ESSERE CRISTIANI NELLA CHIESA CATTOLICA: NOTE A MARGINE
Un intenso dibattito sulla crisi della Chiesa cattolica al tempo della pandemia e di Papa Francesco. Una cronaca
Giuseppe Avallone
(da “Il Tetto”)
Ha senso parlare di una crisi della Chiesa cattolica rispetto alla capacità di confrontarsi con le sfide del nostro tempo rese ancora più drammatiche dalla pandemia che ha creato una fase di sospensione nel flusso delle dinamiche sociali e delle relazioni tra le persone?
Da questo ed altri interrogativi è partito il Colloquio[1] che si è tenuto a Camaldoli ai primi di novembre e che ha visto la partecipazione di studiosi di diversa estrazione che si sono confrontati sui principali temi che oggi interrogano i credenti e vedono la Chiesa cattolica attraversata da divisioni ed incertezze nel rendere visibile ed efficace il cammino intrapreso dal Concilio Vaticano II.
Di crisi della Chiesa aveva parlato esplicitamente in un suo libro[2] Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, storico ed osservatore partecipante della realtà recente del mondo cattolico in Italia: il libro prende in esame, confrontando anche tesi contrapposte, i motivi che rischiano di portare la Chiesa ad un declino; un rischio di irrilevanza non solo per la perdita quantitativa di partecipazione (visibile nella riduzione della pratica religiosa, soprattutto tra i giovani, e nella crisi delle vocazioni), ma soprattutto per la difficoltà a portare avanti la sua missione evangelizzatrice in un mondo in profondo mutamento.
In un altro contributo Giuseppe De Rita[3], partendo dalla posizione assunta dalla Chiesa italiana di accettazione delle decisioni governative per contrastare la pandemia (tra le quali la sospensione delle pratiche quotidiane di vita ecclesiale), ha rilevato una crescita del senso di smarrimento presente da tempo “nello scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero sociopolitico”; questo senza negare la presenza di un forte coinvolgimento di religiosi e laici in azioni esemplari di solidarietà ed impegno concreto. Un’indagine riportata a corredo del testo indica, tra l’altro, che il 50% dei praticanti (ed il 38% dell’intero campione intervistato, comprensivo di non credenti) si è detto molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione “La Chiesa ha accettato troppo acriticamente la decisione di sospendere tutte le funzioni e i riti”; ed ancora la Chiesa viene giudicata all’ultimo posto nell’aver saputo interpretare le difficoltà della pandemia (solo 11% dei cattolici) preceduta dal mondo della solidarietà e del volontariato (36,7%), dal governo e dal mondo della cultura e della comunicazione; ed infine quasi il 60% dei praticanti (68% del totale degli intervistati) si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che la Chiesa italiana stia attraversando un periodo di declino.
Ma quale Chiesa sta perdendo rilevanza? Quella istituzionale costruita con un sistema di regole e di norme, calate spesso dall’alto dalla gerarchia, con poca disponibilità a mettersi in discussione? O quella della comunità dei credenti che vive immersa in una realtà che cambia rapidamente presentando sfide inimmaginabili fino a qualche anno fa?
Nel suo intervento a Camaldoli Luigi Accattoli ha affermato che la pandemia è stata anche un’opportunità perché ha consentito di mettere in luce, a fronte di una presunta perdita di capacità della Chiesa di incidere sul piano sociopolitico, la straordinaria testimonianza offerta dal vissuto dei “morenti, dei guariti e di quanti hanno dato la vita per soccorrere il prossimo”. Le Chiese cristiane sono destinate ad essere sempre meno visibili sulla scena pubblica ed a contare poco in termini politici, ma questo potrà riportare maggiore attenzione sulle testimonianze di vita dei credenti piuttosto che sui pronunciamenti della gerarchia.[4]
Pochi mesi dopo la sua elezione Papa Francesco in una intervista rilasciata a padre Spadaro[5] aveva tracciato con chiarezza alcune linee che si ritroveranno poi sviluppate nelle lettere encicliche e soprattutto nel suo modo di intendere il pontificato: “Io vedo con chiarezza — affermava Papa Francesco in quella intervista — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso…… Sogno una Chiesa madre e pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade…Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente”.
Una Chiesa in uscita. Che cerca di trovare nuove strade con una fedeltà creativa al Vangelo, superando i formalismi giuridici ed il clericalismo. In questo bisogna riprendere il cammino avviato con il Concilio Vaticano II, che il Papa ha giudicato un processo di rinnovamento irreversibile, ma che non è stato completamente attuato, anche per la presenza di varie forme di opposizione e resistenza in parte della gerarchia ecclesiastica.
