DICONO DI FRANCESCO
DICONO DI FRANCESCO
Scrive il predecessore Benedetto XVI che papa Francesco è tanto teologo e filosofo, quanto lui, Ratzinger, non è solo un teorico ma comprende la vita concreta dei cristiani oggi. Continuità nella differenza. Il cardinale Müller aveva detto di non poter accettare tutto, ma di non essere un oppositore del papa. Per Kasper è un pontificato profetico. Per Bassetti papa Bergoglio si è ispirato totalmente a Giovanni XXIII e al Concilio. Un dossier del Tg2 su “Il papa scomodo”
Per Benedetto XVI, il papa di ieri, l’attuale Pontefice «è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica». E sbaglia dunque chi sostiene il contrario. Ratzinger lo ha scritto in una lettera a mons. Viganò, Prefetto della Segreteria per la comunicazione in occasione della presentazione della collana “La Teologia di Papa Francesco”, pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Ed è stato lo stesso Viganò, che della collana è l’ideatore, a renderla nota nella sede della Radio Vaticana, durante un incontro con la stampa il 12 marzo.
«Plaudo a questa iniziativa – scrive Benedetto XVI – che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi». «I piccoli volumi – aggiunge l’ex papa Benedetto – mostrano a ragione che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento».
Il vecchio Papa ringrazia di aver ricevuto in dono gli undici libri scritti da altrettanti teologi di fama internazionale che compongono la collana curata da don Roberto Repole, presidente dell’Associazione Teologica Italiana.
Come fa notare Andrea Tornielli su La Stampa e Vatican Insider, non è la prima volta che il Papa emerito fa sentire la sua voce manifestando sintonia con il successore, anche se mai l’aveva fatto con questa forza. Nell’ottobre 2015 si tenne a Roma un convegno teologico sulla dottrina della giustificazione. In quell’occasione venne letto dall’arcivescovo Georg Gänswein il testo di un’intervista con Ratzinger realizzata dal teologo gesuita Jacques Servais su «cosa è la fede e come si arriva a credere», nella quale papa Benedetto citava Francesco parlando diffusamente della misericordia: «L’uomo di oggi ha in modo del tutto generale la sensazione che Dio non possa lasciar andare in perdizione la maggior parte dell’ umanità. In questo senso la preoccupazione per la salvezza tipica di un tempo è per lo più scomparsa. Tuttavia, a mio parere, continua a esistere, in altro modo, la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante – a partire da suor Faustina (Kowalska, santa, ndr), le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina».
«Papa Giovanni Paolo II – continuava Ratzinger – era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. Ma non è di certo un caso che il suo ultimo libro, che ha visto la luce proprio immediatamente prima della sua morte, parli della misericordia di Dio. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza».
«Papa Francesco – continuava Benedetto XVI citando il suo successore – si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia».
Il 28 giugno 2016 – continua Andrea Tornielli – in occasione del 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger, si era svolta una cerimonia nella Sala Clementina in presenza di Papa Francesco e del suo predecessore.
Benedetto, nel breve saluto finale, era tornato a parlare della misericordia: «Grazie soprattutto a lei, Santo Padre! La sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio».
Kasper: un pontificato profetico
Alla presentazione del volume, presso la Sala Marconi di Palazzo Pio, dopo l’intervento introduttivo di monsignor Viganò, il cardinale Walter Kasper ha parlato della teologia di papa Francesco. Secondo Kasper la teologia di papa Francesco è di tipo profetico.«Una profezia che parla con le parole, ma anche e soprattutto con i gesti». Egli annuncia «un tempo di misericordia, particolarmente propizio in un periodo storico segnato da brutale violenza, dal dominio del “dio-denaro” e dalla globalizzazione dell’indifferenza». Questa “rivoluzione” introduce perciò, ha aggiunto il porporato, «una mistica dagli occhi aperti ai bisogni del fratello, associata a una antropologia che coniuga storicità e trascendenza dell’uomo».
Papa Bergoglio «non è dunque un liberale, ma un radicale». Va cioè alla radice del Vangelo e invita gli uomini a «lasciarsi guidare dalla pedagogia di Dio». Il cardinale Kasper ha sottolineato che il suo magistero «da una parte incontra la resistenza del conservatorismo fondamentalista, dall’altra delude molti riformisti liberali in Occidente, perché il suo programma non è liberale, ma radicale» e, «come ogni profezia, molto resta aperto».
