CARDINALI, UNA STORIA ESAURITA?
Care Amiche ed Amici,
col nome che portiamo, “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, non possiamo che essere sconcertati, e anzi arrossire, per le notizie riguardanti il denaro (uno dei due padroni di cui parla il Vangelo) che sono emerse in occasione dell’ultima crisi scoppiata nella Curia romana col caso del card. Becciu. Una Chiesa povera e per i poveri, come l’aveva sognata papa Francesco al momento della sua elezione, ma anche quale è stata spesso celebrata tra fiumi di retorica a partire dal Concilio, non può che essere turbata al vedere come girano i soldi – centomila euro, seicentomila euro, ed anche milioni – tra grandi Palazzi romani e londinesi e piccolissimi Palazzi di diocesi e di Caritas della Chiesa delle “periferie”. Prima di ogni sentenza di giudici o di esperti, si deve dire che la Chiesa è veramente fatta di poveri, e i poveri hanno del denaro e del suo maneggio tutt’altra idea perché ne dipende per loro – per noi – la nuda vita. E i mercanti non stanno al loro posto nel tempio: può anche darsi che a Gerusalemme imercanti e i cambiavalute e i loro fratelli e nipoti fossero onestissimi e ligi alle regole dagli stessi sacerdoti stabilite per il tempio, ma Gesù ha fatto benissimo a cacciarli e benissimo fa papa Francesco a cacciarli anche lui. Di ciò conosciamo bene quale sia il dolore ed il prezzo, per Gesù e per Francesco; ma se uno nel bel mezzo della religione tradizionale, con le spalle coperte dal Padre, si mette in testa di annunziare il Vangelo, che cos’altro si può aspettare? Al di là di tutte le dietrologie, delle inchieste sull’ “enigma Bergoglio”, delle supponenti lezioni di buongoverno ecclesiastico impartite dalla “Repubblica” e dall’ “Espresso”, e degli scoop dei giornalisti anticasta, questo, del Vangelo proposto come sommo criterio e legge fondamentale e canone per la vita della Chiesa e degli uomini, è il vero, immenso problema scoppiato in Vaticano da quando c’è uno che ha osato chiamarsi Francesco.
Governare è difficilissimo, anche nella società civile (che angoscia quel dibattito notturno Trump-Biden!); governare è una croce e non si capisce perché gli aspiranti ci si vogliano mettere sopra a tutti i costi; perciò oltre alla nostra indomita critica i governanti dovrebbero avere la nostra pietà; ma “governare” la Chiesa è ancora più difficile, quando non lo si faccia solo scrivendo encicliche, ma giocandoci la vita e volendo fare la volontà del Padre.
Perciò occorrerebberiprendere il discorso aperto dal Concilio sulla riforma del governo nella Chiesa universale, che il Vaticano II aveva impostato associando al papa (e mai senza il papa!) il ruolo del corpo episcopale, che in tal modo avrebbe dovuto subentrare a quello del “senato” cardinalizio. Quest’ultimo in passato aveva cooperato col ponteficenella guida della Chiesa, e aveva poi subito un declino dopo il Concilio di Trento con l’affermarsi dell’assolutismo papale e l’ascesa della Curia e dei dicasteri romani, riducendo infine il suo ruolo alla sola elezione del papa.C’era statadunque a suo tempo una supplenza dei cardinali; ma ora veniva riconosciutala successione dal collegio degli Apostoli al collegio dei vescovi, in forza della consacrazione episcopale; e non tutti i cardinali erano vescovi. Si cercò di aggiustare le cose decidendo che tutti i cardinali fossero anch’essi vescovi, ma era evidentemente un compromesso per salvare l’istituzione cardinalizia; in realtà la logica di quella teologia (come sostenevano Giuseppe Alberigo e la “scuola di Bologna”) era che il ruolo del cardinalato fosse ormai esaurito. Noi conosciamo dei cardinali deliziosi, in Curia e fuori, ma oggi il discorso della riformaandrebbe ripreso perché ne va di mezzo non una modalità istituzionale di governo, ma un’idea teologica della Chiesa al momento della sua crisi. In effetti le difficoltà incontrate dalla riforma della Curia, la prova deludente offerta da un Sinodo dei vescovi solo consultivo, l’anomalia di cardinali che nell’eccesso del loro potere come singoli offuscano o addirittura contrastano il ministero di papa Francesco, suggeriscono di riprendere in tutto il suo spessore ecclesiologico la via della sinodalità o collegialità nella Chiesa, del resto più volte riproposta dallo stesso papa Francesco.
Nel sito pubblichiamo un vecchiodattiloscritto ancora prezioso di Alberigo sulla storia del cardinalato, con una postilla sulla svolta del Concilio, e una riflessione di don Severino Dianich sul caso del cardinale Becciue il conflitto nella Curia.
Con i più cordiali saluti