base a Cagliari, che hanno deciso di costituire un apposito Comitato territoriale, di tendenziale dimensione regionale, per sostenere e diffondere l’iniziativa. Come? Lo decideremo insieme con gli organismi di gestione che la Scuola si darà a partire dall’insediamento del 21 febbraio alla Biblioteca Vallicelliana a Roma. Le tematiche già delineate e quelle ulteriori che si aggiungeranno sono di notevole complessità, tali da richiedere notevole impegno di studio e ricerca. Ma evidentemente non si tratta solo di necessari approfondimenti su basi scientifiche, ma in parallelo e per quanto possibile di suscitare pratiche comportamentali. Tali iniziative saranno progettate e attuate nell’ambito della programmazione della Scuola, a livello sia centrale sia decentrato, come pure potranno essere condivise con altre Organizzazioni, con opportuni accordi. In questo quadro il Comitato sardo già raccoglie diverse “appartenenze” dei suoi componenti, che intende mettere a sistema con la specifica missione e attività della Scuola. In particolare il Comitato sardo intende proporsi come riferimento per l’elaborazione di tematiche riguardanti il territorio sardo, siano esse “declinazioni” di tematiche generali o peculiari del medesimo. A mo’ di esempio ci si riferisce alla questione della presenza delle basi militari e della fabbrica di bombe presente in Sardegna verso una possibile conversione per usi non bellici. Rispetto alle tematiche generali, nel dibattito in corso nel nostro Comitato ne abbiamo già enucleato alcune: la questione del territorio (agricolo, forestale, e non solo) come “bene comune” per evitare lo smantellamento degli “usi civici”; la questione ambientale, con specifico riferimento alle bonifiche; la disoccupazione, specie giovanile e femminile; il concreto riconoscimento della “differenza femminile”, delle sue implicazioni con l’ecologia, come risorsa disponibile per un cambiamento di civiltà che riguardi tutte e tutti. Altre se ne aggiungeranno. Come già detto, queste tematiche saranno sviluppate sia come approfondimento teorico, sia come partecipazione ad iniziative di mobilitazione sociale, nella pratica di tutte le possibili collaborazioni con altre entità del mondo laico e confessionale. Tra le collaborazioni ci piace mettere in risalto quelle già delineate con la Scuola di Cultura Politica di emanazione cattolica “Tonino Bello” di Villacidro e con la Scuola laica di Cultura Politica “Francesco Cocco” di Cagliari.

    Segue il reoconto degli interventi:
    • Rita Podda (introduzione allegata)
    • Franco Meloni (appunti Rita)
    • Gianni Pisanu (intervento revisionato allegato)
    • Angelo Cremone (appunti Rita)
    • Franco Meloni (appunti Rita)
    • Maria Teresa Arba (intervento revisionato allegato)
    • Luisa Lusso (appunti Rita)
    • Gabriella Lanero (appunti Rita)
    • Gavino Dettori (intervento revisionato allegato)
    • Franco Meloni (appunti Rita)
    • Umberto Allegretti (appunti Rita)
    • Franco Meloni (appunti Rita)
    • Gianni Pisanu (appunti Rita)
    • Franco Meloni (appunti Rita)
    • Pierpaolo Loi (appunti Rita)
    • Franco Meloni (appunti Rita)

