Ci vuole una teologia della sequela
Ci vuole una teologia della sequela
Quella di papa Francesco nasce da una sensibilità con gli ultimi, che è la sensibilità della libertà e della precarietà di chi nacque in una mangiatoia e morì su una croce
di José María Castillo
Mi è capitato solo una settimana fa. Una donna, che ha già compiuto 92 anni, mi ha detto una delle cose che più mi hanno colpito nella mia vita. Mi ha detto semplicemente questo: “Quello che più significativamente distingue papa Francesco da tutti i papi precedenti è la sensibilità che ha di essere in sintonia con gli ultimi di questo mondo”.
Quest’affermazione mi ha fatto molto pensare. Perché vuol dire che quello che di più significativo ha ogni persona, non è quello che sa, quello che dice o quello che ha, ma la qualità della sua sensibilità. Una qualità che si misura tramite la persona con la quale è in sintonia. È evidente che essere in sintonia con i sapienti ed i potenti, con i ricchi e con coloro che comandano, con le persone famose e importanti, tutto questo è normale, e tutti o quasi tutti condividiamo questo atteggiamento. Ma avere una sensibilità che è in sintonia con le persone con le quali nessuno è in sintonia, questo sì che è stupefacente, infrequente, anormale e veramente straordinario.
Per comprendere la profondità di questa riflessione così semplice che ho appena fatto, è necessario considerare che non sono la stessa cosa un “segno” ed un “simbolo”. Il “segno” comunica “conoscenze”. È quello che facciamo mediante i segni fonetici (per esempio, le parole) o con i segni visivi (per esempio, i segnali stradali …). Il “simbolo” trasmette “esperienze” (affetto, odio, paura, indifferenza, pace, ansia…). Per questo lo “sguardo” viene prima dell’“occhio”. Uno sguardo ci rende felici o ci rattrista la vita. Poi, probabilmente, vorrò sapere come ha gli occhi la persona che con l’espressività del suo sguardo mi ha trasmesso felicità o dolore.
Cosa c’è dietro quest’esperienza? Qualcosa di molto profondo, di cui tante volte non siamo coscienti. È la sensibilità. Quello a cui siamo sensibili. O al contrario, completamente insensibili.
Ma fatto sta che la sensibilità che abbiamo è quello che ci configura e ci definisce nella vita.
Ed è quello che determina quello che facciamo o quello che smettiamo di fare. Per questo, perché noi esseri umani siamo così e ci comportiamo così, proprio per questo si capisce che nei quattro vangeli, quando si spiega l’incontro e la relazione dei discepoli (e della gente) con Gesù, si dà più importanza alla “sequela” di Gesù che alla “fede” in Gesù. Basti sapere che, nei vangeli sinottici, della fede (pístis) si parla 36 volte, mentre la sequela (akolouthéin) di Gesù è citata 57 volte. E nel vangelo di Giovanni, che tanto insiste sulla fede (40 volte), la prima e l’ultima cosa che sono spiegate è la sequela di Gesù, così come l’hanno vissuta i discepoli (Gv 1, 37. 38. 40. 43; 21, 19. 20. 22).
Tuttavia, nella Chiesa si è lavorato duro per costruire, mantenere ed applicare alla vita dei fedeli una solida teologia della fede. Per questo nel Vaticano esiste una Sacra Congregazione della Dottrina della Fede, che ha un potere decisivo nell’organizzazione e nella gestione del governo ecclesiastico.
Tuttavia, dopo più di venti secoli, nella Chiesa non abbiamo ancora una solida teologia della sequela di Gesù. E – cosa che è più strana – la teologia dogmatica ha tolto di mezzo la “sequela”. E l’ha spostata nella spiritualità. Si promuovono così la pietà e la devozione ed al contempo si promuovono anche le vocazioni presbiterali e religiose.
La preferenza di vescovi e teologi per la teologia della fede è comprensibile. “Accettare la fede” comporta inevitabilemente “accettare la sottomissione” della mente, della coscienza, della volontà a quello che dice e decide la Gerarchia. Essere un buon credente è farsi sottomesso e rinunciare a una mentalità veramente critica. Questo va bene al clero, che in questo mondo conserva la sua sacra potestas. E va bene ai fedeli sottomessi, che in questo modo tranquilizzano la loro coscienza.
Con la certezza che Dio li perdona sempre, qualunque sia il peccato che possano commettere.
Si comprende, quindi, il fatto che la teologia della fede sia la preferita da coloro che esercitano la sacra potestas. Ed anche da coloro che, tramite la loro ortodossia di credenti, si vedono con la “coscienza tranquilla” e le “mani pulite”. Mentre, al contrario, si comprende anche il fatto che la teologia della sequela di Gesù sia stata spostata ai margini della Dogmatica. Per rimanere collocata nel campo della Spiritualità. Così i fervorosi, i devoti, i chiamati a grandi eroismi di generosità entrano nei seminari o vanno in un noviziato per “identificarsi con Gesù”. Questo sicuramente è quello che si diceva una volta.
Non metto in dubbio minimamente l’importanza fondamentale della fede, come l’ha sempre
spiegata la Chiesa. Il problema – a mio modo di vedere – sta nel fatto che, se accettare la fede è accettare la sottomissione, allo stesso modo accettare la sequela di Gesù è impegnarsi con la libertà di qualsiasi sottomissione che non sia altro che “vivere come Gesù ci insegna nel suo Vangelo”.
Ebbene, qui entra in gioco la sensibilità. Il dizionario della RAE (“Real Academia Española”, ndt) dice che “sensibilità” è la “propensione dell’essere umano a lasciarsi coinvolgere dai sentimenti di compassione, umanità e tenerezza”. Fa teatro papa Francesco quando abbraccia e bacia i bambini, gli ammalati, gli anziani ed i poveri? È un commediante quando lo vediamo felice nell’essere vicino agli ultimi di questo mondo? Non vi è dubbio: la teologia di papa Francesco nasce da una sensibilità che, quando si lega con gli ultimi, è la sensibilità della libertà e della precarietà che ha vissuto quel povero galileo di Nazareth, che è nato dove nascono gli animali (una mangiatoia) ed è morto dove finiscono i delinquenti (una croce).
La teologia di Francesco è, prima di tutto, la teologia della sequela di Gesù. Una teologia alla quale non siamo abituati. Per questo sconcerta alcuni, indigna altri ed a tutti noi pone domande alle quali non sappiamo rispondere. Domande che liquidiamo dicendo tranquillamente (ed a volte indignati) che questo papa “non sa di Teologia” e non è il papa di cui ha bisogno la Chiesa. Non sarà forse che la nostra Teologia è più disorientata di quello che possiamo immaginare?
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Articolo pubblicato il 26 maggio 2017 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com )
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli