GUARIRE LE NOSTRE COMUNITÀ DAL CLERICALISMO
GUARIRE LE NOSTRE COMUNITÀ DAL CLERICALISMO
Tradurre nella vita della Chiesa la teologia del popolo di Dio. Educare parroci e vescovi. Il ruolo della donna e l’accoglienza dei migranti
Giuliano Minelli
Mi chiamo Giuliano Minelli, vengo da Gubbio, sono un artigiano, ho studiato cinque anni teologia ad Assisi e ho poi fatto due anni di approfondimento di teologia dogmatica alla Gregoriana di Roma.
Come abbiamo ascoltato, sono state fatte analisi interessanti, colte e precise, che rimandano all’agire politico in cui credo che molti di noi , ad eccezione dell’ultimo referendum, siamo dei buoni perdenti. Viviamo in un mondo divenuto invivibile per discriminazioni, razzismo, divisioni, ingiustizie, crisi profonde a livello politico, istituzionale, sociale e quant’altro; siamo in una Chiesa vecchia, maschile, clericale, arrogante, che si mostra con molti scandali, chiusa su se stessa. Ma… (e questo è il primo grande ma) abbiamo avuto un Papa Giovanni che ha aperto una finestra sul mondo con il Concilio. Fra il ’72 e il ’74 è stato tirato un freno e via via, sempre più tirata la corda, abbiamo subito trent’anni di conservatorismo difficile; probabilmente sono presenti molti di noi che hanno riportato qualche ammaccatura. Ma… (il secondo grande ma) è venuto Papa Francesco che ha aperto un portone… Concordo con quanto è stato detto che, come novità, Francesco sta mettendo in pratica ciò che lo spirito conciliare aveva indicato.
Ma… (e questo è un ma che riguarda noi, come un appello in modo che ciascuno di noi diventi un ‘tormento’ continuo per i nostri politici locali, i nostri vescovi e parroci) è venuto il momento ed è ora, se mai ci fossimo fermati, ad essere noi a dare una mano perché questo nuovo vento dello Spirito continui a soffiare e portare una nuova primavera.
Penso che per aiutare a tenere ben aperto e spalancato questo portone, perché tutto non ritorni come prima, occorra guarire (termine molto caro che ci rimanda a Francesco) le nostre comunità dal clericalismo, da secoli, cancro della nostra fede. Come ha detto Francesco: (il 19/marzo/2016 al presidente della Commissione per l’America Latina) “il clericalismo…non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come ‘mandatario’ limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio, e non solo a pochi eletti e illuminati (cfr.LG.nn.9-14)”.
È proprio il tema del Popolo di Dio il secondo aspetto che vorrei qui sottolineare proprio come antidoto al clericalismo gerarcocentrico del Vaticano I e dello schema preparatorio ristabilendo l’uguaglianza fondamentale di tutti i suoi membri:
[“Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo ‘ un regno di sacerdoti per il Dio e il Padre suo”. Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di Colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce. Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio, offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio, rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna” (LG10). Inoltre “L’universalità dei fedeli che tengono l’unzione dello Spirito Santo, non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando ‘dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici’ mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale (LG12). Sempre nello stesso numero richiama la libertà dello Spirito che non dipende da alcuno].
A fugare ogni dubbio sull’interpretazione da dare suggerisco di leggere la lettura che ne dà papa Francesco in Evangelii Gaudium al capitolo III in cui mostra come tutto il popolo di Dio è soggetto collettivo ecome questa realtà non fa altro che ripetere continuamente ad ogni occasione. Tutto questo non significa sottovalutare il ministero ordinato nella Chiesa, ma che esso va compreso ed interpretato all’interno di questa realtà primaria .
Tenuti fermi questi due punti penso che ciascuno di noi debba cercare di guarire il proprio parroco ed il proprio vescovo ricordando spesso, a noi stessi e a loro, come attraverso lo studio e la riflessione sulla Parola (lectio), l’attenzione ai segni dei tempi ed una eucarestia, che desidererei destrutturata e rimontata in modo che ogni credente sia soggetto e non ‘suddito’, si possa giungere ad una fede adulta e significativa per il tempo di oggi.
