Non c’è solo l’inferno

Dante, la libertà politica, la libertà morale

Una delle difficoltà che la pandemia ci ha rivelato è quella di tenere in vita, nei momenti di grande difficoltà, la fiamma della speranza. Intesa non come banale ottimismo ( l ‘ “andrà tutto bene!” rapidamente disintegratosi) ma come certezza e saldezza nell’attesa di un bene che deve arrivare, ma di cui non sappiamo in quale forma o con quali tempi arriverà. In altri termini la medesima speranza che probabilmente poteva nutrire Dantequando affrontava con coraggio e dignità la sua sorte di exulimmeritus destinato ormai a non rivedere più la sua patria di origine.  La sua Commedia forse ci potrebbe aiutare a tener viva questa speranza. Ma solo se davvero la potessimo ben apprezzare. Credo che purtroppo il Dante che conosciamo, il Dante che anch’io ho conosciuto e studiato, sia solo unametà del Dante della Commedia.

Come insegnante ho spiegato per tanti anni e commentato i canti della Commedia, ma solo ora mi accorgo di non essere stato all’altezza di ciò che era necessario. Ho fatto ciò che potevo, ma non ciò che avrei dovuto fare.  Come i miei vecchi docenti di fine anni sessanta, ma con più colpe di loro perché il tempo era passato ed erano a mia disposizione analisi molto più avanzate, anche se forse poco divulgate.

Abbiamo letto la Divina Commedia come una antologia di personaggi, non anche come la storia del cammino di un personaggio in divenire, il Dante protagonista, non il Dante autore. Ci siamo concentrati sui personaggi. E i personaggi che ricordiamo appartengono tutti o quasi alla prima cantica, all’ Inferno. Nessuno dei personaggi delle ultime due cantiche pare reggere il confronto conFrancesca da Rimini,  Farinata  degli Uberti, Cavalcante de’ Cavalcanti, Pier delle Vigne, Brunetto Latini,  Ulisse, Guido da Montefeltro, Conte Ugolino. Dopo di loro non c’è più nessun “grande” personaggio, forse con le sole due eccezioni di Manfredi e di Francesco di Assisi. Nessuno deglialtri personaggi del Purgatorio e Paradisoregge il confronto coi primi. Evidentemente personaggi considerati sbiaditi o, in qualche modo, “diminuiti” umanamente dall’ aureola della penitenza o della beatitudine. La vera e profonda umanità sarebbedunque quella rappresentata nell’ Inferno. Il mondo del “trasumanar”, il Paradiso,non conserverebbe più molto di umano, ma non molto diverso sarebbe il mondo dei penitenti.

Il fatto è che il Dante che conosciamo e apprezziamo è soprattutto il Dante che descrive le passioni degli uomini,il grande analista del male umano. Il male è un contraddirsi profondo dell’uomo( “peccare” è in ebraico biblico,hata’, “mancare il colpo, fallire” ), come ben spiega un demonio a Guido da Montefeltro. E’ un disperdersi dell’uomo, che disprezza e allontanada sé  l’unità di quell’ ordoamoris in cui è inserito. Il male, nel senso di peccato, non è il perseguimento di un bene chissà perché vietato, maè una  autodistruzione della persona, della sua tendenziale armonia.Esattamente quello che mi aveva insegnato da piccolo mia madre in una preghiera di cui ora ricordo solo le parole finali, che mi piacevano, non so perché, ma di cui allora da bambino non potevo comprendere il profondo senso esistenziale: “Signore fa che io non  resti confuso in eterno”.

Questo è certamente importante, moltoimportante. E forse non sempre si fa. E’ importante per capire la distinzione sottile, ma abissale, che separa la esperienza erotica di Francesca da Rimini, da quelle, in apparenza  analoghe, di Pia de’Tolomei o di Cunizza da Romano, una penitente e una beata.  Ma se questo è il male, che cosa è il bene e qual è il bene umano che Dante personaggio va cercando, quel bene che cerca attraverso il lunghissimo viaggio, necessario per superare le insidie della lupa ? Non può essere ovviamente soltantola beatitudine eterna, dato che Dante è ancora in vita, e intraprende il viaggio per capire come affrontare la vita terrena,  ma deve essere una dimensione che egli può trasfondere nella sua concreta esperienza umana. E quindi non qualcosa che pertiene solo alla sfera religiosa. E d’altra parte il bene non è semplicemente l’assenza di male ( come magari si può anche pensare).