    • Rita Podda

    Mi è stato chiesto di introdurre questo confronto che come primi aderenti locali abbiamo voluto iniziare ad avviare sull’Appello-Proposta per una Costituzione della Terra, lanciato a fine dicembre scorso. Mi sono quindi chiesta com’è che potevo articolare questa introduzione e mi sono detta che in primis sarebbe stato importante per interloquire con le altre e gli altri aderenti partire da me, dalle ragioni per cui questo Appello-Proposta mi ha interpellata fin da subito fino a sottoscriverlo, a farlo circolare riponendo su di esso la mia fiducia che possa rappresentare lo strumento per l’avvio di un percorso comune e articolato di elaborazione di pensiero e di azioni concrete fra tante e tanti, come li definisce il documento, di “buona volontà e di non perdute speranze” che si pongano come fine che “la storia continui” e pertanto lavorino ad una possibile inversione delle cose.
    Mi scuso in anticipo per la lunghezza della mia introduzione ma soprattutto all’inizio di un percorso comune penso che i ragionamenti che partono dalle ragioni del sé siano importanti nell’avvio del confronto; c’è spesso nelle relazioni che si intrattengono nel far politica un darsi per scontati che spesso porta a cercare negli altri il proprio rispecchiamento; una modalità che produce impoverimento sia nella qualità delle relazioni che nelle elaborazioni ed azioni culturali e politiche, e che spesso porta all’allontanamento, all’autoesclusione.
    Ora, la realtà che abbiamo davanti e che ha portato noi oggi qui, persone con storie e vissuti diversi seppure, per alcune e alcuni, con qualche tratto di percorso comune, è che avvertiamo che da un po’ di tempo, sotto la spinta di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi, di Greta Thumberg e della sua eroica fragilità, di Papa Francesco e della sua Laudato si’, unico vero manifesto programmatico finora elaborato per una transizione ecologica e un futuro dell’Umanità, della Terra e della Giustizia, c’è una percezione in più che può esser messa a frutto; c’è una maggior convinzione della urgenza di una transizione ecologica e che questa riguarda non solo lo smettere di bruciare combustibili fossili. Alle spalle di tutto questo ci sono anche 30 anni, con un maggiore accento critico negli ultimi 12-13 anni, di disastro prodotto nelle vite di tante persone da un capitalismo predatorio senza freni, di cui le massicce migrazioni sono solo la punta dell’iceberg.
    La crisi può trasformarsi in opportunità, il movimento trasformativo genera speranza, possiamo pensare a una “giustizia climatica” in cui le politiche per l’ambiente e la giustizia sociale vadano di pari passo.
    Prendere coscienza e “fare la propria parte” non è semplice perché la questione è molto complessa, perché soprattutto sulle questioni climatiche è evidente che poco dipende da noi, dipendiamo da quello che fanno e che faranno Paesi molto lontani dal nostro, da come la Terra si trasforma, dalle informazioni che ci vengono date dalla scienza sulle sue trasformazioni e sofferenze. È questione complessa perché gli esiti di ciò che avviene oggi sono visibili a distanza di molti anni e più che in altri casi la politica che si fa è legata a un atto di fiducia, a verifiche che avverranno in un mondo in cui so che io non ci sarò più. È questa una vocina cinica e realistica che andrebbe tacitata, direbbe qualcuno, da un dovuto sacro spirito solidale intergenerazionale.
    Per quanto ciò sia giusto io ho provato anche a ragionare in un altro modo, partendo da me, dalla mia esperienza di sessantaseienne, da quello che ho vissuto e praticato nel corso della mia vita adulta, da come ho imparato ad avere una mia lettura, una mia immagine del mondo e a nominare le cose del mondo. Per quanto abbia fatto nel tempo diverse tipologie di esperienze politiche, ho imparato quello che so fondamentalmente dal Femminismo della differenza, che non è quello della differenza dell’ordine delle cose, del determinismo biologico, o della lotta fra i sessi, ma di una differenza sessuale come differenza umana originaria, una differenza che si accetta come il fatto stesso di essere un corpo e che vissuta liberamente è una sorgente inesauribile di significati nuovi per cui essere donna ha avuto nel passato e ha nel presente un potenziale proprio; certo, un potenziale, più che realizzazioni, a causa delle subordinazioni vissute dalle donne nelle società patriarcali. È il senso della vita che ho vissuto, la realtà che mi circonda e una prospettiva futura che si allontana sempre più dal mondo che volevo e che ancora vorrei, che mi hanno quindi fatto interloquire con quest’Appello con cui ho provato a dialogare interrogandomi sui suoi vari passaggi e la sua prospettiva.
    L’Appello apre proponendo di “suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra” ed io mi sono chiesta: ci sono io qui, ci sono le donne dentro questo indistinto popolo a cui in tanti nella storia si sono richiamati anche nella stesura delle Carte, e se ci sono, come ci sono?
    Quando si dice: “L’inversione del corso delle cose è possibile. Essa ha un nome: Costituzione della Terra”, “Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola al potere, ha garantito i diritti, affermato l’eguaglianza” mi si è aperta subito la finestra sulla storia dell’esclusione prima e del divario poi fra diritti, eguaglianza formale e sostanziale, per come in particolare sono stati e sono ancora presenti nelle vite delle donne, per il fatto d’essere donne, in tutto il mondo.
    Nell’Appello si afferma, sempre al punto de “Il cambiamento è possibile”, che la Costituzione del mondo è la “bussola di ogni governo per il buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla politica”; io mi sono chiesta se questa “produzione” tenga o meno in considerazione ciò che, partendo dall’esame della propria differenziata esperienza dello stare al mondo, la “politica delle donne” ha espresso, in tutto il mondo – dalle grandi realtà urbane occidentali, medio-orientali al piccolo villaggio agricolo indiano – in termini di elaborazione e pratiche di Cura della vita, delle relazioni e della Terra, perché per me non ci può più essere una politica “neutra”, quella che storicamente e culturalmente si è manifestata attraverso la riduzione della diversa umanità delle donne all’Uno universale maschile.
    Se poi, come si dice “la sfida della realtà causa il pensiero”, e si propone una Scuola che produca un nuovo pensiero della Terra, con lo “scopo di indurre a una mentalità nuova e a un nuovo senso comune”, allora, ho pensato, sarà necessario che quando si parla di “aree tematiche da perlustrare”, nella “rete di scuole con aule reali e virtuali”, e si inserisce al punto 6) di queste tematiche “il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra”, ecco mi sono detta qui occorre fare particolare chiarezza.
    Malena Erman, che con la figlia Greta ha scritto il libro “La nostra casa è in fiamme”, tira in ballo il Femminismo affermando che la battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo (e il suo intendimento non è certo quello di escludere gli uomini ma di sfidare quelle strutture e quei valori che hanno portato alla crisi in cui ci troviamo). Ella giustamente fa presente che la stessa efficacia delle azioni concrete per una rapida transizione ecologica (come richiesto dal movimento “Fridays For Future”, a partire dallo smettere immediatamente di bruciare combustibili fossili), dipenda dal fatto che si intreccino con lo smantellamento della strutturazione capitalistica del mondo e del sistema di pensiero che hanno radici maschili e ci hanno portato sull’orlo dell’abisso. Sono d’accordo con lei, il Femminismo c’entra, perché so bene che il Femminismo della differenza, quello meno rivendicazionista di parità e spartizione cogli uomini, meno visibile di quello americano e nord europeo ma più radicato in Italia, Francia, Spagna, da oltre 50 anni sfida quelle strutture e quei valori, non solo perché ne va della vita delle donne ma perché ne va di un comune “cambio di civiltà”. Occorre voltar pagina rispetto ad una struttura di pensiero maschile occidentale che Vandana Shiva ha bollato come “monocultura della mente”, non diversamente dal Femminismo che ha svelato come l’Uno Universale, a cui si sono sempre richiamati nella storia dell’idea di progresso, nella teoria e nelle prassi, compresa quella dell’elaborazione delle Carte Costituzionali, i movimenti illuminista, progressista, comunista, liberale, è un Uno Universale di sesso maschile come misura di tutto, risultato della cancellazione delle differenze presenti nella comunità umana, in primis di quella della donna.
