Due o tre cose per il papa a Genova
Giacomo D’Alessandro, volontario del Centro Banchi in Centro Storico
Caro Francesco,
quando verrai a Genova abbi pietà di noi. E di una chiesa orfana da troppi
anni di cura pastorale fresca, innovativa, essenziale, entusiasta.
Porta la tua benedizione e la tua gratitudine ai tanti preti e religiosi –
ho negli occhi i loro volti – che nonostante tutto hanno resistito,
hanno cercato il Vangelo, hanno prediletto i poveri, hanno anteposto
l’amore e la fratellanza a fredde dottrine e formalismi nostalgici.
Porta la tua carezza a tutte le famiglie, le coppie, gli anziani, i
giovani, che nonostante tutto hanno cercato di incarnare una chiesa
in uscita, dribblando direttive e impostazioni antiquate, staccate
dalla realtà, che dall’alto continuavano a calare, aride.
Troverai a Genova svolazzanti talari segno di identità fragili e del bisogno
di affermarsi, rivendicarsi, distinguersi. Perdona e porta pazienza
per coloro che hanno subito una formazione e una direzione rigida,
superata, imbalsamante. Sappi che diversi giovani che avrebbero
volentieri servito questa chiesa da sacerdoti, sono stati ostacolati
proprio a causa di una loro impostazione più aperta e della loro
preparazione.
Troverai una narrazione scialba e soffocata della chiesa genovese, ad opera di
canali di informazione tenuti strettamente al guinzaglio, che
lavorano come bollettini dei vertici invece che come coagulatori
della pluralità ecclesiale.
Troverai gente semplice e buona, cristiani della domenica, cristiani da
marciapiedi, volontari ed educatori, persone impegnate e persone
assuefatte al sistema, e anche moltissimi apolidi, orfani di comunità
parrocchiali cadenti, stagnanti, che per mandare avanti la struttura
hanno rinunciato a suo tempo a sperimentare formule nuove di
catecumenato per giovani e adulti.
Troverai molti tifosi, figli di una diocesi che non vive un sinodo diocesano
da chissà quanti anni, dove la collegialità è poca e niente, e la
consultazione e l’ascolto tra “vertici” e base non è metodica ma
ben filtrata. Sappi che ben poco sono trapelati qui i questionari per
i Sinodi da te voluti, e che non esiste un sano dibattito ecclesiale.
Troverai tanto clericalismo, e mi dispiace per te, che ne soffri così tanto
da aver detto che, di fronte a un clericale, quasi ti vien meno la
fede. Porta la tua benedizione e le tue parole di incoraggiamento, di
rivoluzione, di freschezza e normalità, di simpatia ed empatia.
Portale ai molti poveri e ultimi di questa città stratificata, collage di
quartieri diversissimi e di periferie snaturate, scheletro
industriale in decomposizione, salvata dalla luce del sole e dal
profumo del mare. Una delle grandi città vittime delle ingiustizie,
delle tentazioni schiavizzanti e delle indifferenze del sistema capitalista.
Portale ai tanti ancora affascinati dalla figura di Gesù di Nazareth, che in
te ne riscoprono la profondità, e qui in città non trovano invece
soluzione di continuità per il loro percorso spirituale. Ribadisci
con pazienza e bontà i capisaldi, le priorità, le necessità di cui
hai parlato a lungo nei tuoi pochi ma densi documenti: a Genova non
si è fatto granché per divulgarli e tradurli nella pastorale
diocesana… In effetti, qui la tua voce arriva assai ovattata, e non
è un caso. Anche per questo abbiamo bisogno di incontrarti, e di
sperare insieme in un cambio di passo deciso, urgente, vigoroso a
livello di gestione generale e pastorale.
Perdonaci, perché potremmo fare di più, essere migliori, più dinamici, umili
e a servizio. Come Gesù, vieni per servire. Ascolta e indaga come
sai fare tu i bisogni, le angosce e le speranze, la fede di questo
piccolo popolo frantumato e scoraggiato. Saprai tu cosa fare. Come
benedire, e non maledire. Come effettuare il tuo servizio nella
carità per aiutarci, ciascuno secondo il suo carisma, a rialzare la
testa e rinascere dall’alto.
Troverai una chiesa che ha perso tantissime opportunità, tante energie
migliori, tanti segni dei tempi. Che lo sa bene, ma non lo ammette,
men che mai “urlandolo dai tetti”. Ma che sotto la cenere
conserva vive – non per molto temo – alcune braci che se
stimolate da vento fresco potrebbero dare luogo a una reazione a
catena. Ricoinvolgere. Rimotivare. Ricentrare sull’essenziale
cristiano.
Ama questa chiesa. Quello che è, e profeticamente quello che potrebbe essere.
Ama i suoi slanci più autentici di servizio al prossimo, di dedizione
all’umanità e di ricerca evangelica. Ce ne sono stati e ce ne sono
numerosi, e meritano la nostra gratitudine proprio per aver
perseverato in una situazione così surreale e sterilizzante.
Ama quanti in particolare l’hanno danneggiata, magari in buona fede,
nell’incoscienza di accettare incarichi per cui non erano vocati.
Ama soprattutto quei servi di Gesù – ho negli occhi i loro volti –
che a causa di queste scelte funeste hanno sofferto solitudine,
incomprensione, emarginazione, frustrazione.
La tua speranza è anche la mia e di molti (silenziosi ma sofferenti)
cui sta a cuore che il buon annuncio di Gesù dia frutti di vita
piena all’umanità dei nostri giorni: “spero che tutte le comunità
facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel
cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può
lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una semplice
amministrazione” (Evangelii Gaudium 25).
Buona visita, buon cammino, buona vita
Giacomo D’Alessandro