DOSSIER CAPPELLANI MILITARI
Un segno di contraddizione
DOSSIER CAPPELLANI MILITARI
C’è una nuova intesa tra Santa Sede e governo sui cappellani militari, ma si è aperta una sofferta discussione nella Chiesa. Documenti di critica e contributi alla riflessione
Il governo ha reso noto l’8 febbraio di aver raggiunto con la Santa Sede una nuova intesa riguardante l’istituto dei cappellani militari, previsto nel Concordato. Tale intesa, quando firmata dalle due parti, dovrà essere tradotta in legge dal Parlamento. Secondo quanto ne riferisce il governo, essa ridefinisce i profili giuridici del rapporto tra i Cappellani e le strutture militari “per conciliare l’elemento di continuità, costituito dalla presenza dei sacerdoti nelle Forze armate fin dal 1915, con i mutati scenari intervenuti a seguito della sospensione della leva obbligatoria e delle nuove funzioni che le Forze Armate sono chiamate a svolgere in Italia e all’estero”.
Il testo regola l’inquadramento, lo stato giuridico, la retribuzione, le funzioni e la disciplina dei Cappellani militari, figure autonome rispetto all’organizzazione militare; l’organico dei Cappellani viene ridotto dalle precedenti 204 unità a 162 e il loro trattamento economico principale continua ad essere quello base previsto per il grado di assimilazione, mentre per quello accessorio l’Intesa indica specificamente le diverse tipologie.
La notizia di questo rilancio del datato istituto dei Cappellani militari ha provocato diverse reazioni, in sede ecclesiale, sembrando esso non coerente con il rinnovato annuncio cristiano che ha tolto ogni legittimazione religiosa alla guerra, diffonde la parola della non violenza, ed è oggi particolarmente impegnato nella lotta contro la produzione e il traffico delle armi. Per di più i cappellani militari sono ricordati in Italia per un increscioso episodio che fece epoca, quando i cappellani militari della Toscana in polemica con padre Balducci e suscitando la vibrata reazione di don Milani, scrissero che l’obiezione di coscienza era estranea al comandamento cristiano dell’amore e prova di viltà.
I testi che seguono sono inerenti a questa problematica.
DUE LINGUE NELLA CHIESA?
di Enrico Peyretti
Mi sembra di vedere nella Chiesa una lingua biforcuta. Con una, di papa Francesco e delle associazioni e movimenti cristiani per la pace nonviolenta, per la difesa nonviolenta dei diritti umani, si supera definitivamente il concetto di “guerra giusta” e si ripudia la violenza religiosa, mentre si indica la forza umana nonviolenta come il mezzo giusto nelle lotte per fini giusti.
Con l’altra lingua, segnata da forte accento curiale, si usa Papa Giovanni della Pacem in Terris, per canonizzare la compromissione con l’esercito di chi ha da annunciare il “vangelo della pace” di Gesù. Tali sono i preti inquadrati vestiti e pagati come militari. Sono anche loro volontari? Credono forse di poter dire il vangelo insieme alla dottrina che “nell’esercito è necessaria l’obbedienza automatica perché combattere significa uccidere”? (così letteralmente il Generale Carlo Jean, a Torino, il 29 marzo 1996, ad una platea di studenti). (Da notare: l’obbedienza automatica non è umana, è di un oggetto fisico che risponde alla forza di gravità, o di un meccanismo che non sa quello che fa).
Eppure devono ben sapere, i preti cattolici, che “la vittoria militare non porta mai la pace giusta” (Raimon Panikkar) e che “la giustizia si allontana sempre dal carro dei vincitori” (Simone Weil) e che “le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie” (papa Francesco, “dopo Angelus” del 4 febbraio 2018) e che “un giorno l’umanità si vergognerà di avere costruito le armi” (Ernesto Balducci). Sul portone, in via Arsenale a Torino, della Scuola d’Applicazione d’Arma, è scritto nel bronzo “Doctrinas bello aptare” = Adattare le dottrine alla guerra. Va bene così per un prete?
Tanto per distinguere le due lingue, e vedere in quale delle due parla il vangelo di Gesù di Nazareth, quello scompigliatore delle leggi dei più forti che dominano sulla vite umane dei più poveri.
