FARE DI QUESTA STORIA UNA STORIA DI SALVEZZA
FARE DI QUESTA STORIA UNA STORIA DI SALVEZZA
Nella Messa di commiato dal Perù e dal Cile nella base aerea “Las Palmas” di Lima papa Francesco ha invitato a sottrarsi alla “sindrome di Giona”: quella di fuggire e di negarsi alla condivisione della sofferenza umana. Imparare a guardare la realtà in maniera divina
IN AEREO: HO SBAGLIATO, CHIEDO SCUSA
Quella che segue è l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Messa celebrata il 21 gennaio al termine del suo viaggio in Cile e in Perù:
«Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico» (Gn 3,2). Con queste parole il Signore si rivolgeva a Giona mettendolo in movimento verso quella grande città che era sul punto di essere distrutta a causa dei suoi molti mali. Vediamo anche Gesù, nel Vangelo, in cammino verso la Galilea per predicare la sua buona notizia (cfr Mc 1,14). Entrambe le letture ci rivelano Dio in movimento davanti alle città di ieri e di oggi. Il Signore si mette in cammino: va a Ninive, in Galilea,… a Lima, a Trujillo, a Puerto Maldonado… il Signore viene qui. Si mette in movimento per entrare nella nostra storia personale, concreta. Lo abbiamo celebrato da poco: è l’Emmanuele, il Dio che vuole stare sempre con noi. Sì, qui a Lima, o dovunque stai vivendo, nella vita quotidiana del lavoro sempre uguale, nell’educazione dei figli, piena di speranza, tra le tue aspirazioni e i tuoi impegni; nell’intimità della casa e nel rumore assordante delle nostre strade. E’ lì, in mezzo alle strade polverose della storia, dove il Signore ti viene incontro. Certe volte può succederci lo stesso che a Giona. Le nostre città, con le situazioni di dolore e di ingiustizia che ogni giorno si ripetono, possono suscitare in noi la tentazione di fuggire, di nasconderci, di defilarci. E i motivi, a Giona e ai noi, non mancano. Guardando la città potremmo cominciare a constatare che ci sono «vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”»[1] che stanno ai bordi delle nostre strade, che vanno a vivere ai margini delle nostre città senza condizioni necessarie per condurre una vita dignitosa, e fa male constatare che molte volte tra questi “avanzi umani” si trovano volti di tanti bambini e adolescenti. Si trova il volto del futuro. E vedendo queste cose nelle nostre città, nei nostri quartieri – che potrebbero essere luoghi di incontro e di solidarietà, di gioia – finisce per provocare quella che potremmo chiamare la sindrome di Giona: uno spazio di fuga e di sfiducia (cfr Gn1,3). Uno spazio per l’indifferenza, che ci trasforma in anonimi e sordi davanti agli altri, ci fa diventare esseri impersonali dal cuore asettico, e con questo atteggiamento facciamo male all’anima del popolo. Come ci faceva notare Benedetto XVI, «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana».[2] Quando arrestarono Giovanni [il Battista], Gesù si recò in Galilea a predicare il Vangelo di Dio. A differenza di Giona, Gesù, di fronte a un avvenimento doloroso e ingiusto come fu l’arresto di Giovanni, entra nella città, entra in Galilea e comincia da quella piccola popolazione a seminare quello che sarebbe stato l’inizio della più grande speranza: il Regno di Dio è vicino, Dio è in mezzo a noi. E il Vangelo stesso ci mostra la gioia e l’effetto a catena che questo produce: cominciò con Simone e Andrea, poi Giacomo e Giovanni (cfr Mc 1,14-20) e, a partire da allora, passando per Santa Rosa da Lima, San Toribio, San Martino de Porres, San Giovanni Macías, San Francesco Solano, è giunto fino a noi annunciato dalla nube di testimoni che hanno creduto in Lui. E’ arrivato fino a noi per impegnarsi nuovamente come un rinnovato antidoto contro la globalizzazione dell’indifferenza. Perché