    Per me quindi pensare la “differenza”, in ogni percorso politico trasformativo e creatore di verità e giustizia, come penso sia questo, è la sfida che aspetta tutti per voltar pagina nei confronti di un pensiero maschile che nella società occidentale è ancorato nella Filosofia e nella Teologia pre-conciliare e che si basa sulla appropriazione, l’assoggettamento o la riduzione a sé dell’altra e dell’altro, o di una sua trasformazione in un oggetto di conoscenza e di utilità. È necessario in primis per me disintegrare quelle che sono resistenti strutture di pensiero che hanno portato a sacralizzare la “religione capitalistica”, fino a non poter immaginare un futuro senza di essa neanche da parte della sinistra, fino a sacrificare ad essa la Terra e i suoi abitanti, rendendo particolarmente complicato anche un immaginario di transizione; si è addirittura in grado di pensare alla fine della vita sul pianeta ma non a una possibile fine del capitalismo. La riflessione sviluppata dal Femminismo della differenza ha significato e significa per me avere uno strumento per restare meno intrappolata nell’abbecedario di questa ragnatela di pensiero che ha sostenuto e sostiene il capitalismo, riuscire ad imprimere un segno positivo in più all’immaginario della transizione. E questa Costituente per una Costituzione della Terra, vista in questo senso, può diventarlo, perché pone in discussione, come la “Laudato si’” di Papa Francesco, la questione dell’Ecologia Integrale, l’esperienza storica del rapporto dell’umanità con la Natura, la presunzione che la Natura esistesse per l’esclusivo vantaggio predatorio dell’uomo. Le donne furono identificate con la Natura e fatte anch’esse oggetto di predazione; non si volle riconoscere la “differenza” come altro modo di essere umani; si costruì un sistema di pensiero e pratiche di confinamento e sfruttamento a sostegno di ciò, che il capitalismo ha ereditato; esso non ne è all’origine, lo ha rielaborato e piegato a suo vantaggio. Dietro c’era senz’altro anche la questione dell’inconscio, di riduzione, declassamento dell’altro da sé a “natura priva di anima”, base naturale che comporta inferiorità, stato di passività e addomesticamento/assoggettamento. Da qui la creazione dei dualismi, delle opposizioni natura/cultura, uomo/donna, mente/corpo; per Hegel il dualismo di un eterno principio femminile che sta a presiedere i legami naturali, la famiglia, un destino per la donna segnato dalla sua capacità di generare e da qui la necessità del suo assoggettamento a beneficio della comunità; in opposizione, invece, un principio virile maschile che, in quanto presidio dello spirito comunitario, non può che essere nemico dell’ambito ristretto della famiglia naturale e di chi la presiede.
    Occorre quindi stare attenti e attente a non cadere in questa identificazione donna/ natura per come l’ha introdotta la cultura patriarcale; a sciogliere questo nodo e a metterlo a frutto nell’attuale dibattito sulla crisi del Pianeta mi hanno aiutata nel corso degli anni, a partire dalla metà degli anni ‘70, alcuni testi di grandi pensatrici, Carolyn Merchant, Evelyn Fox Keller, Vandana Shiva, Carla Lonzi e Luisa Muraro e, ancor prima, Laura Conti col suo “Cos’è l’ecologia”; ma mi sento debitrice anche verso il pensiero di Alex Langer che penso sia ancora in grado di illuminare anche questo nostro cammino e la modalità delle nostre azioni ricordandoci come “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”, un invito a porsi all’ascolto, in relazione anche con quelli che non ci stanno alle prediche morali sull’ambiente, reagiscono male ai precetti (e non sto certo parlando di Trump o del famoso 1%) e che magari avrebbero bisogno di aiuto per capire prima di tutto quello che sta capitando a loro stessi, perché, come ha detto qualcuna “per essere buoni ci vuole una civiltà” e noi viviamo invece in un mondo che si sta sempre più imbarbarendo.
    Mi hanno illuminato le analisi e le visioni di Laura Conti sulla “Interdipendenza”, la “Degradazione dell’energia”, il fatto che lei diceva non ci potessero essere soluzioni generali e semplici perché il Sistema Terra in cui siamo è estremamente interdipendente; la sua posizione non era etica, dava importanza alla politica ambientalista e diceva “io amo, ovvero sono attenta al sistema vivente e la scienza mi aiuta a capire che cosa è in gioco”. La sua proposta era politica ed economica: diminuire il fabbisogno energetico e creare un altro modo di vivere. Per necessità. No quindi al predominio della scienza, non pensava risolutive le applicazioni della tecnica per ovviare alla distruzione dell’ambiente, al cattivo uso della Terra; non si affidava neanche all’Etica dell’ambiente, al solo senso di responsabilità slegata dalla conoscenza critica del rapporto Capitale/ Lavoro/ Energia, mentre oggi i due poli, quello dell’uso della Tecnologia per risolvere i problemi e quello dell’Etica occupano tutto lo spazio pubblico. Prendo quindi da Laura Conti la consapevolezza del fatto che noi siamo all’interno di un sistema vivente che non possiamo controllare, possiamo sì agire in suo favore ma solo in modo parziale soppesando conseguenze impreviste; resta il fatto che c’è un lato inconscio del Sistema, non oggettivabile; c’è una fragilità del sistema che abitiamo e occorre fare un passo indietro per poter davvero aver cura di questa fragilità.
    Da donna rifiuto la storica identificazione con la natura, la critico non perché non abbiamo un rapporto profondo e radicale con il corpo, con la sua materialità, la sua capacità di generare (perché noi non è che abbiamo un corpo ma siamo corpo vivente, che nasce cresce, invecchia e muore), ma perché il mio desiderio (e quello di tante) è quello di “dare una significazione libera” a questi legami; noi possiamo avere questa esperienza del generare che ha prodotto e produce ancora relazione, cura, cultura e sapere. E c’è in tutto questo una asimmetria fra donne e uomini che può essere messa in gioco e a frutto nella questione dell’Ecologia Integrale, nella comprensione della Interdipendenza, nel capire che non c’è una vita naturale autonoma e una vita significata dalla cultura; noi siamo interni e partecipi del fatto che il nostro destino è intimamente legato alla Terra e possiamo significarlo attraverso il linguaggio, il simbolico, interrogarci e prendere decisioni politiche su di esso. Non siamo animali accanto ad altri animali. Possiamo parlare da interni al sistema Terra dicendo parole di verità ma sapendo che non sono totalmente oggettive perché il Sistema Terra non è oggettivabile; possiamo dire verità a partire dall’esperienza del mondo che soggettivamente facciamo.
    E qui torno alla Costituente che per me non può nel costruire il percorso elaborativo di una Carta mondiale che interpellare le diverse pratiche ed esperienze del vivere la Terra, i desideri, gli stili di vita, i problemi di donne e uomini nelle diverse parti del mondo, delle loro diverse comunità, piccole o grandi, che se ascoltate possono indicare soluzioni di cui abbiamo bisogno e che non si possono trovare nel sistema sociale, economico ed ecologico corrente; non può non affrontare la questione dell’economia e della politica, della gestione della verità di una Terra certamente spazio vitale generoso ma dalle risorse finite e di una economia concentrata nel soddisfare il bisogno e l’arricchimento di pochi mentre economia e politica dovrebbero essere alleate nella cura del mondo così come l’ecologia ne cura la casa.
    Alla idea di Interdipendenza e Interconnessione del Sistema Terra elaborato dagli ecologisti, il Femminismo della differenza aggiunge quella della Dipendenza: dipendiamo dall’aria, dall’acqua ma anche dalle relazioni umane; nasciamo come creature bisognose, la nostra nascita e la nostra vita sono segnate dal bisogno dell’altra e dell’altro. La reciprocità e la dipendenza consapevole penso siano l’antidoto più sovversivo all’individualismo, per una civiltà della convivenza fra tutti i livelli, umani, animali e vegetali, in un passaggio da natura a cultura senza soluzione di continuità, un cambio di civiltà, di una civiltà millenaria in cui dovrebbe finire il dominio sessista, l’ordine gerarchico, la prevalenza dell’Uno sulla pluralità delle vite e dei viventi.
    Ora è vero che la proposta di lavoro che ci vien fatta per una Costituente della Terra, ossia di un movimento che influenzi la politica nei suoi soggetti istituzionali e insieme la società civile, si colloca in una realtà nuova in cui, sotto la spinta dei movimenti e delle evidenze climatiche, una parte del mondo economico e politico, dell’opinione pubblica, sembra reagire mentre fino a un decennio fa questi discorsi cadevano nel vuoto; ora si parla di disinvestimenti sui fossili, si propongono piattaforme per un “Green New Deal” per riparare la Terra ma è anche vero che se parliamo di un nuovo Costituzionalismo mondiale abbiamo consapevolezza del venire già da esperienze che ci hanno portato varie Carte rimaste per lo più inapplicate e che pertanto questa proposta ha bisogno che un’elaborazione giuridica sia accompagnata e interagisca con esperienze concrete che si muovono nel mondo per sfidare la realtà ed innescare un cambiamento tangibile. Servono certamente interlocutori e luoghi reali per indurre nuovo senso comune, a partire dal produrre riflessione e pensiero, prendere parola sulle questioni sollevate dall’Appello che intercettano gravi criticità nelle realtà locali.
    Ecco, nella nostra realtà una Scuola disseminata e diffusa, con aule reali e virtuali che serva a questo scopo, come si potrebbe configurare? Quali sono le questioni locali, cittadine, regionali che riteniamo debbano essere intercettate dalle nostre riflessioni e pratiche politiche perché in continuità con l’impegno di adesione da noi dato a quest’Appello-Proposta per una Costituzione della Terra?
    Mi scuso ancora per la lunghezza del mio intervento e auguro un buon proseguo di discussione.