Un dantista “anomalo”,Papa Montini, o “San Paolo VI” se vogliamo,  ha scritto che «In Dante tutti ivalori umani (intellettuali, morali, affettivi, culturali, civili) sono riconosciuti, esaltati; e ciò che è benimportante rilevare, è che questo apprezzamento e onore avviene mentre egli si sprofonda neldivino, quando la contemplazione avrebbe potuto vanificare gli elementi terrestri».In realtà Purgatorio e Paradiso inseriscono altre dimensioni che realizzano questo “apprezzamento”.  Se non si comprende questosi comprende la Commedia solo per metà o per un terzo.Infatti è solo attraverso le ultime due cantiche che possiamo capire qual è il bene umano che Dante persegue.Solo così si può capire cosa Dante intenda per la pienezza dell’essere umano.

Prendiamo come esempio il Purgatorio.Cosa è il Purgatorio dantesco? Il Purgatorio dantesco è il regno della libertà e della speranza, o, detto altrimenti, la vicenda della conquista di libertà e speranza.   Libertà va cercando, ch’è sì cara/come sa chi per lei vita rifiuta ( Purgatorio, I, 71-72) dice Virgilio a Catone l’ Uticense, il  custode del Purgatorio. La riflessione del Purgatorio è una riflessione sulla libertà morale , che è infatti oggetto dei canti centrali dell’ opera ( il XVII del Purgatorio è quello che divide in due parti esatte la Commedia, dopo i primi 49 canti, tolto quello iniziale,  e prima dei 49 canti successivi). Il XVII canto èil canto sull’ordinamento morale del Purgatorio e sta a cavallo tra due canti in cui si parla di libero arbitrio.  La libertà politica che tanta importanzaha per Dante, non potrebbe vivere senza la libertà morale o libero arbitrio.

Ma cosa è questa libertà? Lalibertà che Dante va cercandonon è tanto una condizione oggettiva quanto una situazione soggettiva che deve esser costruita, conquistata con enorme fatica ( per questo il lungo  viaggio nell’al di là del pellegrino) dal soggetto umano, è la libertà morale, quella che si configura come capacità di eleggere, di scegliere tra bene e male, e di rispondere di ciò che si è scelto, la libertà responsabile. Non siamo nati liberi, siamo stati chiamati alla libertà. Non è semplice,raggiungere questo stato di libertà anche seognuno può arrivarci con le sole forze della ragione. La ragioneinfattitalvolta si muove entro un buio che ottenebra  la vista, entro il “buio d’inferno”- quello con cui si apre il XVI canto del Purgatorio- , che deriva dalle passioni, dal senso comune, dai pregiudizi , da ciò che chiamiamo o crediamo “cultura”, e che invece serve solo ad annebbiare la mente. Cosicché la ragione stessa per “lungo silenzio” talvolta pare “fioca”, debolissima, impotente. E ci sentiamo soli e abbandonati. Talvolta poi quella che ci pare luce potrebbe anche essere buio. Bisogna stare attenti che “la luce che è [ in noi ]non sia tenebra” ( Luca 11,35).

Questa libertà però ci conduce al polo opposto rispetto al libertarismo radicale o anche al  liberismomercatista oggi imperanti. Noi, da tempo,ci siamo abituati più alla liberazione che alla libertà. Se la libertà èsoltanto, o soprattutto,  una condizione oggettiva ( una assenza di vincoli)  di cui dobbiamo godere, al limite l’assenza di ogni vincoloe di ogni confine, anche di quelli morali, la libertà finisce per essere espressione di volontà individuale, al limite potrebbe essere la volontà cieca di vivere ( Schopenauer), o addirittura volontà di potenza , anche in versione “casareccia” e ben lontana dalla drammaticità di Nietzsche. O meglio, la libertà potrebbe essere solo una illusione, come certi psicanalisti ci raccontano. Solo la liberazione ( da qualcosa) esiste, la libertà in sé no.

Quanti pseudo-diritti o diritti “cosmetici”e insignificanti nascono oggi da questa volontà, da questa libertà priva di responsabilità, da questa banale, ma tragica, confusione di libertà e di volontà ? Banalmente la “libertà” di fare uso di sostanze stupefacenti non è il primo gradino di questi “diritti”?  Ma riflettiamo un attimo. Questa (pseudo)libertà naturalmente non può che aborrire il sacrificio e il dovere. Ma senza lalibertà responsabilepossono funzionare le società umane?