Si decida la Chiesa cattolica: quale lingua parla?
La critica di “Noi siamo Chiesa”
RILANCIATO E CONSOLIDATO IL SISTEMA DEI CAPPELLANI MILITARI
Da decenni è aperta nel mondo cattolico italiano la questione dell’opportunità o della necessità dei cappellani militari. I motivi di questa riflessione critica sono facili da spiegare: al di là della buona volontà dei singoli il sistema dei cappellani militari, con l’inquadramento, le retribuzioni, i gradi gerarchici e la presenze sul campo che esso prevede, fa dei cappellani una parte integrante delle nostre Forze Armate. Ciò significa che essi non possono separare (e non separano) le loro posizioni dalle scelte che, di volta in volta, sono fatte dal governo e dai comandi militari. Ciò ha comportato, negli ultimi trenta anni, partecipare a interventi cosiddetti “umanitari” o di liberazione o altro (Kossovo, Iraq, Afghanistan, Libia, ora Niger) e a logiche di spesa militare e di riarmo che sono censurabili sul piano etico e quasi sempre contrarie all’art.11 della Costituzione . Marginali sono state le presenze di protezione e di separazione in conflitti, all’interno del quadro di operazioni decise dalle Nazioni Unite.
L’avallo che di fatto la presenza dei cappellani dà alle azioni delle Forze Armate italiane è in diretto contrasto con la linea della nonviolenza e con gli inviti a una politica di pace che papa Francesco quotidianamente propone ai credenti e a tutti gli uomini e a tutti i governanti di buona volontà.
Questa cultura antievangelica porta poi a posizioni aberranti come quella del Card. Ruini che, ai funerali dei caduti di Nassiriya, disse che essi “stavano compiendo una grande e nobile missione” e che “i nostri caduti hanno accettato di rischiare la vita per servire la nostra nazione e per portare nel mondo la pace”. Avrebbe dovuto dire che erano povere sfortunate vittime di una guerra d’aggressione. E’ questa una logica mistificatrice non molto diversa da quella che ha portato, con un colpo di mano, ad ottenere dalla burocrazia del Vaticano che papa Giovanni fosse dichiarato patrono dell’esercito.
Da decenni i cristiani che si ispirano all’Evangelo per il loro impegno per la pace hanno chiesto ai vescovi italiani che l’assistenza spirituale al personale militare fosse devoluto alla pastorale ordinaria e che il sistema dei cappellani fosse soppresso. Il governo, non dotato di grande sensibilità laica e facendosi scudo del nuovo Concordato Craxi-Casaroli, ha concluso una trattativa di cui non facciamo fatica a intuire i contenuti. E’ questo il nuovo corso di Bassetti e di Galantino? A meno che non abbiano avuto la notizia da una agenzia di stampa come per la nomina di papa Giovanni a patrono.
Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa
UN CRISTIANESIMO NON INNOCENTE
Un libro di Adolf Harnack su cristianesimo antico e servizio militare nella recensione di Enrico Peyretti
Adolf Harnack, Militia Christi. La religione cristiana e il ceto militare nei primi tre secoli, edizione italiana a cura di Sergio Tanzarella, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2016, pp. 170, euro 14,90.
Sergio Tanzarella, studioso di storia del cristianesimo, ha curato e introdotto la traduzione italiana di questa opera classica negli studi su cristianesimo antico e servizio militare. Il Curatore avverte che negli ultimi decenni questi studi rispondono più alla precomprensione degli studiosi (pacifisti o giustificazionisti della guerra) che all’impostazione scientifica. Le tesi di Harnack (1851-1930), a loro volta, risentono dello stato degli studi su Chiesa antica e patrologia nel 1905.
Il rapporto Chiesa-impero è una questione molto delicata perché coinvolge la sostanza stessa del “vangelo della pace” (l’espressione è nella lettera paolina agli Efesini 6,15, proprio nel contesto di una metafora militare, di “militia Christi”! In Atti 10,36 è detto che Dio “evangelizza la pace” per mezzo di Gesù).