Nel Convegno di Camaldoli si è discusso di quanto il processo avviato dal Concilio sia stato contrassegnato da ritardi e carenze[6]: su questioni come la collegialità episcopale, la sinodalità, il ruolo dei laici non si sono sviluppate tutte le premesse e le intuizioni contenute in alcuni documenti conciliari; il tema del ruolo delle donne, divenuto oggi urgente, era stato appena sfiorato nel Concilio e non si sono fatti grandi passi avanti; ritrovare lo spirito del Concilio richiede comunque una rilettura del Vangelo in rapporto ai radicali cambiamenti intervenuti negli oltre 50 anni trascorsi.
Si tratta di cambiamenti profondi connessi alla pervasività delle tecnologie, alla crisi ambientale ed in generale ai diversi equilibri geopolitici avviati con la globalizzazione ed ancora fortemente in movimento nelle trasformazioni del potere politico ed economico; ma soprattutto si tratta di mutamenti intervenuti negli stili di vita quotidiana, per effetto dell’individualizzazione generalizzata delle opinioni e delle scelte di vita delle persone: oltre a guardare “dentro” alla Chiesa ed alla comunità dei credenti, occorre prendere atto di quanto entrambe debbano confrontarsi con la “liquidità” della società (secondo la definizione di Zygmunt Bauman) e della fluidità degli atteggiamenti mentali e dei comportamenti sociali connessi, spesso in grado di sorprenderci anche per la loro imprevedibilità.
Rispetto a questi temi in una sua riflessione recente[7] Enzo Bianchi ha introdotto la categoria del disincanto di una parte dei cristiani che pure era stato fortemente coinvolto dal rinnovamento conciliare. A partire da un articolo scritto nell’immediato dopo concilio (Le troisième homme Etudes 1967) dal gesuita François Roustang , che parlava di tre figure emergenti dal Concilio, un cattolico conservatore, reticente; un cristiano conquistato dalla riforma conciliare, e un “terzo uomo” inedito e inaspettato, un semplice cristiano, convinto discepolo di Gesù, certo, capace di essere soggetto adulto, nella Chiesa ma senza voler essere gregario o militante ecclesiale, Enzo Bianchi scrive: “il primo uomo esiste ancora in una nutrita rappresentanza di cristiani fortemente legati alla tradizione; quanto al “secondo uomo”, il cattolico convinto della grazia del Concilio e della riforma avviata con Paolo VI, va detto che appartiene a una generazione in parte scomparsa per motivi anagrafici: sono rimasti solo quelli che, nella stagione conciliare, erano “giovani”. Oggi sono molto spenti, non sono più i protagonisti attivi delle comunità postconciliari. E la loro voce nella Chiesa è poco percettibile e, peraltro, differenziata. Alcuni — pochi per la verità — sono ancora capaci di contestazione e di manifestare insoddisfazione di fronte a fatti e parole non aderenti allo spirito del Vaticano II. Ma la maggior parte degli altri arriva a definirsi “gregge smarrito”, si lamenta della gerarchia… Proprio da questi viene generato il “quarto uomo”, un cattolico inedito ma oggi emergente e che occupa il posto tenuto anche dal “terzo uomo”, rispetto al quale non è in contrapposizione ma neanche in continuità: è un soggetto che testimonia un dramma! Perché il “quarto uomo” è, innanzitutto, un cristiano disincantato. Ha vissuto la grazia di un Concilio senza anatemi e senza dogmi; un Concilio che ha mostrato una Chiesa che iniziava a mettersi in ascolto del mondo. Pieno di entusiasmo e di speranze, ha preso parte ai lavori del grande cantiere ecclesiale; ha visto e fatto discernimento di contestazioni e proteste che chiedevano un ritorno al Vangelo; ha, con fatica, dialogato con il mondo abbattendo muri e bastioni… Ma a distanza di cinquant’anni, questo “quarto uomo” accusa stanchezza, conosce il disincanto, e vede un riflusso inesorabile delle forme della Chiesa che potevano essere riformate…. E, allora, il disincanto assale e avvelena il “quarto uomo”. Egli non rigetta la Chiesa e la Chiesa non lo rigetta, ma vive etsi ecclesia non daretur, cammina nella penombra della sera e sovente conosce la notte. Mantiene un vivo amore e un forte legame con Gesù Cristo suo unico Signore, ma Dio è per lui parola ancora troppo confusa con la religione. Un Dio non confessato come incarnato, ma troppo invocato come antropomorfico. E la Chiesa è per lui un mistero che sopravvive alla Chiesa istituzione, verso la quale non sente nessuna attrazione. E neppure le presta ascolto…”
Quindi due aspetti che convergono su una stessa situazione di difficoltà: da un lato la Chiesa istituzionale (sarebbe meglio dire le Chiese) che cercano percorsi di autoriforma, ma stentano ad uscire da una sostanziale staticità; dall’altro i credenti, praticanti o no, con una fisionomia sempre più variegata, per lo più distanti dalle problematiche interne alla Chiesa, ma alla ricerca di ispirazione e di valori che possano guidarli nella ricerca di senso e di costruzione del futuro. Si ripropone la questione dei principi non negoziabili in alternativa ad una visione aperta alla modernità.