Come riferisce l’Avvenire l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il gesuita Luis Francisco Ladaria, assente per un’indisposizione, ha inviato il suo discorso, che è stato letto dal sottosegretario del dicastero, don Matteo Visioli. Anche questo testo ha ruotato attorno al concetto teologico di misericordia, partendo dalla considerazione che nell’antropologia biblica il cuore, sede dei pensieri e dei sentimenti, «può essere trasformato e purificato solo da Dio», liberando l’uomo dal peccato e dalla morte con «una vera e propria ri-creazione». In questo senso la misericordia è l’aspetto più radicale del manifestarsi di Dio, «perché non si rivolge solo a chi lo merita, ma anche a chi se ne era reso positivamente indegno». Ladaria nel suo testo ha sottolineato che «solo conoscendo il peso del peccato possiamo conoscere il peso ancora più grande della grazia divina», e, in particolare, «nel costato trafitto di Gesù la pietà e la fede dei cristiani scoprono la misericordia che il suo cuore aperto rivela».
Don Roberto Repole, presidente dell’Associazione Teologica Italiana e curatore della collana in tal modo presentata, ha concluso l’incontro dicendo come il magistero del Papa possa essere letto come un discernimento sulla cultura tardo-moderna del nostro tempo, per recepirne, proprio come ha insegnato il Concilio, gli aspetti positivi e criticarne profeticamente quelli inconciliabili con il Vangelo. L’esempio tipico è quell’autonomia dell’uomo, che «è positiva quando porta a collaborare con Dio» nell’opera della salvezza, ma diventa dominazione tecnocratica, se sganciata da questa collaborazione. Repole ha anche sottolineato il «forte stimolo» per i teologi di oggi rappresentato dal pensiero teologico di papa Francesco, un pensiero capace di evitare il «fissismo che non è veramente tradizionale» da un lato e l’adattamento ai tempi dall’altro.
Il responsabile editoriale della Libreria Editrice Vaticana, fra Giulio Cesareo, ha detto infine che sono in corso trattative con editori di tutto il mondo per la distribuzione della collana in inglese, spagnolo, francese, portoghese, polacco e romeno, edizioni per le quali fino ad ora sono stati siglati accordi.
Il dossier del Tg 2
Al pontificato di papa Bergoglio a cinque anni dal suo inizio, aveva rivolto la sua attenzione anche un Tg2 Dossier, il 3 marzo scorso, con una trasmissione dal titolo “Il papa scomodo”, curata da Enzo Romeo. Molti erano stati gli interlocutori che avevano espresso il loro giudizio, tra cui il cardinale Müller, l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede nominato a quell’incarico da papa Benedetto XVI nel 2012, e sostituito poi da papa Francesco alla fine di giugno del 2017, con il gesuita Ladaria Ferrer. Di grande rilievo anche la risposta del cardinale Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana.
All’arcivescovo di Perugia, cardinale Gualtiero Bassetti, il Tg2 ha chiesto se, anche in Italia papa Francesco, al di là della sua popolarità, è davvero ascoltato. Questa la risposta:
«È il destino dei profeti. Il papa non si cura dell’immediato. Ha una fede incrollabile ed è un seminatore del Vangelo. Il seminatore, che piova o che nevichi, getta il suo seme. E il seme nasce non perché è il seminatore che lo fa nascere, ma perché c’è una forza interiore esplosiva di vita che lo fa germogliare, nei tempi che Dio vuole».
Al Convegno di Firenze, nel novembre 2015, il papa ha chiesto alla Chiesa italiana di non difendere posizioni acquisite e navigare in mare aperto. La risposta è stata finora soddisfacente?
«Cambiare orientamento con una conversione che riguardi la mente e il cuore: questo ha chiesto alla Chiesa italiana. Ha definito la Chiesa come una mamma. Se una mamma genera dei figli, questi figli li cura, li protegge, se si allontanano li va a trovare. Ecco la Chiesa che diventa ospedale da campo. Quindi una Chiesa che è continuamente in uscita, che non ha bisogno di difendere se stessa, perché l’ha già difesa Gesù Cristo versando il suo sangue sulla croce».
Questi i principi. Poi c’è l’applicazione, che non è facile. Quando, ad esempio, il papa chiese di ospitare migranti nelle canoniche molti parroci storsero il muso… È difficile applicare le direttive di Francesco?
«È difficile proprio perché implicano un cambiamento di mentalità. La canonica è un diritto “mio” (lo afferma il diritto canonico). Allora, se non cambi la mentalità certe cose che il papa dice non le capisci».