    • Franco Meloni

    Le considerazioni di Rita mi inducono a riconsiderare la mia idea iniziale che individuava come prioritario individuare fra le figure in grado di aiutare il percorso di questo progetto quelle dei Giuristi; m’accorgo che sono importanti ma che le questioni poste dall’Appello non sono riducibili a una riforma del diritto internazionale. Sono anche d’accordo con lei su quanto le questioni sollevate coinvolgano direttamente i nostri vissuti.

    • Gianni Pisanu

    Fra le 11 tematiche indicate nell’Appello come da perlustrare, mi interesserebbe soprattutto approfondire quella legata al Lavoro sempre più ridotto a merce e privo di diritti.

    • Angelo Cremone

    Sottolineo la necessità di non perdere tempo vista l’urgenza dei problemi in Sardegna e il fatto che qui sia la politica che gli intellettuali siano sordi; il richiamo di Rita ad Alex Langer mi fa sottolineare come lui che occorre pensare globalmente e agire localmente e il decalogo per agire localmente e a Cagliari sono le questioni dell’inquinamento, del Gassificatore a Giorgino, dei 5G, dell’inquinamento da polveri sottili e della SARAS che fanno ammalare la gente tanto che l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha rilevato le cattive condizioni di vita a Cagliari. Bisognerebbe su questi temi fare azioni anche minimali che però facciano parlare. Sono stanco di partecipare a dibattiti che però non approdano a nulla.
    La novità importante è che su questi problemi ambientali è scesa in campo la Chiesa, ma occorrerebbe lo facessero anche singole personalità.

    • Franco Meloni

    È importante che attraverso questa nuova proposta che viene dall’Appello si cerchi di mettere insieme le diverse realtà che già operano su queste problematiche; una fattiva sinergia potrebbe darsi con la Scuola di cultura politica Francesco Cocco.

    • Maria Teresa Arba

    “Mettere in campo una Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.”
    L’obiettivo è affascinante e per questo ho aderito a questo progetto. I temi da affrontare sono tutti essenziali e urgenti perché non abbiamo un pianeta di riserva ed è compito di tutti lavorare per salvare la terra dai rischi a cui la espone uno sviluppo non sostenibile:
    10) le nuove frontiere del diritto, il nuovo costituzionalismo e la rifondazione del potere;
    2) il neo-liberismo e la crescente minaccia dell’anomia;
    3) la critica delle culture ricevute e i nuovi nomi da dare a eventi e fasi della storia passata;
    4) il lavoro e il Sabato, un lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della vita;
    5) la “Laudato sì” e l’ecologia integrale;
    6) il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra;
    7) l’Intelligenza artificiale (il Führer artificiale?) e l’ultimo uomo;
    8) come passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e della pace;
    9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell’et-et, della condivisione, dell’armonia delle differenze, dell’“essere per l’altro”, dell’ “essere l’altro”;
    10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano, nel suo arco “da Costantino ad Hitler”, e la riapertura nella modernità della questione di Dio;
    11) il “caso Bergoglio”, preannuncio di una nuova fase della storia religiosa e secolare del mondo.
    Temi stimolanti, sulla maggior parte dei quali devo confessare di essere piuttosto impreparata e per questo mi piace soprattutto l’idea di una Scuola che mi aiuti ad approfondirli e credo che ci sia bisogno di giuristi, di economisti, di ecologisti, di sociologi, di storici, di filosofi etc., insomma di competenze e di Cultura.
    Però mi spaventa l’idea che questo comitato possa diventare una delle tante associazioni che esistono in città dove ci si ritrova, più o meno sempre le stesse persone – e questo è piacevole perché è un’occasione per ritrovare vecchi amici, forse per trovarne di nuovi – ma non si riesce a coinvolgere le persone che tutti i giorni si incontrano nei posti di lavoro, nelle strade, nei quartieri ecc. E mi chiedo in che modo si possa trovare un linguaggio che aiuti le persone a riflettere perché diventino consapevoli di come questi e altri temi ad essi collegati (organizzazione attuale del lavoro, quando c’è, precariato, disuguaglianze, scuola, sanità ecc.) impattino sulla nostra vita.
    È necessario che i gruppi, come questo che si sta costituendo, si colleghino per raggiungere tutti quegli strati sociali che oggi sono esclusi da attività di questo tipo.
    C’è bisogno dell’esperienza di tutti, delle donne e degli uomini, dei lavoratori pubblici e privati, degli operai, dei commessi, dei pastori e dei contadini, dei precari e dei disoccupati, degli studenti, degli anziani e dei giovani.
    Come fare in modo che nei dibattiti, quasi sempre molto interessanti, che le diverse associazioni organizzano nella nostra città, chiunque senta di poter intervenire per portare la propria esperienza e il proprio contributo, a prescindere dai titoli accademici, da incarichi politici etc?
    Se si vuole che davvero tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti si deve fare in modo che tutti si sentano accolti e capiscano di potersi esprimere. E forse per questo è necessario riflettere sul linguaggio per fare in modo che, senza rinunciare a rispecchiare la complessità della realtà, tutti possano capire come temi così complessi riguardino da vicino la vita quotidiana di ognuno di noi.
    Quelli che lavorano nella scuola certamente lo fanno già ed è forse anche grazie a loro che i giovani sembrano più sensibili soprattutto rispetto al tema dei cambiamenti climatici e del rispetto dell’ambiente. Forse c’è da lavorare con altrettanta forza sui temi del lavoro e della giustizia sociale.
    Bisogna individuare le forze vive che operano nella nostra società, nei nostri quartieri e nei nostri paesi. È necessario incontrarsi e discutere di questi problemi per capire se è davvero questa la Sardegna che vogliamo. Paesi dell’interno svuotati dei servizi essenziali, imbruttiti da costruzioni incompiute e spesso non rispettose del contesto, non collegati tra loro, dove anche per spostarsi di pochi chilometri si deve usare la macchina. E purtroppo la si usa anche per spostarsi all’interno dei centri più piccoli che si attraversano a piedi in pochi minuti. Coste in gran parte devastate o sulle quali si vuole ulteriormente infierire. Politica energetica senza una strategia chiaramente finalizzata a uno sviluppo che sia rispettoso della salute e dell’ambiente.

    • Luisa Lusso

    Io insegno Scienze nella Scuola e so che, sia grazie al lavoro che le/gli insegnanti fanno nelle varie discipline sia attraverso la recente sensibilizzazione passata attraverso il movimento agito da Greta, i ragazzi sono molto avanti, sono pronti per accogliere proposte di cambiamento, lo richiedono. Il problema è invece quello del coinvolgimento delle persone di una certa età, perché anche se vivono difficoltà dovute ai cambiamenti climatici non vogliono rinunciare a consolidati stili di vita.