La Chiesa (di nuovo le Chiese) non trovano più la sponda delle alleanze con il potere[8]; la Chiesa italiana, dopo aver costruito diverse forme di collateralismi con i governi, resta ancorata ad un rapporto giuridico di protezione garantito dal Concordato, in uno schema sostanzialmente difensivo di privilegi acquisiti: grandi patrimoni, raramente messi a valore per servizi di utilità collettiva; una gestione opaca di servizi (sanità, scuola, perfino ricettività turistica) ed uno scarso sostegno alle istanze solidaristiche diffuse in molte comunità locali.
Allargando lo sguardo al mondo si vedono crescere le differenze tra le Chiese locali, con rivendicazioni di autonomia rispetto al Vaticano, con lacerazioni su temi forti (si pensi agli scandali della pedofilia), con intralci a procedere nel dialogo interreligioso, nonostante i passi avanti compiuti dai pronunciamenti degli ultimi Papi.
Intanto si ridisegna la mappa geografica delle religioni, anche per effetto delle migrazioni: il confronto con l’Islam, ad esempio, diventa più ravvicinato e ci si scopre sostanzialmente impreparati per deficit di conoscenza di quella realtà e delle sue articolazioni interne.
Nell’enciclica Evangelii Gaudium Papa Francesco aveva scritto “La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano” ed ancora “Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo”.
Con il suo pontificato Papa Francesco intende esercitare un forte appello a leggere i tempi in modo dinamico, senza restare schiavi di una tradizione immobile ed autoreferenziale.
Lo ha fatto sui temi sociali, con il preciso orizzonte dei poveri come destinatari privilegiati del messaggio evangelico, e invitando a rispondere alle sfide del mondo attuale combattendo l’economia dell’esclusione, la nuova idolatria del denaro (il denaro che governa invece di servire), le diseguaglianze che generano violenza.
Ha incontrato i movimenti popolari ponendosi in ascolto di istanze di liberazione dalle diverse forme di oppressione; ha spiegato in molte occasioni la necessità di farsi carico dei migranti senza alibi con quattro semplici verbi, “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”; si è caricato del dolore del mondo per la pandemia con un gesto fortemente simbolico (la presenza da solo in Piazza San Pietro), più incisivo di molti discorsi.
Con l’enciclica Laudato si’ ha aperto una riflessione nel mondo della Chiesa sul rapporto con la natura e la difesa della Casa comune, ponendosi come uno dei punti di riferimento del tormentato dibattito mondiale sulla crisi ambientale.[9]
Con l’altra enciclica Fratelli tutti ha attualizzato la parabola del buon samaritano spiegando come la spinta all’individualismo delle nostre società è una falsa affermazione di libertà: “…La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore…”.
Si sente spesso dire che questi messaggi semplici e chiari, ma potenti, hanno portato Papa Francesco ad essere considerato un leader politico a livello mondiale (apprezzato o contrastato come tutti i leader) piuttosto che incidere sulla vita della Chiesa: certo il Papa ha trovato non poche resistenze in una parte della gerarchia ecclesiastica, ma ha anche aperto scenari di speranza e fiducia in gran parte delle realtà ecclesiali e soprattutto nei tanti gruppi di cristiani di base impegnati nell’impegno quotidiano a sostegno degli ultimi.
Per non parlare di quella parte di richiamo alla difesa dei valori cattolici, espressa in modo chiaramente strumentale da una parte della società civile e politica (purtroppo numerosa e rumorosa) e che si affida ad improbabili rosari esibiti in manifestazioni politiche (da parte di chi era partito da posizioni fortemente anticlericali) ed a presunte difese della famiglia tradizionale ed ai vari personaggi pubblici che ostentano devozione a Padre Pio o pellegrinaggi a Medjugorje. Ma anche questo, purtroppo, contribuisce a disorientare.