Come vescovi italiani, quando il papa disse “sceglietevi voi il presidente” la decisione fu invece di indicare una terna e far decidere a Francesco. Spaventa la collegialità?
«La collegialità non è semplice. È proprio una novità del Concilio perché eravamo abituati a una forma più clericale. Nella mia parrocchia comando io, nella mia diocesi sono io il pastore. È un io che deve diventare un noi ed è più difficile. Quelli della mia generazione hanno avuto la gioia e la grazia da parte della Provvidenza di essere contemporanei al Concilio, l’abbiamo sentito proclamare dalla viva voce di Giovanni XXIII (a cui si è ispirato totalmente papa Francesco), quando disse: “la Chiesa piuttosto che strumento della disciplina preferisce andare incontro con misericordia a tutti, preferisce la medicina della misericordia”».
L’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Müller, ha replicato alle accuse che Francesco ha rivolto alla Curia romana, dove ci sarebbero dei “traditori” e degli “approfittatori”: «Può darsi che il papa ha altre persone», ha detto al Tg2 Müller, «ma non è la mia esperienza. È una sua propria descrizione. Io non posso accettare tutto. Nella mia congregazione non c’erano quei gruppi che hanno fatto quello e quello».
Alla domanda se si considera un oppositore del papa, il cardinale Müller ha risposto: «Tra i giornalisti abbiamo troppi manichei che pensano a questo dualismo: la luce e l’ombra. Ma la realtà è più profonda. Sant’Agostino e San Tommaso erano conservatori o progressisti? È assurdo pensare così».
Sulla questione della comunione ai divorziati risposati questo il pensiero dell’ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio: «Alcuni hanno fatto di questo una domanda quasi ideologica alla Chiesa. Bisogna accettare questo mondo coi tanti divorzi? Dobbiamo vedere questo mondo, ma non accettarlo come tale. Gesù è venuto per rinnovare il mondo e non per confermarlo per come è. Adesso abbiamo una discussione intra-ecclesiale che non è un bene per l’unità. Non possiamo risolvere in un punto i problemi e nell’altro punto causare noi dei problemi. Amoris Laetitia è un grande scritto, ma tutto il mondo parla solo di pochi punti, non dell’insieme, di questo grande messaggio contro la secolarizzazione del matrimonio, della famiglia. Il matrimonio è una cosa sacra».
Allo scrittore Erri De Luca il Tg2 ha chiesto qual è il gesto che aiuta meglio a capire il pontificato di Francesco.
«La prima mossa che ha fatto questo papa appena insediato è stato di andare a fare un pellegrinaggio a Lampedusa. Cioè ha individuato subito qual era il punto più dolente dell’umanità di questo momento, specialmente dalle nostre parti. E si è presentato lì da pellegrino, senza alcun “corredo” di autorità italiane e civili. È andato e da lì ha cominciato e ha poi continuato».
Qual è la parola chiave del pontificato di Bergoglio?
«Misericordia. È una parola preziosa, e anche misteriosa. Non ha a che vedere proprio con la carità, perché la carità necessita di qualcuno che tende la mano e la richiede. Invece la misericordia proviene da un’insurrezione interna della persona, che va incontro anche a chi non ti chiede niente. La misericordia fa uscire dai ranghi, anche dai propri ranghi e dalla propria indifferenza. Chiamarla fuori, nominarla come parola d’ordine di un intero anno di Giubileo è quanto di meglio si poteva dire per rianimare la fraternità. Gesti come quello di aprire la porta santa in Centrafrica papa Francesco ne infila uno dietro l’altro e vanno sempre nella stessa direzione: stare sul piano terra delle persone, venire incontro alle persone da parroco a credente».
Questo papa che rompe gli schemi, che non usa croci d’oro e auto di lusso che messaggio sta dando?
«Un messaggio ortodosso dal punto di vista della lettera del Vangelo. Ha una coerenza nel suo comportamento che tiene insieme quello che dice e quello che fa. E questo si fa apprezzare, anche da uno che non è credente come me».
Ma non c’è il rischio che questi suoi atteggiamenti desacralizzino la figura del pontefice?
«La figura del pontefice non è desacralizzabile. Si desacralizza quando il pontefice si dimette, come è successo al predecessore di Francesco. Quello che questo papa ha tolto è il fasto alla cattedra. È sceso da quella cattedra e rinunciato al suo fasto, il che è un’interpretazione molto ortodossa del messaggio cristiano».