davanti a questo Amore non si può rimanere indifferenti. Gesù ha chiamato i suoi discepoli a vivere nell’oggi ciò che ha sapore di eternità: l’amore per Dio e per il prossimo; e lo fa nell’unica maniera in cui può farlo, alla maniera divina: suscitando la tenerezza e l’amore misericordioso, suscitando la compassione e aprendo i loro occhi perché imparino a guardare la realtà in maniera divina. Li invita a creare nuovi legami, nuove alleanze portatrici di eternità. Gesù percorre la città con i suoi discepoli e comincia a vedere, ad ascoltare, a fare attenzione a coloro che avevano ceduto sotto il manto dell’indifferenza, lapidati dal grave peccato della corruzione. Comincia a svelare tante situazioni che soffocavano la speranza del suo popolo suscitando una nuova speranza. Chiama i suoi discepoli e li invita ad andare con Lui, li invita a percorrere la città, ma cambia loro il ritmo, insegna a guardare ciò a cui fino ad ora passavano sopra, indica nuove urgenze. Convertitevi, dice loro, il Regno dei Cieli è incontrare in Gesù Dio che mescola la sua vita con la vita del suo popolo, si coinvolge e coinvolge altri perché non abbiano paura di fare di questa storia una storia di salvezza (cfr Mc 1,15.21ss.). Gesù continua a camminare per le nostre strade, come ieri continua a bussare alle porte, a bussare ai cuori per riaccendere la speranza e gli aneliti: che il degrado sia superato dalla fraternità, l’ingiustizia vinta dalla solidarietà e la violenza spenta con le armi della pace. Gesù continua a chiamare e vuole ungerci col suo Spirito perché anche noi andiamo a ungere con quella unzione capace di guarire la speranza ferita e rinnovare il nostro sguardo. Gesù continua a camminare e risveglia la speranza che ci libera da rapporti vuoti e da analisi impersonali e chiama coinvolgerci come fermenti lì dove siamo, dove ci è dato di vivere, in quell’angolino di tutti i giorni. Il Regno dei Cieli è in mezzo a voi – ci dice –, è lì dove sappiamo usare un po’ di tenerezza e di compassione, dove non abbiamo paura di creare spazi perché i ciechi vedano, i paralitici camminino, i lebbrosi siano purificati e i sordi odano (cfr Lc 7,22), e così tutti quelli che davamo per perduti godano della Risurrezione. Dio non si stanca e non si stancherà di camminare per raggiungere i suoi figli. Come accenderemo la speranza se mancano profeti? Come affronteremo il futuro se ci manca l’unità? Come arriverà Gesù in tanti posti, se mancano audaci e validi testimoni? Oggi il Signore ti chiama a percorrere con Lui la città, la tua città. Ti chiama ad essere suo discepolo missionario, e così a diventare partecipe di quel grande sussurro che vuole continuare a risuonare in ogni angolo della nostra vita: Rallegrati, il Signore è con te!
[1] Esort. ap. Evangelii gaudium, 74.
[2] Lett. enc. Spe salvi, 38.
LO SCHIAFFO DEL PAPA: HO SBAGLIATO, CHIEDO SCUSA
Sul volo che lo ha riportato a Roma dopo la missione in Cile e Perù, Francesco ha risposto come di consueto alle domande dei giornalisti, spiegando la sua posizione sulla pedofilia del clero e sul “caso Barros” per la cui nomina a vescovo di Osorno aveva ricevuto pesanti critiche in Cile. Si è scusato con le vittime e si è detto addolorato per averle ferite. Ha parlato della corruzione “presente anche nella Chiesa” e raccontato perché ha deciso di celebrare il matrimonio in volo fra uno steward e una hostess. Qui di seguito la trascrizione della conferenza stampa: E questo è il link per la videoregistrazione
D. Lei il primo giorno in Cile ha lanciato un messaggio duro contro gli abusi sui minori. Però poi ha fatto quella dichiarazione sul vescovo Barros, parlando di “calunnie”. Perché non crede alle vittime e crede a Barros?