Nell’esercito imperiale il soldato aveva ampi compiti, anche amministrativi, anche di polizia, ma non esclusivamente pacifici. Tertulliano distingue militare (in tempo di pace) da bellare (combattere, uccidere). Il rapporto tra cristiani e mondo militare dell’impero era complesso e sfumato, nel più vasto e incerto terreno della ricerca di soluzioni a problemi morali. La Chiesa non dette particolare attenzione al problema del servizio militare e della nonviolenza, ma esiste un filo rosso di sensibilità pacifista e nonviolenta, minoritaria e circoscritta, che dà testimonianza fino al martirio. Tale situazione, del resto, non è cambiata fino a quella dei tempi recenti, in cui la Chiesa ha predicato la pace, ma non ha impegnato quanto impegna in altri campi morali (p. es. la morale sessuale) nella scelta di nonviolenza attiva, del rifiuto chiaro delle armi, che resta proprio di minoranze profetiche. Una novità in questa linea è stato il messaggio di papa Francesco per la Giornata della Pace 2017, “Nonviolenza: stile di una politica di pace”. (in www.vatican.va)
Harnack si poneva due problemi: 1) in che misura il cristianesimo ha assorbito nella sua organizzazione caratteristiche militaresche, cioè la visione della fede come combattimento in una guerra santa da parte dei “soldati di Cristo”? (Chi ha l’età sufficiente, oggi ricorda che questo titolo veniva conferito ai bambini col sacramento della cresima, confermazione del battesimo). 2) Quale fu la posizione della Chiesa riguardo alla professione militare dei singoli cristiani?
Effettivamente, nei Vangeli, nell’Apocalisse, in Paolo si riscontra talvolta un linguaggio militare come figura letteraria, che però esercita un’influenza e un’assuefazione concreta. Tra i padri della chiesa, Origene ha il problema (che fu già di Marcione) di conciliare la Buona Novella di Gesù col Dio delle battaglie e degli eserciti del primo Testamento. Per lui, i cristiani sono milites Christi, il bellicismo è spiritualizzato, il battesimo è sacramentum (giuramento militare), Cristo è imperator; i martiri e confessori sono veri guerrieri.
Harnack riscontra una differenza tra le opere letterarie (idealizzanti) e la prassi quotidiana dei cristiani. Le fonti, silenziose fino al 170, successivamente presentano un «esercito percepito con sempre maggiore familiarità nella Chiesa», a causa sia del diffuso linguaggio militare cristiano, il quale ottenne il pericoloso effetto di rendere familiari immagini e azioni di un universo tanto lontano dal vangelo, sia delle molte conversioni nell’esercito. La fede cristiana è intesa come militanza nell’esercito di Cristo. Vi sono importanti eccezioni (Massimiliano e Marcello, obiettori martirizzati), ma la linea è quella, e si compirà nella svolta costantiniana. Il Dio cristiano è riconosciuto come Dio di guerra e di vittoria. I più anziani di noi ricordano l’inno abituale nell’Azione Cattolica, simile a un barbaro-liturgico grido di guerra: «Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!». Ciò che ieri sembrava esprimere la fede, oggi la umilia.
Sulle tesi di Harnack vi furono reazioni e discussioni che Tanzarella documenta. Pare certo che la prassi, nella Chiesa antica, sopravanzi definitivamente ogni norma o preoccupazione morale, anche perché la grande conversione al cristianesimo avvenne a partire proprio dall’esercito. Tuttavia, nelle Chiese africane (poi soppiantate dall’Islam) si trova una comune sensibilità al tema della nonviolenza e una coerenza tra le affermazioni degli scrittori e le scelte concrete dei cristiani: Tertulliano scrive il De Corona; vi sono testimoni della pace fino al martirio. Eppure, anche questi scrittori adottano, persino più di altri, immagini militari della vita cristiana, ma insieme al rifiuto del servizio militare e della violenza. Non si tratta solo, p. es. nel martire Massimiliano, di opposizione politica all’occupazione romana; sarebbe una lettura riduzionista. Massimiliano è la voce di quel cristianesimo sommerso che ci è pervenuta generalmente attutita dalla mediazione dei vescovi e dei teologi (si vedano gli studi di Remo Cacitti). È da rigettare la tesi che in questi martiri non vi sarebbe obiezione antimilitarista, ma solo antidolatrica, e che ci sarebbe per loro piena compatibilità tra servizio militare e religione cristiana. Il testo originale degli atti processuali di san Massimiliano martire, decapitato, si legge nel lavoro storico-filologico di Paolo Siniscalco, Massimiliano: un obiettore di coscienza del tardo impero (Paravia, Torino 1974, pp. 159-161). Da questo testo e dall’analisi di Siniscalco risulta che il motivo dell’obiezione di Massimiliano sta nelle parole: «Non possum militare; non possum malefacere», dove il malefacere riguarda non pratiche idolatriche, ma l’uso delle armi (Siniscalco, p. 72 e 133-135).