Per me, protestante, Francesco è come il mio vescovo
Il pastore protestante Jens-Martin Kruse fino al gennaio scorso ha guidato la comunità luterana di Roma. Il papa ha voluto che benedicesse insieme a lui l’assemblea alla fine della preghiera ecumenica svoltasi a San Paolo fuori le Mura. Al Tg2 ha raccontato cosa ha provato: «Per la prima volta nella storia dell’ecumenismo c’è stata una benedizione in comune. È stata una grande sorpresa, non me lo sarei mai aspettato. Molto commovente. Per me è stato un grande regalo. Siamo amici e da molti anni abbiamo un ottimo rapporto, pieno di fiducia reciproca. Lui rimarrà sempre nel mio cuore. Prego ogni sera per lui e ogni mattina leggo un passo delle sue omelie. Mi danno forza e orientamento. Per me Francesco è come il mio vescovo, che ascolto e che mi guida nella fede. Secondo me il papa vive già oggi qualcosa come un primato ecumenico. Con papa Francesco secondo me è iniziata una nuova epoca per l’ecumenismo. Lui è un papa che mette in pratica il suo titolo: pontifex. Crea ponti tra le diverse Chiese. Lo abbiamo avuto come ospite nel novembre 2015 nella nostra chiesa qui a Roma e abbiamo sentito subito che siamo sulla stessa via».
Se Dio si manifesta, c’è qualcuno che perde il trono
Il teologo don Giuseppe Bonfrate, docente all’Università Gregoriana, ha spiegato al Tg2 il magistero di Francesco, soprattutto alla luce di Amoris Laetitia: «Partire dalla dottrina per poter giudicare la vita o eventualmente conformare la vita alla dottrina potrebbe risultare soffocante, addirittura incapace di rivelare quello che la Chiesa stessa ha il dovere di rappresentare, cioè un Dio che tende sempre la mano. È una fiducia nella grazia e nella libertà delle persone, perché possano – se aiutate – comprendere il proprio errore, ma trovando una strada aperta e non un muro. Coloro che ritengono che questo papa possa calpestare la dottrina mostrando questa attenzione, dovrebbero considerare l’epifania di un Dio che si presenta come ha fatto a Betlemme, capace di soccorrerci nei momenti più difficili. Francesco opera in questo senso, capovolge i sistemi restituendo speranza a coloro che pensavano di non averne. E naturalmente, nel capovolgimento dei sistemi, c’è qualcuno che perde la poltrona, qualcuno che perde il trono, che perde il privilegio. E quindi è estremamente scomodo. Ma lo è anche per noi, perché spesso molti hanno pensato che l’appartenenza alla gerarchia, anche nella forma più bassa come può essere quella di un umile prete, ci mettesse nella condizione di pretendere anziché di servire. Dunque, che cosa rimarrà? Qualcosa continuerà nel tempo, soprattutto il modo in cui ha cercato di restituire il Vangelo alla storia. Un Vangelo non fatto di parole ma di cose concrete: una mano tesa a chi è caduto, una reinterpretazione anche del peccato, avendo presente che Dio di fronte al peccato rivela la sua onnipotenza piegandosi per consolare chi è afflitto».
C’è pure lo IOR
Riguardo lo IOR e la riforma delle finanze vaticane, l’economista Luigino Bruni ha affermato al Tg2: «Io vedo che l’economia è oggi uno dei luoghi più profetici di papa Francesco, ma anche più difficili, nel tentativo di adeguare la profezia della parola alle prassi della Chiesa cattolica, in particolare del Vaticano. Credo che lo IOR oggi debba evolvere sempre più nella trasparenza, nell’eticità… C’è un processo in corso, ma ancora non è sufficiente. Oggi papa Francesco non può permettersi una banca che non sia all’altezza del suo magistero, perché poi ne uscirebbe indebolito. Una denuncia delle malattie del capitalismo così forte come la sua, una presa di posizione sui mali della finanza che uccide, se non ha dietro una prassi adeguata a questa “profezia” crea molte difficoltà».
C’è un problema di scelta di collaboratori?
«Certamente negli ultimi anni c’è stato un problema di questo tipo, anche grave. Qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto, questo è evidente. Quelle poche volte che ho incontrato il papa, anche recentemente, si è parlato anche di finanza e di economia. C’è sempre un’ombra di tristezza da questo punto di vista, di dover gestire una complessità così grande dentro casa che è un po’ una palla al piede quando poi deve annunciare eticità per gli altri».