La svolta impressa da Papa Francesco è comunque evidente ed interpella tutti i cattolici.
Di che altro abbiamo bisogno?
Il Sinodo che si sta aprendo prevede un lungo percorso di ascolto secondo una metodologia processuale voluta dallo stesso Papa. Un sinodo che ancora non è delineato in tutti i suoi passaggi[10]
A Camaldoli Francesco Ferrari, Presidente di Viandanti ha parlato del Sinodo come occasione per toglierci dall’affanno e per ritrovare il percorso, in parte interrotto, avviato con il Concilio. Soprattutto per ridare voce ai laici, andare oltre il clericalismo e l’autoreferenzialità. Si potrà avere uno spazio di confronto e di approfondimento se effettivamente nelle diverse realtà ecclesiali locali saranno create le condizioni per esprimersi pubblicamente su una lettura dei mutamenti in corso, su temi anche complessi, quali le questioni di genere, la crisi ecologica, l’intelligenza artificiale ed altri. E se naturalmente ci sarà un’adesione a questi percorsi.
Un processo che forse potrà portare a ridisegnare la Chiesa su una pluralità di forme organizzative secondo le sensibilità locali con uno sforzo di leggere in modo più attento i segni dei tempi preservando la fedeltà al Vangelo.
Giuseppe Avallone
[1] “Essere cristiani nella Chiesa cattolica” XX Colloquio del gruppo Oggi la Parola – Camaldoli 29 ottobre-3 novembre 2021. La registrazione integrale degli interventi al Colloquio è disponibile dal sito delle Edizioni Camaldoli (https://www.edizionicamaldoli.it/prodotto/essere-cristiani-nella-chiesa-cattolica/) dove è possibile acquistare il link al file audio.
[2] Andrea Riccardi: “La Chiesa brucia – crisi e futuro del cristianesimo”, ed. Laterza 2021
[3] “Essere qui, Il gregge smarrito. Chiesa e Società nell’anno della pandemia”, ed. Rubettino 2021; la pubblicazione è frutto della discussione che De Rita ha promosso creando un’associazione “Essere qui” composta da diversi intellettuali, con l’obiettivo di riflettere sulla necessità di rilanciare una presenza della cultura cattolica nella società italiana.
[4] Alcune di queste testimonianze sono state raccolte nel volume curato da Luigi Accattoli e Ciro Fusco “Fatti di Vangelo in Pandemia. Settantadue storie italiane di morte e risurrezione nella stagione del Covid-19″, ed. ViTrenD 2021.
[5] INTERVISTA A PAPA FRANCESCO. Antonio Spadaro S.I. La Civiltà Cattolica 19 settembre 2013.
[6] Una sessione del Colloquio è stata dedicata al tema dell’attuazione del Concilio Vaticano II secondo Papa Bergoglio con gli interventi di Daniele Menozzi e Luigi Sandri
[7] Enzo Bianchi “Il disincanto attuale del quarto uomo” Vita Pastorale agosto – settembre 2021
[8] Una sessione del Colloquio di Camaldoli è stata dedicata al tema “Le varianti dell’alleanza trono ed altare nelle diverse Chiese”; Giuseppe Cassini ha presentato un interessante excursus storico a partire dalle origini del cattolicesimo fino ai nostri giorni, sottolineando le differenze a riguardo tra le Chiese occidentali e quelle orientali; Francis Tiso si è soffermato tra l’altro sulla Chiesa americana e sulla crisi della tradizione giudaico-cristiana che ha lasciato il posto a posizioni di neoconservatorismo in contrapposizione al Papa, cavalcando battaglie su temi sensibili, come l’aborto e l’omosessualità.
[9] Su questo tema è intervenuto a Camaldoli il francescano Giuseppe Buffon con un intervento su “Morale e costumi tra natura e fedeltà evangelica” ricordando come occorrano scelte radicali di nuovo approccio nel rapporto con la natura e di rinnovate categorie culturali che superino il modello antropocentrico, senza illudersi che una semplice redistribuzione di risorse possa bastare.
[10] Sul complicato percorso che ha dato avvio al Sinodo si veda l’articolo di Giampiero Forcesi “Francesco, i vescovi italiani ed il Sinodo” il Tetto, n.344-345 luglio-ottobre2021