DA ROMA CON SPERANZA
DA ROMA CON SPERANZA
È stata una prova d’orchestra ad intra, per passare ad un’esecuzione corale ad extra. Si è aperta una prospettiva comune, si è assunto un compito collegiale, si è individuato un metodo di condivisione: insomma, un kairós. Come stare nel cambiamento d’epoca. Riportare il mondo della fede a interagire col mondo della vita
Alberto B. Simoni
Prima di poter entrare nel merito delle relazioni e tentarne una valutazione documentata, l‘assemblea del 2 dicembre a Roma di “Chiesa dei poveri Chiesa di tutti” consente qualche risonanza dal vivo. L’impressione d’insieme è stata quella di una prova di orchestra ad intra, per passare ad una esecuzione corale ad extra. Sembra cioè che si sia verificato un accordo tra vari componenti l’organico e sia stato trovato il passo giusto per andare avanti. L’assemblea cioè non si è esaurita in se stessa, ma ha creato tutte le condizioni per essere il centro di irradiazione concentrica in continuità di comunicazione e di coinvolgimento.
Si potrebbe dire che si è aperta una prospettiva comune, si è assunto un compito collegiale, si è individuato un metodo di condivisione. Personalmente potrei dire che sono stati fugati gli interrogativi che ponevo sulla base del testo di convocazione: e cioè che l’incontro si risolvesse in una ulteriore dichiarazione di intenti, finalizzati alla causa della umanità in nome della fede, e questo quando la fede ha perso quel sapore che dovrebbe dare al mondo e alle cose. Se infatti la causa del vangelo fosse solo una questione di efficienza e di efficacia storica, non farebbe più problema, tale e tanta è la mobilitazione delle chiese in un mondo in rivolta.
Ma il fatto è che la prima radicale mutazione dovrebbe avvenire nelle persone, sia in quanto singole che nel loro convivere: appunto mediante la fede, che non è solo un presupposto ideologico di azione verso l’altro, ma ha una sua specifica dimensione di verità e spessore di realtà, e pertanto richiede una cura ed elaborazione appropriata, che non sia solo la gestione pastorale di conservazione. E’ la dimensione teologale e teologica, che non significa gabbia per una fede ridotta a mondo religioso separato dalla “massa damnata” da salvare; semmai è seme da far marcire nel terreno della vita perché porti frutto. Una fede, in altre parole, che sostanzia l’esistenza senza snaturarla ma perfezionandola, e si fa intelligenza, cuore e agire del credente “in persona Christi”.
Devo dire che da questo punto di vista, la giornata di Roma ha rappresentato un vero e proprio kairós, non perché questo nodo sia stato sciolto, ma perché si sono create le condizioni per metterlo all’ordine del giorno, al fine di riportare il mondo della fede – in senso oggettivo e soggettivo – ad interagire col mondo della vita alla maniera descritta da Sap 7,27: “Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti”. Che è poi quanto ripeteva Papa Giovanni – come è stato ricordato in assemblea – riguardo al vangelo che non cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. Un lavoro lanciato dal Vaticano II, ma sempre tutto da compiere come maturazione spirituale e culturale dell’intero Popolo di Dio in senso profetico.
Qualche osservazione relativa alla impostazione che Raniero La Valle ha dato al tema del “cambiamento d’epoca” – “Ma viene il tempo ed è questo…” – può servire da esemplificazione di quanto sto dicendo. Egli individua alcune aree in cui qualcosa finisce per un nuovo inizio. Esse sono: quella pubblica dove la guerra verrebbe meno come strumento di politica e lascerebbe il posto alla somiglianza col Dio non violento; quella delle migrazioni dove il “mondo colombiano” della conquista e del genocidio cadrebbe per dar luogo allo jus migrandi come diritto universale; quella delle ecologia, dove al rischio di ecocidio si farebbe fronte con un nuovo “nomos” della terra non più fondato sulla appropriazione, divisione, produzione; infine quella della cristianità, la cui fine porterebbe al tempo della adorazione del Padre in spirito e verità, appunto il tempo che viene.
E’ chiaro che si tratta di linee di tendenza o di piste da imboccare e su cui si può discutere. Ma le mie osservazioni per il momento sono altre: si tratta precisamente della costatazione che alle prime tre sfere fanno riscontro – sia in ambito ecclesiale che nel mondo laico – movimenti e forze impegnati nel processo di cambiamento. Per quanto riguarda la “fine della cristianità” tutto rimane affidato a presunti automatismi o al caso, pensando magari che la Chiesa intera e tutte le Chiese siano pronte all’abbandono di eredità pesanti e dedite ad una radicale rinascita. Ma è proprio così? Non è vero piuttosto che proprio quella che dovrebbe essere principio e fine di ogni altro cambiamento sia in effetti la sfera più scoperta?
Ma è importante che sia stata individuata e segnalata come compito. Noi per la verità ci troviamo già incamminati su questa pista, ma è buona cosa che la questione venga posta all’ordine del giorno per tutti e noi si possa fare coralmente la nostra parte. Anche se – come mi faceva presente Raniero La Valle – lasciamo trasparire qualche venature di pessimismo. Il fatto è che per noi la prospettiva di entrare in una nuova epoca non è solo questione culturale, storica o teologica, ma è “pastorale”, e cioè di impegno diretto sul fronte di una trasformazione difficile da ottenere, se non vogliamo contentarci di soluzioni immediate ad effetto. D’altra parte ci ritroviamo a districarci tra le maglie di una cristianità che si impone come norma unica!
Questo può bastare per il momento, perché è chiaro che è su questa linea che dovremo muoverci in maniera sempre più esplicita e condivisa, se vogliamo farci portatori ed interpreti di un cambiamento d’epoca, che porta a guardare lontano ma anche a vedere dove mettere i piedi. E’ un impegno a tutto campo a cui peraltro ognuno può dare il suo apporto, anche minimo, di fede, di esperienza, di riflessione, di cultura, di condivisione per la rigenerazione e la nascita di un soggetto evangelico nuovo.
Alberto B. Simoni