IL CAPITALE DISUMANO
L’odio per decreto
IL CAPITALE DISUMANO
Da Riace e Lodi al decreto Salvini, si sta realizzando un progetto discriminatorio ad ampio raggio, verso una società dove siano discriminati gli stranieri, ma anche sia punito chi vive in povertà e nella marginalità sociale. Misure repressive che rischiano di creare uno Stato di polizia
Stefano Catone, Giuseppe Civati, Giampaolo Coriani e Andrea Maestri
Pubblichiamo il primo capitolo di un libro appena uscito (c/o People pamphlet) di Giuseppe Civati insieme a Stefano Catone, Giampaolo Coriani e Andrea Maestri
Ottant’anni fa il regime fascista promulgò le leggi razziali, espellendo dalle scuole bambine come Liliana Segre, che allora aveva otto anni, andava alle elementari e nel settembre del 1943 fu allontanata, per legge, dalla sua scuola e non potè rientrare nella sua classe, un mese dopo, quando le scuole riaprirono. Per tutti, ma non per quelli come lei, che divenne «l’altra».
Leggi di estrema gravità, spesso associate a norme e decreti minori, punitivi, discriminatori e umilianti, furono accompagnate dall’indifferenza generale. È la normalizzazione di cui Jason Stanley parla in Come funziona il fascismo: la banale accettazione e minimizzazione di atti inauditi, senza precedenti, è tipica dei regimi di ispirazione fascista[1].
Al giorno d’oggi la discriminazione prende le forme di iniziative amministrative e legislative – segnali che si moltiplicano, a livello locale e a livello nazionale, sotto la bandiera della Lega e della destra, fino a ieri secessionista, oggi nazionalista, ma con la stessa matrice e la stessa miscela di xenofobia e ossessiva propaganda securitaria.
A Lodi la giunta guidata dalla Lega espelle i bambini di origini straniere – benché in molti casi nati in Italia – dalle mense e dal servizio di trasporto pubblico, con una delibera capziosa e discriminatoria, per cui le famiglie straniere devono presentare una serie di documenti circa la propria situazione patrimoniale nel Paese d’origine, documenti difficili da reperire, in molti casi: se non li presentano, scatta l’aliquota più alta, quella a cui sono tenute le famiglie molto benestanti, una retta impossibile da sostenere per nuclei familiari indigenti. I bambini sono separati, all’ora di pranzo, da una guardia, immagini che finora avevamo visto nei documentari su Rosa Parks o sull’apartheid. E il rischio più grande è che quei bambini non vadano più a scuola. Poi, certo, tutti a pontificare, esaltando l’integrazione: qui siamo alla consapevole disintegrazione.
Un’espulsione di fatto, come «di fatto» sono i respingimenti nel mare Mediterraneo, affidati alla Libia dopo aver sgomberato le Organizzazioni non governative che vi operavano: respingimenti illegali, secondo la Convenzione di Ginevra dedicata ai rifugiati che è stata redatta proprio in risposta alle enormità e ai genocidi della seconda guerra mondiale. Correva l’anno 1951. Così come le norme garantiste verso il diritto a migrare, a fuggire dal proprio paese e a potervi far ritorno, nonché il «diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato», furono ribadite a chiare lettere dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 13. Correva l’anno 1948. Il primo giorno di quell’anno entrò in vigore la Costituzione italiana, che all’articolo 10 recita: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».
E invece nel 2018 si festeggia la guerra alle Ong, a cui hanno partecipato quasi tutte le forze parlamentari, se è vero che la polemica, esplosa nel corso del 2017 a cura di Di Maio e Salvini, quando erano ancora all’opposizione, ha trovato una sponda istituzionale già nel governo precedente, con Minniti e il suo fatale «Codice di condotta». Le navi dei soccorsi in mare sono diminuite, fino a scomparire: un trionfo per la destra in tutte le sue articolazioni.