    • Gabriella Lanero

    Penso sia da sottolineare come, nonostante la gravità e la complessità dei problemi, non ci sia nella politica una compiuta riflessione all’altezza. Questa consapevolezza ci ha spinto a mettere in piedi la Scuola di cultura politica Francesco Cocco, a coltivare una speranza di partecipazione facendo come prima azione quella di aprire, seppure con grandi sacrifici, una sede fisica che a breve sarà disponibile. Con l’Appello e la Scuola per la Costituente della terra penso possano nascere delle sinergie da mettere in campo; mi sento di indicare come due possibili direzioni per queste attività in sinergia da una parte quella di agire per dare risalto ad azioni ambientali in corso in città, importanti per il cambiamento degli stili di vita e per la riduzione dell’inquinamento ma che stentano ad avere una giusta ricezione, quella ad esempio promossa da anni da Andrea Olla per l’uso della bicicletta e per la diffusione delle piste ciclabili; dall’altra quella del passaggio di valori ai giovani, del trovare occasioni per intercettarli andando nelle scuole e collaborando con le/gli insegnanti e le loro associazioni.

    • Gavino Dettori

    1… ABUSO e USO IMPROPRIO della terra
    A nessuno viene in testa di contestare la proprietà della terra, ma non potremo sfuggire a quell’appuntamento:
    la distruzione dell’ambiente superficiale e il consumo delle risorse energetiche del sottosuolo, ci imporrà di rivedere le delimitazioni guerresche, e considerare la terra come bene comune dei popoli.
    Ma oggi è più immediato contestare il più urgente e impersonale fenomeno dell’inquinamento che è soffribile e vivibile da tutti nell’immediato;
    ma un altro inquinamento, da anzitempo ben più radicato e persistente grava su “madre terra”:
    è il “ terribile diritto” di proprietà che ha reso l’uomo schiavo ed ha alimentato le guerre dividendo ingiustamente la terra ove poi ogni popolo la usa a suo piacere anche se impropriamente…
    Ancora oggi ci sono popoli che non hanno terra ed è di qualche giorno fa che il popolo più potente della terra costituitosi
    con l’usurpazione della terra ai nativi si fa promotore della pace fra israeliani e palestinesi.
    È proprio dalla spartizione e dall’uso esclusivo della terra che ogni popolo si sente autorizzato all’uso anche improprio della terra inquinando il proprio ambiente e anche il mondo.
    È da qui che bisogna ripartire per mettere in crisi lo stato attuale dell’uso della terra.
    La COSTITUENTE della TERRA non può ignorare l’origine primario del male e curare la più apparente malattia della superficie.
    Ogni male deriva dall’uso esclusivo e improprio del suolo e delle energie del sottosuolo.
    Il problema energetico sarà il problema della criticità dei popoli, nessuno escluso, se non si studierà la più diffusa e democratica energia solare e non diventerà concezione comune che l’uomo potrà stabilire la sua residenza in ogni luogo, facendo patria di tutti il globo, inteso come luogo e bene comune.
    L’evidenza di questo fenomeno ed eventualità è tangibile se ci si guarda intorno con una visione complessiva dei fenomeni umani.
    Un capitolo sulla negazione della proprietà della terra, non dovrà mancare nella COSTITUENTE della TERRA. Questa idea e occasione, non dovrà farci mancare l’opportunità di mettere in forse questo diritto ormai obsoleto, da quando si è diffuso il concetto di democrazia e di liberalizzazione dell’uomo.
    Non dobbiamo pensare che sia impossibile perché sconvolgerebbe l’assetto attuale e consolidato del mondo.
    Lo stato del mondo è ancora in assestamento perché ci sono popoli che non hanno terra e le future esigenze energetiche ci imporranno una visione e utilizzo globale delle risorse naturali, giusto per usarle con parsimonia e con riproducibilità.
    Questo in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati all’alimentazione e alla conservazione dell’ambiente di vita e dell’intera ecosfera.
    Dopo che anche l’aria sarà irrespirabile, che altra possibilità avremo di vivere sulla terra?

    • Franco Meloni

    I problemi posti da Gavino ci fanno interrogare sul come possa rendersi possibile mettere in una Costituzione globale della Terra la questione giuridica della “proprietà della terra”.

    • Umberto Allegretti

    La proposta contenuta nell’Appello è condivisibile ma mi chiedo quali possano essere gli strumenti per renderla percorribile. Il documento oscilla su diverse prospettive; fra queste quella relativa a Costituente/Costituzioni, ma sappiamo che nella storia ci sono già state le une e le altre, che non hanno funzionato e quindi può apparire velleitario riproporre questo schema. L’altra prospettiva è quella del “partito” e sappiamo quanto possa essere pericoloso parlarne in un periodo di loro disgregazione. Resta invece quella della Scuola di cultura ed elaborazione politica che mi pare più realistica e concreta nel lungo periodo soprattutto se rivolta verso i giovani perché avrebbe più presa rispetto al cambiamento di atteggiamento; ma, sottolineo, è una prospettiva che richiede un lavoro sul tempo lungo.

    • Franco Meloni

    Mi pare che l’intervento di Umberto Allegretti, seppur equilibrato, sia critico rispetto al Progetto contenuto nell’Appello. Per me il Progetto dovrebbe avere “pratiche operative”, la Costituente non dovrebbe sostituirsi ad altri ma essere Soggetto che opera per integrazione delle diverse azioni.

    • Gianni Pisanu

    Un tema che mi è caro e che sta provocando disagio e disorientamento nel mondo del lavoro è quello della “non riconoscibilità sociale” nei nuovi lavori, anche alti, sempre più saltuari, isolati, sottoposti a cambiamenti statuali continui, trattati come merce qualsiasi e privi di diritti. Queste modalità di lavoro stanno provocando aggravamento nelle condizioni di salute sia dei vecchi che dei nuovi lavoratori.