L’altro nodo complicato è quello degli abusi sessuali e della pedofilia nella Chiesa. Il Tg2 ha chiesto padre Hans Zollner, il gesuita componente della Pontificia Commissione per la protezione dei minori, cosa si deve fare di più.
«Si deve fare sicuramente giustizia per le vittime e si devono ascoltare le vittime, che è la cosa più importante. La seconda cosa da fare è la prevenzione degli abusi. I sacerdoti che hanno commesso un crimine di questo genere devono essere puniti severamente, con le dimissioni immediate dallo stato clericale e con altre misure».
In Cina si desidera Dio
Padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, parla al Tg2 delle trattative in corso tra Santa Sede e Cina popolare: «Il problema grosso è che in tutti questi dialoghi tra Cina e Vaticano appare sempre la Chiesa ufficiale cinese e mai la voce di quella non ufficiale. È un processo e papa Francesco è famoso appunto per avviare i processi. Credo che lui stia gettando le basi per far comprendere che la Chiesa cattolica e il Vaticano amano la Cina. Tutte le religioni stanno crescendo in Cina, dove c’è un grande desiderio di Dio e c’è tanta gente che si avvicina al cristianesimo. Da qui a garantire un rapporto tra Vaticano e Cina c’è di mezzo la libertà religiosa nella Chiesa. Perché è il Vaticano e il papa che devono decidere quali vescovi nominare. Il dialogo che si sta facendo in questi tempi, così faticoso e anche segreto, è per vedere come salvare un aspetto e l’altro».
La Cina è parte del lavoro diplomatico di papa Francesco. Lei come lo giudica?
«Io trovo che papa Francesco stia aprendo dei nuovi spazi attraverso cui riconoscere la pari dignità a tutti gli Stati. Pensiamo al Bangladesh, una periferia del mondo che è stata visitata dal papa, nonostante lì la Chiesa sia una minuscola minoranza. Ogni Stato ha diritto ad avere la sua voce all’interno della comunità internazionale e questa è un’indicazione per l’ONU, dove ancora alcuni Stati fanno la voce grossa e gli altri ubbidiscono».
Dopo cinque anni trova un qualche cambiamento nelle posizioni di papa Francesco?
«Trovo che papa Francesco stia ampliando e precisando il suo messaggio. Nell’ultimo messaggio che ha fatto per la Giornata mondiale dei migranti non ha parlato solo dell’accoglienza, ma anche dell’integrazione, della valorizzazione e del rispetto delle leggi locali, e questo vuol dire che in qualche modo ascolta anche le paure e i timori della gente».
Quale la cosa che l’ha colpita di più dei gesti compiuti da papa Francesco nei suoi viaggi, specie in Asia?
«La sua azione a favore della popolazione Rohingya. Il papa è stato rispettoso riguardo alle autorità del Myanmar, però ha voluto incontrare questa gente costretta a fuggire dalle proprie case. Questi sono gesti che rimangono. Ancora adesso noi riceviamo delle testimonianze di musulmani del mondo asiatico che ci dicono: “Il papa è stato così vicino ai Rohingya come non hanno fatto i governanti islamici dei nostri paesi”».
Le donne, le apostole[1]
Lucetta Scaraffia, direttrice dell’inserto “Donne Chiesa Mondo” de L’Osservatore Romano, ha parlato del rapporto di Bergoglio con l’universo femminile.
«Io penso che il papa non sia certo un femminista, è un anziano maschio sudamericano. Però ha molta simpatia per le donne, non è uno di quei papi o sacerdoti che hanno diffidenza e paura delle donne. Lui ha delle amiche e ha un atteggiamento molto normale nei confronti delle donne. E penso che capisca molto chiaramente che in questo momento storico la Chiesa debba aprire alle donne. Però trova una resistenza enorme al suo interno. Cioè, se lui aprisse alle donne avrebbe tutti contro, proprio tutti, non solo una parte dei sacerdoti, dei vescovi e dei cardinali. Quindi evita di fare una battaglia che sa perdente».
Cosa potrebbe fare in concreto il papa per dare più spazio alle donne e valorizzare il loro ruolo nella Chiesa?