R. «In Cile ho parlato due volte sugli abusi: davanti al governo e nella cattedrale con i sacerdoti. Proseguo con la tolleranza zero iniziata da Benedetto XVI. E in cinque anni non ho firmato una sola richiesta di grazia. Se la seconda istanza conferma la prima, l’unica via di uscita è appellarsi al Papa chiedendo la grazia. In cinque anni ho ricevuto circa 25 casi di richieste di grazia. Non ne ho firmata una. Per quanto riguarda il caso Barros: l’ho fatto studiare, investigare. Davvero non ci sono evidenze di colpevolezza. Chiedo che vi siano delle evidenze per cambiare la mia posizione. A Iquique, quando mi hanno chiesto di Barros, ho detto: il giorno in cui avrò la prova parlerò. Ho sbagliato a usare la parola “prova”, parlerei piuttosto di “evidenze”: so che molta gente abusata non può avere delle prove. Non le ha e non può averle, o se le ha ne prova vergogna: il dramma degli abusati è tremendo. Mi è capitato di incontrare una donna abusata 40 anni fa, sposata con tre figli, che non riceveva la comunione perché nella mano del prete vedeva la mano dell’abusatore. La parola “prova” non era la migliore, direi piuttosto “evidenza”. Nel caso di Barros, ho studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. E se condannassi senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di cattivo giudizio.
È stata pubblicata una sua lettera ai vescovi cileni nella quale si parlava della possibilità che Barros prendesse un anno sabbatico…
«Devo spiegarla quella lettera perché è a favore della prudenza e racchiude una vicenda lunga dieci-dodici mesi. Quando è scoppiato lo scandalo Karadima, si è cominciato a vedere quanti sacerdoti formati da lui erano stati abusati o erano stati abusatori. Ci sono in Cile tre vescovi che Karadima ha mandato in seminario. Qualche persona della conferenza episcopale aveva suggerito che rinunciassero, si prendessero un anno sabbatico, per far passare la tempesta: sono vescovi bravi, buoni, come Barros che aveva vent’anni di episcopato e stava per finire il suo mandato da ordinario militare. Si diceva: chiediamogli le dimissioni. Lui è venuto a Roma e io ho detto no, perché questo significava ammettere una colpevolezza previa. Ho respinto le dimissioni. Poi quando è stato nominato a Osorno è sorto questo movimento di protesta: Ho ricevuto da lui le dimissioni per la seconda volta. E ho detto: no, tu continui! Si è continuato a indagare su Barros, ma non emergono le evidenze. Non posso condannarlo, non ho evidenze, e mi sono convinto che sia innocente».
E per quanto riguarda la reazione delle vittime alle sue dichiarazioni?
«Su ciò che provano gli abusati, devo chiedere scusa. La parola “prova” ha ferito molti di loro. Dicono: devo forse andare a cercare una certificazione? Chiedo scusa a loro se li ho feriti senza accorgermi, l’ho fatto senza volerlo. E mi provoca tanto dolore, perché io li ricevo: in Cile due incontri si sanno, altri ci sono stati di nascosto. In ogni viaggio sempre c’è qualche possibilità di incontrare le vittime, si è pubblicato l’incontro di Filadelfia, altri casi no. Sentire che il Papa dice loro: portatemi una lettera con la prova è uno schiaffo! Mi accorgo che la mia espressione non è stata felice e capisco, come scrive Pietro in una delle sue lettere, che l’incendio si sia sollevato. È quello che posso dire con sincerità».
Perché per lei la testimonianza delle vittime non è una evidenza?
«La testimonianza delle vittime è sempre un’evidenza. Nel caso di Barros non c’è evidenza di abuso…».
Ma l’accusa non è di aver abusato, è di aver coperto gli abusi…
«Anche di questo non ci sono evidenze… Ho il cuore aperto a riceverne».
Come ha reagito alla dichiarazione del cardinale O’Malley, il quale ha detto che le sue parole sulle “calunnie” a proposito di Barros sono state fonte di dolore per le vittime?
«O’Malley ha detto che il Papa ha sempre usato la “tolleranza zero”… Poi c’è quella espressione non felice, ho parlato di calunnia, per dire di qualcuno che afferma qualcosa con pertinacia senza averne l’evidenza. Se dico: lei ha rubato, e lei non ha rubato, allora sto calunniando, perché non ho l’evidenza. Era un’espressione infelice. Ma io non ho sentito alcuna vittima di Barros. Non sono venuti, non si sono presentati, non hanno dato l’evidenza in giudizio. È rimasto per aria. È vero che Barros era nel gruppo dei giovani di Karadima. Ma dobbiamo essere chiari: se si accusa senza evidenze con pertinacia, questa è calunnia. Se però arriva una persona e mi dà delle evidenze io sarò il primo ad ascoltarla. La dichiarazione di O’Malley è stata molto giusta, l’ho ringraziato. Ha detto del dolore delle vittime in generale».