    • Franco Meloni

    Ricordo il recente Appello su Salute e Sanità che abbiamo rilanciato su Aladinpensiero; c’è da chiedersi: quale “paternità” abbiano le polveri sottili a Cagliari?

    • Pierpaolo Loi

    Non siamo i primi a parlare di queste cose in Sardegna; le questioni ambientali in Sardegna sono strettamente legate anche alla sovranità alimentare, alla questione dell’abbandono del terreni … Ci sono però dei fermenti positivi nuovi perché ci sono fasce d’età giovane e media che stanno ritornando all’agricoltura, richiedono di poter utilizzare i terreni incolti in comodato d’uso, formano reti di sostegno economico come i GAS. Ecco, penso che una strada per noi potrebbe essere quella di mettersi alla scuola di questi giovani.

    • Franco Meloni

    In conclusione di questo primo incontro penso di poter dire che due azioni su cui far confluire iniziative e dibattito articolato per muoverci sul piano locale possano essere quelle delle criticità che riguardano l’Inquinamento e i Rifiuti a Cagliari. Ricordo che possiamo avere come BLOG di riferimento quello di Aladinpensiero. Penso che per l’incontro previsto per il 21 Febbraio a Roma potremmo elaborare un documento di sintesi di quanto emerso stasera dagli interventi.

    • Gianni Pisanu

    (considerazioni finali)
    L’incontro di Cagliari del 23 gennaio 2020 è stato un primo tentativo per inserirsi all’interno dell’iniziativa nazionale di un gruppo di persone interessate e/o attratte dall’idea di un movimento che vuole formarsi per promuovere i punti già riportati nel documento di Roma del 27 dicembre 2019 [http://www.aladinpensiero.it/?p=103254] senza preclusione per ulteriori obiettivi sempre ispirati a ecologia e giustizia sociale.
    Nell’incontro di Cagliari gli interventi hanno spaziato in entrambe le direzioni, indicando la possibilità di incontri col mondo dell’ambientalismo, della cultura e della scuola. Anche il versante politica, lavoro e Stato sociale è stato oggetto di disamina. Al momento, anche per la difficoltà di contatto con una moltitudine di persone e soggetti a dir poco variegata, si è richiamata l’esigenza che è palese, mentre le modalità di intervento sono da individuare.
    Come oggetto di riflessione, accenno all’utilità di dare alle iniziative che si vorranno intraprendere un taglio non elitario, in modo da non escludere o scoraggiare la partecipazione di strati sociali attualmente esclusi dalle discussioni, che rischiano di essere condannate all’autoreferenzialità.
    Occorre, se veramente si vuole incidere, tentare di accettare e promuovere contributi provenienti da persone e soggetti che abbiano qualcosa da dire a prescindere dalla levatura culturale e ruolo sociale. Quando si potrà contare sulla presenza alle iniziative di presenze che rispecchino maggiormente la composizione della popolazione lo scopo sarà raggiunto. La strada sarà lunghissima. Mi vengono in mente le sardine.
    Spero che queste brevi considerazioni avranno l’attenzione della delegazione anche in vista dell’incontro di Roma del 21 febbraio.

  • Marzo 07, 2020at12:20 PM

    Un prezioso testo del 2003

    SE VUOI LA PACE PREPARA LA PACE
    di DACIA MARAINI

    Moravia, che negli ultimi anni della sua vita si è molto occupato di pace e di guerra, diceva che bisogna creare un nuovo tabù. Così come gli uomini hanno creato la interdizione dell’incesto, dovrebbero creare il divieto della guerra, un divieto interiore che diventi tanto abituale e sacro da allontanare «naturalmente» gli uomini dalla guerra.