Le immagini militari come modello della vita cristiana sono soltanto spirituali, non fanno impugnare le armi, ma quel linguaggio non restava innocente. Origene, per rispondere all’accusa di Celso ai cristiani di abbandonare l’imperatore durante le guerre (dunque, era un fatto avvertibile) dice che i cristiani fanno più e meglio che combattere, pregano Dio per la vittoria! Così si avvia una bellicosità spirituale. La battaglia spirituale tende a diventare reale, guerra santa. La militia metaforica si trasformò in servizio militare alla causa di Cristo: pax romana e pace di Cristo, del tutto estranee, finiscono per identificarsi!
Il Sinodo di Arles del 314 punisce i disertori, su richiesta di Costantino. Ma ciò dimostra che c’erano casi non pochi di disertori! Lattanzio e Eusebio di Cesarea offrono appoggio alla collaborazione dei cristiani con l’impero, facendo una vera teologia politica, imitata fino a tempi recenti, e inseriscono Costantino nel disegno divino! Le vittorie sono attribuite all’intervento divino, nasce una “teologia della vittoria” (Lepanto, del 1571, è un modello anche per certi cristiani di oggi). Il miles Christi diventa un eroe che uccide i nemici della Chiesa. Bernardo di Chiaravalle, nel De laude novae militiae (1128), dice papale papale che uccidere il nemico non è un omicidio ma un “malicidio”. Oggi l’imperatore d’Occidente dichiara, in un discorso dopo l’11 settembre 2001, che la sua “guerra infinita” durerà fino a «togliere il male dal mondo». Padre Gemelli, durante la prima guerra mondiale porrà i soldati italiani sotto la protezione del Sacro Cuore di Gesù, così esortandoli a restare docilmente ubbidienti alle esigenze di quella folle guerra. In un libro recente, Uccidere senza odio (Franco Angeli, 2015), lo storico Francesco Piva documenta la «pedagogia di guerra nella storia della Gioventù cattolica italiana tra 1868 e 1943». Padre Sertillanges, importante domenicano francese, quando Benedetto XV definì “inutile strage” quella guerra, chiedendo la pace, proclamò: «Santo Padre, non vogliamo saperne della vostra pace!». Scoprire Sertillanges infetto da tale nazionalismo, mi ha scandalizzato, perché egli fu anche per me un maestro nell’educazione allo studio.
La militarizzazione del cristianesimo, antitesi del vangelo, è l’ennesima sacralizzazione della violenza scaricata sul capro espiatorio, nell’illusione di liberarne la società. René Girard mostra la capacità demistificatrice dei Vangeli, che delegittimano sacrifici e violenza dal momento che il “capro espiatorio” Gesù è il pienamente innocente, colui che pienamente «prende su di sé» il male del mondo, per sostituirlo con l’amore senza limite, invece di respingerlo con quell’aggiunta di male che è la violenza “giustificata” (vim vi repellere licet). Anche la teologia sacrificale della redenzione, dominante per secoli nella catechesi, e solo oggi in via di superamento (cfr Giovanni Ferretti, Spiritualità cristiana nel mondo moderno. Per un superamento della mentalità sacrificale, Cittadella editric, 2016), dipende dal fascino tetro della violenza purificatrice, attribuita anche a Dio Padre, che vorrebbe l’unica soddisfazione adeguata all’offesa infinita fatta dall’umanità alla sua infinita maestà, con la morte sacrificale del proprio Figlio divino!