I membri della commissione vaticana per la tutela dei minori sono scaduti. È il segno che non si tratta di una priorità?
«La commissione era stata nominata per tre anni. Una volta scaduta, si è studiata la nuova commissione. La decisione è stata di rinnovarne una parte e di nominare nuovi membri. Prima dell’inizio di questo viaggio è arrivata la lista definitiva con i nomi e ora si segue l’iter normale della Curia. Delle persone nuove si studia il curriculum, e c’erano due osservazioni che dovevano chiarirsi. Ma non pensate che non la facciamo… sono i tempi normali».
Come risponde a chi dice che la sua visita in Cile sia stata un fallimento, per la poca gente che c’era e per il fatto che la Chiesa è più divisa di prima?
«È la prima volta che lo sento dire. Sono contento del viaggio in Cile, non mi aspettavo tante gente per strada, e questa gente non è stata pagata per venire!».
In Perù la classe politica ha defraudato il popolo con atti di corruzione e con indulti negoziati (il riferimento è all’indulto concesso dall’attuale presidente all’ex presidente Alberto Fujimori, ndr). Che cosa ne pensa?
«So che in alcuni paesi d’Europa la corruzione c’è. E in America Latina ci sono tanti casi. Si parla molto del caso Odebrecht (società brasiliana al centro di accuse di corruzione che coinvolgono anche il presidente peruviano Paolo Kuczynsky, ndr), ma questo è solo un esempio del campionario. L’origine della corruzione è il peccato originale che ti ci porta a questo. Avevo scritto un piccolo libro il cui messaggio era: peccatori sì, corrotti no. Tutti siamo peccatori, quando commettiamo un peccato ci rendiamo conto del male e chiediamo perdono. Il peccato non mi fa paura, ma la corruzione sì, perché vizia l’anima e il corpo. Il corrotto è così sicuro di sé stesso che non può tornare indietro… è la distruzione della persona umana. Il politico ha molto potere, ma anche l’imprenditore che paga la metà del dovuto ai suoi operai è un corrotto. Una padrona di casa convinta di poter sfruttare la domestica sui soldi o trattandola male, è corrotta. Una volta ho parlato con un giovane professionista di 30 anni che trattava il personale domestico in modo non nobile, mi diceva che cosa faceva. Gli dissi: è peccato! E lui: non facciamo paragoni tra questa gente e me, queste persone sono lì per questo. È ciò che pensa chi sfrutta sessualmente le persone, chi le sfrutta con il lavoro schiavo: sono corrotti».
Anche nella Chiesa c’è corruzione, pensiamo al caso del Sodalizio (movimento laicale fondato in Perù da Luis Figari, ora riconosciuto colpevole di abusi, ndr).
«Sì, nella Chiesa c’è corruzione. Nella storia della Chiesa sempre ci sono stati casi. Il fondatore del Sodalizio è stato denunciato non soltanto per abusi sessuali ma anche per manipolazione delle coscienze. Il processo è stato fatto dalla Santa Sede, si è data una condanna, lui ora vive solo, assistito da una persona. Si dichiara innocente e ha fatto appello alla Segnatura apostolica che è la suprema corte di giustizia della Santa Sede. Ma questo processo è stata l’occasione perché altre vittime facessero denuncia sia in sede civile che ecclesiastica. Sono emerse cose molto più gravi, è intervenuta la giustizia civile – che in questi casi di abuso è sempre conveniente che intervenga, è un diritto – e credo che la situazione diventa sfavorevole per il fondatore. Ma non era solo lui il problema, c’erano altre cose non chiare, di natura economica. Il Sodalizio oggi è commissariato. Un caso simile è quello dei Legionari che già è stato risolto: Benedetto non tollerava queste cose e io ho imparato da lui a non tollerarle».
Dopo il matrimonio dello steward e della hostess in volo, che cosa direbbe ai parroci che si trovano di fronte fidanzati intenzionati a sposarsi sugli aerei o sulle navi?