Senza questa libertà come scelta di unbene cui aderire, quale storia avremmo avuto nella nostra Europa, nella nostra Italia? Avremmo avuto davvero un miglioramento umano e sociale ? Avremmo avuto, solo per fare un esempio chiaro a tutti,la Resistenza al nazifascismo?Le lettere dei condannati a morte della Resistenza- che siano comunisti, cattolici, socialisti, democratici, “credenti” o “non credenti”-testimoniano, più o meno tutte, la convinzione, la “credenza” che la libertà  sia non un diritto, ma un dovere, frutto di una scelta e dell’adesione a un bene,   e come tale, l’unico titolo che legittimi  anche il sacrificio estremo che vuol dire rinuncia ai propri cari e al proprio mondo familiare, e la convinzione che  il sacrificio personale è fatto in nome di un bene- chiamato “patria”- che include giustizia e pace , un bene che non c’è ancora, ma la cui realizzazione è attesa con serena certezza, una certezza data  dalla sola forza della  speranza. Queste lettere testimoniano dunque la medesima libertà e speranza di Dante.    E viceversa per quale libertà “lottavano”i brigatisti rossi come quelli che sequestrarono e trucidarono Aldo Moro? La libertà non compariva certamente nei loro scritti deliranti ma neppure la liberazione. Non c’era alcuna libertà nella lotta cieca e disperata contro un nemico onnipotente e inesistente, partorito dalla loro obnubilata “ragione”.

 Oggi siamo di fronte a tragedie certamente diverse. Ma quale idea di libertà possono avere i ragazzini di oggi che esitano a vedere il male che fanno negli atti di bullismo, che  confondono  libertà e volontà, capacità di scegliere senza pregiudizi ed espressione immediata e cieca dell’ impulso istintivo?  E quale speranza possono nutrire senza l’idea di una libertà creatrice di bene ?

Oggi sembra che, anche prescindendo dal COVID, il il degrado del pianeta sia qualcosa di irreversibile, come  il degrado morale e , sociale. Che senso ha in questo contestouna lotta, se non c’è speranza di un futuro diverso davvero positivo? Oggi la speranza intesa come attesa fiduciosa di un bene futuro che non possiamo conoscere in concreto sembra una cosa impossibileo una fiaba per bambini. Il mondo del possibile non è più nell’uomo, ma è fuori dall’uomo. E’negli smartphone, nell’intelligenza artificiale nelle città smart, nelle cose smart, nell’ Internet delle cose. Ci siamo alienati dalla speranza. Perché sperare allora? Sperare non è più né possibile né necessario.

La speranza ( e la libertà vera)è distrutta dalla tecnologia, ancor prima di esserlo dalla pandemia e dalla dissoluzione delle relazioni umane che essa rivela. La speranzaè distrutta sistematicamente perché  non ci sono più possibilità dipendenti dall’uomo e dai suoi sforzi. Le uniche possibilità sono quelle della tecnica che amplifica ciò che già c’è. Le speranze che anticipano il futuroe decidono i processi storici, e che rendono effettiva la libertà dell’uomo sembrano pure chimere.

Dante è fallito nel suo tempo,è vero, ma solo perché era più grande del suo tempo, come Cacciaguida gli spiega:“Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote, e ciò non fa d’onor poco argomento” ( Paradiso XVII, vv. 133-135)  …. Ma Dante ha costruito il futuro. Ha saputo vedere col pensieroaddirittura anche il futuro dell’ Europa. Se è vero che nelDe Monarchia vede l ‘ Europa come una sorta di governo comune che assicuri un ordine pacifico, proprio negli stessi anni in cui un altro grande studioso che Dante non conosceva, un monaco benedettino della Stiria, Engelbert d’ Admont lanciava la medesima idea a partire dalla riflessione sull’ Impero romano nelDe ortu et fine romani imperii.

   Questa tensione verso la libertà animata dalla speranza è ciò che ha fatto progredire la storia. Ma questo è proprio ilDante che manca nella cultura diffusa. Anche oggi senza questa dimensione della speranza alla base della libertà creativa dell’uomo non sembra facile uscire dalle tragedie, come quella pandemica per tornare a guardare alla comunità che dobbiamo costruire per tornare a vivere insieme.

Umberto Baldocchi

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