Per tutto ciò le Chiese cristiane, salvo minoranze, hanno evitato la scelta chiara della nonviolenza evangelica, quasi allarmate perché tale opzione, effettivamente, toglie la possibilità di confidare ancora nella guerra, seppure come extrema ratio. Evitare l’opzione nonviolenta, o anche solo prendere le distanze dal pacifismo, significa volersi riservare la possibilità morale della guerra.
Torniamo alla storia. Ipazia, filosofa pagana (stimata dal vescovo Sinesio), fu linciata nel 415 ad Alessandria da cristiani fanatici che l’accusavano di perseguitare il vescovo Cirillo (responsabile indiretto di quel delitto). Militia Christi diventa così intolleranza, prima verso i pagani poi verso eretici e infedeli.
L’espansione della cristianità avviene in modo anche bellico, da Carlo Magno alla Reconquista spagnola alla violenta conquista americana, denunciata dal vescovo Bartolomé de Las Casas. La crociata non è solo un evento storico ma diventa una categoria perenne dello spirito cristiano. All’inizio del XVI secolo, negli stessi anni di Machiavelli e di Lutero, Erasmo da Rotterdam scrive nel grande Dulce bellum inexpertis: «Si scontrano eserciti cristiani, tutti sotto l’insegna della croce [rimasta fino ad oggi in tanti stemmi statali, e di partiti politici cristiani, n.d.r.], che da sola ammonisce come dovrebbero vivere i cristiani. Sotto quel segno della perfetta comunione dei cristiani ci si precipita alla reciproca strage». Ho pubblicato una lettera di Ernesto Balducci, inviatami il 21 gennaio 1989, nella quale egli afferma che la riforma pacifista di Erasmo, se fosse stata capita, avrebbe inciso sulla modernità più positivamente della riforma di fede, ma non pacifica, avviata da Lutero, perché la vera questione evangelica era la pace (cfr il foglio n. 238, aprile 1997, p. 7; v. anche David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, La terra non sarà distrutta, l’uomo inedito la salverà, Ed. Gribaudi 2002, pp. 38-39. Le mie lettere di Balducci sono depositate presso la Fondazione Balducci). Ci si ricordi anche di questo, nel 500° di Lutero, giustamente celebrato.
Guerre di religione intercristiane; guerra sacra ai Turchi; valore religioso del giuramento militare; benedizioni della bandiera e delle armi; preghiere del fante e del marinaio; cappellani militari in tuta mimetica e stola (spettacolo recente in televisione); “croci” al merito militare, guadagnate sul campo di guerra; “altare” della patria al milite ignoto; omaggi all’eucarestia e al papa mediante esibizione di uomini in armi; retorica della “religione civile”, fino all’ipocrisia offensiva dei monumenti ai “caduti” – non alpinisti precipitati, ma soldati ammazzati – eretti in ogni più piccolo villaggio ai contadini strappati a famiglia e terra per essere mandati a morire e uccidere: dilaga così l’inverosimile possibilità di una fedeltà cristiana armata e disposta a guerreggiare da buon soldato cristiano.
Ecco, allora, che il soldato ucciso in guerra diventa un eroe, anzi un martire, come letteralmente è stato detto da vescovi celebranti anche nei funerali dei soldati italiani morti in Iraq, portando la “pace” con la guerra! Ma quel titolo usurpato spetta soltanto a chi viene ucciso per non uccidere, da Massimiliano a Franz Jägerstätter (decapitato come Massimiliano e come i giovani della Rosa Bianca), e a tanti altri conosciuti o sconosciuti, ma scritti nel libro della vita.
Enrico Peyretti
IL COMUNICATO DEI CAPPELLANI MILITARI TOSCANI DEL 1965
Nel febbraio 1965, i cappellani militari toscani si riunirono a Firenze, dove approvarono un documento che condannava l’obiezione di coscienza. Don Lorenzo Milani rispose con una lettera aperta ai cappellani in cui affermava, in contrasto con questi, il diritto all’obiezione di coscienza. In seguito a questa lettera, fu processato per apologia di reato. Non potendo partecipare al processo per ragioni di salute, don Milani mandò una lettera aperta ai giudici, che è rimasta giustamente famosa.Questo il Comunicato dei Cappellani Militari:
Nell’anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l’Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana.
Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno:
«I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell’associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d’Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria.
Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta “obiezione di coscienza” che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà».
L’assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.