«Lei si immagina le crociere con il matrimonio? Uno di voi mi ha detto che io sono matto a fare queste cose. La cosa è stata semplice. Il signore (Carlos Ciuffardi, ndr) aveva partecipato al volo del giorno prima. Lei (Paula Podest, ndr) invece non c’era. Lui mi ha parlato. Mi sono accorto che mi aveva sondato… è stata una bella chiacchierata. Il giorno dopo c’erano tutti e due e quando abbiamo fatto le fotografie mi hanno detto che erano sposati civilmente e che otto anni prima stavano per sposarsi in parrocchia, ma la chiesa è crollata per il terremoto il giorno prima delle nozze. E così non c’è stato matrimonio. Dicevano: lo facciamo domani, dopodomani. Poi la vita va avanti: viene una figlia, poi un’altra. Io li ho interrogati e mi hanno detto di aver fatto i corsi prematrimoniali. Ho giudicato che fossero preparati. I sacramenti sono per gli uomini, tutte le condizioni erano chiare. Perché non fare oggi quello che si può fare? Aspettare domani magari avrebbe significato attendere altri dieci anni. Entrambi si sono preparati davanti al Signore con il sacramento della penitenza. Mi hanno detto che avevano anticipato ad alcuni di voi questa loro intenzione: “Andiamo dal Papa a chiedere che ci sposi”. Non so se è vero. Bisogna dire ai parroci che il Papa li ha interrogati bene, era una situazione regolare».
Lei in Amazzonia ha parlato della “perversione” di certe politiche che promuovono la conservazione della natura senza tener conto dell’essere umano. Crede che ci sia un ambientalismo che finisce per essere contro l’uomo?
«Sì, credo di sì. Il caso specifico a cui mi riferivo riguarda quella zona dell’Amazzonia: per proteggere la foresta alcune tribù sono state tagliate fuori. La stessa foresta è finita per essere sfruttata. Ci sono statistiche. Alcune tribù sono rimaste fuori dal progresso reale».
Uno degli scopi della Chiesa è lottare contro la povertà: il Cile ha abbassato il tasso di povertà da 40 all’11 per cento, ed è il risultato di una politica liberale. C’è del bene nel liberalismo?
«Dobbiamo studiare bene i casi delle politiche liberali. Alcuni Paesi in America Latina hanno attuato politiche liberali che li hanno portati alla più grande povertà. Non saprei che cosa rispondere, però in generale una politica liberale che non coinvolga tutto il popolo, è selettiva e porta giù. Il caso del Cile non lo conosco, ma in altri Paesi la cosa porta giù».
È uscita una notizia sul cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga: avrebbe preso soldi dell’università cattolica dell’Honduras. Che cosa ne pensa?
«Il cardinale Maradiaga su questo ha fatto una dichiarazione in televisione e io ripeto quello che lui ha detto».
Che cosa porta con sé da questo viaggio in Perù?
«Mi porto l’impressione di un popolo credente che ha attraversato e attraversa molte difficoltà ma ha una fede che mi impressiona. Un popolo che ha espresso la sua allegria e la sua fede. Voi siete una terra “insantata”, il popolo latinoamericano che ha più santi. Porto con me dal Perù un’impressione di allegria, di fede, di speranza, e soprattutto ho visto molti bambini! La stessa immagine che ho visto nelle Filippine e in Colombia: papà e mamme che alzano i loro bambini… Questo dice futuro, dice speranza. Custodite questa ricchezza».
Cosa vuole dire ancora del viaggio?
“Mi ha commosso tanto la visita nel carcere delle donne. Avevo il cuore lì. Sono molto sensibile ai carcerati, e mi domando sempre: perché loro sì e non io? Vedere queste donne, anche le attività di queste donne, la capacità che hanno di cambiare vita, di reinserirsi nella società con la forza del vangelo…. Uno mi ha detto: ‘Lì ho visto la gioia del vangelo’. Ero molto commosso in quell’incontro. Poi a Puerto Maldonado ho incontrato gli aborigeni. È stato commovente, un segno per il mondo. È stato il primo incontro del Sinodo per l’Amazzonia che sarà nel 2019. Mi sono commosso anche all’Hogar Principito, tutti questi bambini abbandonati. Poi la gente, il calore della gente. Questo popolo ha fede, questa fede contagia me e ringrazio Dio”.