È nella Parola e negli eventi della storia che Lui si rivela a noi e ci tratta, non come servi o sudditi, ma come amici (cfr. Ef. 2,18; 2 Piet.1,4) e, s’intrattiene con noi, proprio come quei discepoli di Emmaus. Ed è sulla croce di quell’Uomo che il velo del tempio si è squarciato perché ogni uomo venisse fatto tempio Suo. Su quella croce si è posto fine all’altare del sacrificio per farne una mensa e cenare insieme con Lui.
È nell’eucarestia, in quel pane e vino che costituiscono il nostro vissuto, in quegli elementi non glorificati che si rende presente il Cristo glorificato. È Lui che crea l’unità, non la sudditanza ad un prete o quant’altro ancor grande e bravo che sia. Chi svolge un ministero deve far emergere queste soggettività, questo è il servizio altrimenti è solo abuso di potere! A quell’invito a nozze noi andremo tutti spinti a forza come quegl’invitati di cui parla il vangelo presi nei crocicchi delle strade. Se non c’è il vissuto di quel soggetto non c’è Chiesa. È questo che bisogna far emergere. La domanda che mi si pone è quando qualsiasi uomo sarà considerato come soggetto, quando il credente potrà essere considerato soggetto dell’evangelizzazione in ogni luogo, quando sarà trattato da concelebrante nella liturgia in cui preti e vescovi esercitano la presidenza.
Riflettendo sui segni dei tempi oltre a tutto ciò che è stato espresso penso che dovremmo essere significativi anche su queste due tematiche, quelle dell’accoglienza e la questione della donna, anzi del grande discrimine verso la donna. Possiamo ancor oggi dare uno scandalo di queste proporzioni (le donne sono più della metà del genere umano) quando fin dalla prima pagina della Bibbia si legge come “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” (Gen.1,27), quando al popolo sacerdotale appartiene sia l’uomo che la donna, quando in Gesù Cristo risorto non c’ è più né uomo né donna (Gal. 3,28), ma noi continuiamo ad escludere la donna dall’ordine sacro come se la rappresentanza di Dio fosse una questione di genere sessuale. Ormai è più che documentato come nel movimento di Gesù vi fossero donne leader, così come nel periodo apostolico tra cui Febe diaconessa, Tabità e Giunia apostole, Lidia, Priscilla (o Prisca), come Paolo ne saluti almeno dieci. Ormai un grande numero di teologi considera scandaloso questo ritardo che è problema di natura culturale. Spero e prego che papa Francesco, proclamando Maria di Magdala ‘apostola degli apostoli’ facendone il 22 luglio festa per tutta la Chiesa nello stesso modo degli altri apostoli, stimoli tutti ad una maggiore riflessione per colmare questo evidente ritardo. È stato utile per me studiare il testo di Hermann Haring apparso su Concilium n°3 del 1999, in cui approfondisce la trasposizione “in persona Christi” della figura sacerdotale, testo che suggerisco a tutti coloro che si oppongono di andare a leggere. Mi viene da dire: rimarrete senza parole.
Ultimo aspetto, ma primo per urgenza, impatto, significato, per essere in sintonia con questi giorni di Papa Francesco in Myanmar e Bangladesh, è l’accoglienza dei migranti. È stato espresso il problema politico e giuridico, rimane quello pratico. Come minimo ogni diocesi, ma più corretto è dire ed esigere, che ogni parrocchia di considerevole grandezza, ogni convento e/o monastero (che fra l’altro sono molto vuoti) debba avere un punto di riferimento, una struttura che possa accogliere chi ha bisogno: costui è il vero corpo di Cristo!
Chiudo richiamando, su questo tema, San Giovanni Crisostomo: Questo è il mio corpo
“Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Infatti colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, è il medesimo che ha detto: “Voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito”, e “nella misura in cui l’avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che è fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a vivere come saggi e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato (…).
A che serve che la tavola del Cristo sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, e poi, con quel che resterà, potrai onorare anche il suo altare. Gli offri un calice d’oro e non gli offri un bicchiere d’acqua? Che beneficio ne ritrae? Tu procuri per l’altare veli intessuti d’oro e a lui non offri il vestito necessario. Che guadagno ne ricava? (…). Addobbando la casa, bada di non dimenticare tuo fratello che soffre, perché questo tempio è più prezioso dell’altro.
(Omelia 50 sul Vangelo di Matteo a proposito del mistero eucaristico)
Il vissuto edificante diventi un’esigenza etica non la paura o il ricatto della ‘vita eterna’.
Giuliano Minelli