«Ascoltarle di più. Penso che sia scandaloso che quella sorta di senato che è il C9 non ascolti mai una donna. Le donne hanno un punto di vista diverso, meno istituzionale e più legato alle persone, che andrebbe ascoltato. Forse il gesto più importante che ha fatto Francesco è stato quello di parificare la figura di Maria Maddalena a quella degli apostoli. Vuol dire che anche le donne possono essere apostole, ponendo una base da cui non si torna più indietro per l’eguaglianza tra uomini e donne nella Chiesa. In ogni caso papa Francesco ha in mente una Chiesa che non sia un’agenzia normativa, ma una Chiesa misericordiosa, piena di calore verso gli esseri umani, dentro alla trasmissione della tradizione che rimane immutata».
Non sempre ciò che fa e dice Francesco è riferito e compreso bene. Perché?
«Francesco ogni tanto dice delle frasi molto icastiche, che sono quelle che colpiscono di più e possono essere anche un po’ distorte se tolte dal contesto. Però questa è anche la sua forza comunicativa. Certo, uno con una tale spontaneità si espone a essere capito male. C’è da dire che ci sono molti venditori di “verità più vera delle altre” che attraverso i social diffondono e propagandano una verità che dicono vera proprio perché non controllata dalle istituzioni. In questo modo possono far passare qualsiasi cosa, come, per esempio, falsi discorsi di Francesco. A me ne sono arrivati diversi».
Paradigmi alternativi
Sulle interpretazioni, talvolta malevole, riservate alle parole e ai gesti di Francesco, ha parlato al Tg2 Luigi Alici, docente di filosofia all’Università di Macerata ed ex presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana:
«Fare queste continue e patetiche “analisi del sangue” alle singole affermazioni di papa Francesco, fuori contesto, perdendo di vista il fatto che il suo magistero non vuole essere un Bignami dottrinale della comunità cristiana, ma vuole invitare ad attivare dei processi, è un atteggiamento interpretativo veramente improprio, soprattutto nei confronti di chi vuol spingere ad andare avanti.
«Evangeli Gaudium, Amoris laetitia, Laudato si’ sono inviti alla comunità cristiana a sperimentare forme di vita e elaborare paradigmi alternativi. Se noi non facciamo questo è chiaro che l’impressione è quella dell’uomo solo al comando che nel migliore dei casi fa un po’ di simpatico folclore argentino e nel frattempo siamo tutti fermi perché non sappiamo dove mettere i piedi».
La giornalista e ricercatrice Francesca Santolini, autrice del libro Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica (Rubbettino), ha preso in esame l’impatto che ha avuto l’enciclica Laudato si’ su governi e società civile, specie rispetto ai cambiamenti climatici. Ha detto al Tg2: «Papa Francesco è un papa scomodo soprattutto sui temi ambientali, perché chiede di cambiare il rapporto di sfruttamento tra l’uomo e la natura, lega la fragilità del pianeta alla povertà, parla di migranti climatici, ponendo in rapporto la crisi sociale a quella ambientale. La Laudato si’ ha un intento dichiaratamente rivoluzionario. Senza il ruolo di papa Francesco, senza l’azione di pressing diplomatico forte che ha fatto nei mesi precedenti la conferenza di Parigi forse non avremmo oggi l’accordo sul clima. L’enciclica ha avuto un ruolo enorme nella maturazione della coscienza ambientalista dell’opinione pubblica mondiale».
Philip Pullella, corrispondente da Roma dell’agenzia di stampa Reuters, ha parlato al Tg2 dei malumori e delle distanze di una parte del mondo cattolico statunitense rispetto a papa Francesco, che però è in cima agli indici di gradimento dell’opinione pubblica americana.
«Negli Stati Uniti la popolarità di papa Francesco è enorme. Ha un appeal che va oltre la religione. Se sentiamo di “contestazioni” al papa è perché i conservatori, pur non essendo tantissimi nella Chiesa, hanno un megafono molto grande e ben finanziato. Con blog, siti web, radio ecc. riescono ad avere una voce che è più grande del loro numero. La destra politica e religiosa non vuole vedere la realtà, come ad esempio il problema del clima che sta cambiando. Ci sono motivi di business. Trump è diventato il loro uomo. Lui ha bisogno di loro e loro hanno bisogno di lui per quanto riguarda l’immigrazione, l’economia, ecc. Prima i presidente degli Stati Uniti se si trovavano in un altro Paese europeo facevano sosta a Roma per vedere il papa. Non credo che questo si ripeterà durante la presidenza Trump».
[1] Se al computer si scrive “apostole”, lo dà come errore!
Comments
Leave your comments
Grazie grazie grazie