    Non tutti sono “fotografi di guerra”, ma quasi tutti i fotografi si sono trovati a contatto con la guerra nella loro storia professionale. Una guerra che ininterrottamente è presente dal cosiddetto dopoguerra a oggi: centinaia di conflitti in tutto il pianeta, 900 miliardi di dollari ogni anno in armamenti, oltre 86 milioni di morti, di cui l’80% civili, 35 conflitti aperti nel 2002, un’altra inutile e insensata guerra in arrivo.
    Molte cose nella storia possono cambiare. La schiavitù per esempio e la tortura sono state ritenute per lunghi anni inevitabili e fatali: al tempo dei romani possedere uno schiavo, venderlo o comprarlo era considerato un diritto “naturale”. Oggi, almeno teoricamente, la schiavitù e la tortura sono state bandite e chi le pratica lo fa di nascosto. Si è stabilito il principio della inumanità del possesso legale di un individuo da parte di un altro.
    Naturalmente in molti paesi, come denunzia anche Amnesty International, si continuano a vendere e comprare essere umani, soprattutto donne e bambini, da sempre alla mercé dei più forti. Però nessuno più pensa che ciò sia lecito e legittimo, e chi commercia in carne umana cerca di non farlo sapere in giro perché si rende conto di trasgredire a una legge accettata ormai da tutti.
    Molti pensano che la guerra sia una fatalità, qualcosa di ineluttabile ed eterno, come un destino a cui prima o poi dobbiamo soccombere. Perché non credere invece che, come è stata abolita la schiavitù, così la guerra può essere fermata e sostituita con la contrattazione, la diplomazia internazionale e un sistema di controlli polizieschi? Chi crede nella pace dovrebbe lavorare perché la guerra diventi un ricordo del passato, anche se ciò può sembrare per il momento una utopia. È chiaro che per arrivarci dobbiamo compiere una trasformazione culturale profonda, che comporterà rinunce e modificazioni anche dolorose del nostro pensiero! I motivi per cui si pensa che le guerre debbano esplodere sono di varia natura: ci sono le rivendicazioni territoriali, le dispute sui confini, le questioni religiose, le vendette storiche, le ragioni di mercato e di supremazia militare o politica, ma spesso sono solo dei pretesti che celano ragioni di rivalità politiche interne, odii irrazionali, debolezze da coprire con la creazione di un nemico esterno, questioni di volgare potere personale e interessi di classe o di corporazioni e lobby economiche. Se ci si riflette sopra, si scopre che al novanta per cento questi falsi pretesti potrebbero benissimo essere smascherati e risolti in altro modo.
    Quando si parla di una cultura della pace, c’è sempre qualcuno che tira fuori Hitler e la seconda guerra mondiale: si sarebbe potuto fermare il nazismo senza la guerra? La risposta più sensata è: in una cultura della pace, Hitler non avrebbe avuto lo spazio per imporsi e fortificarsi. Ma ci sono sempre dei pazzi, dice qualcuno, degli assassini, dei criminali che vogliono il male il male degli altri. E come fermarli? La risposta è che una cultura della pace dovrebbe comunque essere accompagnata da un sistema di controllo internazionale. Se ci fosse stato un organismo di questo genere, che avesse raccolto la rappresentanza di tutte le nazioni, e se questo avesse avuto la forza che oggi l’Onu ancora non possiede, incapace perfino di fare attuare le sue risoluzioni. Se ci fosse stato un organismo dotato di un sistema di polizia efficiente, alla prima invasione nazista, Hitler sarebbe stato fermato, magari con un’azione forte, ma che obbediva a un regolamento democratico, rappresentante la volontà di tutti i paesi.
    A questo proposito Moravia, che negli ultimi anni della sua vita si è molto occupato di pace e di guerra, diceva che bisogna creare un nuovo tabù. Così come gli uomini hanno creato la interdizione dell’incesto, diceva Moravia, dovrebbero creare il divieto della guerra, un divieto interiore che diventi tanto abituale e sacro da allontanare «naturalmente» gli uomini della guerra. Gli animali praticano l’incesto, così come gli uomini primitivi, prima dell’esogamia, lo usavano con molto tranquillità. Con l’esogamia, come spiegano grandi antropologi quali Malinowski, gli uomini decisero di creare il tabù dell’incesto per uscire dal proprio gruppo ristretto e attuare lo scambio con altri gruppi sociali, in modo da poter espandere e diffondere le conoscenze che permettessero di affrontare e controllare la natura ostile. Questo tabù sarebbe alla base della civiltà. Una legge del tutto artificiale, che è nata dalla necessità di proteggere, rinforzare e migliorare la razza umana. Una interdizione che nei secoli viene introiettata, fino a diventare un istinto, sentito da tutti come assolutamente naturale. Non è che una volta affermato il tabù, i rapporti sessuali in famiglia siano cessati, naturalmente, soprattutto il rapporto abusivo padre-figlia che nelle società patriarcali si ripete di generazione in generazione, ma l’incesto viene ormai vissuto come una infrazione della legge naturale e nessuno si sogna di chiedere la sua legittimazione.
    Anche per la guerra, l’interdizione che nascerebbe dalla necessità di preservare la razza umana dallo sterminio di massa, reso ormai inevitabile dalla guerre nucleari, all’inizio potrebbe sembrare innaturale e forzata, ma poi finirebbe per imporsi, insinuandosi nell’animo umano, fino a stabilirsi come un vero istinto naturale. Naturalmente conati di guerre locali continuerebbero a mostrarsi, ma non sarebbero più legittimate dai paesi. L’aggressività e la violenza si possono incanalare, fermare, limitare, ma non certo eliminare.
    Costruire una cultura della pace non è solo un sogno, anche se non è una cosa che si possa creare da un giorno all’altro. Qualcosa d’altronde è già successo: il fatto che, nonostante situazioni politiche internazionali molto critiche, si sia riusciti a evitare una guerra nucleare, è segno che la pericolosità di una simile guerra è già entrata nella coscienza dei più. Quello che bisogna fare ora è estendere questa presa di coscienza, ricordando, attraverso la scienza e la divulgazione, che il potenziale distruttivo delle armi atomiche diventa sempre più funesto e dirompente, e una guerra atomica significherebbe la distruzione del pianeta. Una volta le guerre erano relativamente piccole e ristrette, si combatteva con armi rudimentali, gli eserciti si scontravano ed erano soprattutto i guerrieri, pronti a dare e prendere la morte, che si ammazzavano fra loro. Oggi le guerre riguardano sempre meno gli eserciti e sempre più i civili che vengono sacrificati brutalmente per interessi che quasi mai li riguardano da vicino. Questa è un’aberrazione. A decidere la guerra sono i politici e i militari, ma poi chi muore sono soprattutto i civili, i deboli, i fragili, i bambini. Il che significa un attentato al futuro del mondo.
    Insomma cominciamo col dire qualcosa di nuovo, che va contro tutte le abitudini linguistiche: che le guerre non sono eterne, che possono essere fermate, che tutte le liti possono essere regolate da un organismo internazionale che rappresenti realmente gli interessi di tutti i paesi. Anche questa trasformazione della guerra, da scontro di eserciti a sacrificio dei più deboli, deve farci riflettere sulle ragioni della pace, che si fa sempre più necessaria e impellente. Le popolazioni del mondo hanno il dovere di fare sentire la loro voce, che conta, conta più di quello che si crede, perfino un dittatore ha bisogno del consenso interno ed esterno per scatenare una guerra.
    —-
    * Questo testo è apparso sulla rivista «Fronti di guerra», in vendita con l’Unità del 13 marzo 2003. L’articolo di Dacia Maraini è ripreso dal sito web “ilportoritrovato.net”

LEAVE A COMMENT