Anche gli arrivi sono diminuiti, grazie al contributo delle milizie libiche e dei campi in cui i migranti sono rinchiusi, al di là del mare: le forze politiche, incuranti delle condizioni disumane in cui si trovano, privati delle libertà fondamentali, violati, stuprati e venduti come fossero schiavi, fanno a gara per celebrare la riduzione di quelli che chiamano «sbarchi» e del numero di quelli che chiamano «clandestini» (termini che attraversano tutto l’emiciclo, senza soluzione di continuità, dai fascisti agli esponenti del Pd). In continuità con la linea Minniti è la decisione di cedere alla Libia motovedette e fornire risorse e strumenti per la sua Guardia costiera, con l’obiettivo dichiarato di trattenere le persone che scappano dalle coste libiche, prima che se ne debbano occupare Europa e Italia. Si tratta di respingimenti delegati alla Libia, paese che peraltro non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati. Superando le ipocrisie del precedente governo, in una intervista al Corriere della Sera del 24 agosto 2018, Salvini aveva spiegato la sua posizione in merito: «Si dice che in base ai trattati, alle convenzioni, a Ginevra, noi non possiamo riportare gli immigrati indietro. Bene. Ma trattati e convenzioni si possono modificare». Sono le convezioni che vanno cambiate, insomma. Tutto torna. Molti anni indietro.
A Monfalcone la nuova amministrazione della destra, in totale sintonia con la giunta regionale, vieta l’accesso alle scuole dell’infanzia se si supera la soglia del 45% di bambini di origini straniere. Figli di operai dei cantieri navali, proletariato che fatica, che lavora duramente, se sono oltre il tetto sono costretti a cercarsi un altro asilo, distante, in alcuni casi irraggiungibile per famiglie che non hanno mezzi sufficienti. Anche questa è un’espulsione. Il presidente leghista della Regione si è detto convinto che il modello Monfalcone vada esteso a tutto il Friuli Venezia Giulia. E lì non c’è nemmeno bisogno dei servigi del M5s.
Chissà se i bambini si chiedono «perché?!», come Segre ricorda chiese disperatamente a suo padre, per essere stata separata dalle sue compagne e dai suoi compagni. Chissà come vivremmo noi, italianissimi, sapendo che i nostri figli, a scuola, senza avere alcuna colpa, sono discriminati, allontanati dalla mensa, esclusi.
Nel frattempo, Di Maio, il Salvini campano, si allinea al suo collega vicepremier e spiega che il «reddito di cittadinanza» andrà solo agli italiani, dimenticandosi della Costituzione e del Testo Unico sull’Immigrazione, che definisce molto precisamente la questione[2]. Lo stesso reddito di inserimento, attualmente in vigore, pone condizioni molto chiare, selettive ma non discriminatorie, per regolamentare l’accesso al contributo per chi vive, lavora e paga le tasse in Italia da anni, in un regime di rigorosa legalità. Il diavolo fa le pentole, ma si dimentica i coperchi (e in generale, potremmo dire, le ‘coperture’). Ne scrive preoccupato un giornale della destra, Il Tempo, che in prima pagina spara il titolo: «Reddito di cittadinanza “straniero”»[3]: «Il governo rischia l’effetto boomerang: il reddito di cittadinanza potrebbe aiutare soprattutto gli stranieri. Benché Palazzo Chigi abbia assicurato che il contributo di 780 euro al mese sarà dato esclusivamente agli italiani, le norme lo vietano. Innanzitutto la Costituzione ma anche i trattati europei e internazionali con cui l’Italia si è impegnata a considerare allo stesso modo residenti italiani e immigrati».
Gli esponenti del M5s la pensavano come noi, fino a ieri: lo ricordava lo stesso Giovanni Tria, ministro dell’Economia, nella seduta del Senato del 20 settembre, facendo riferimento al «disegno di legge n. 1148 del 2013» presentato proprio dal M5s nella passata legislatura che prevedeva che al cosiddetto reddito di cittadinanza «potessero accedere i cittadini italiani o di Stato membro dell’Unione europea residenti sul territorio nazionale». «Per quanto concerne i cittadini di Paesi terzi», aggiungeva Tria, «la disposizione in questione condizionava la fruibilità del sostegno al fatto che i rispettivi Paesi di origine avessero sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con l’Italia». Di Maio e i suoi, da quando si sono sposati con Salvini, hanno acquisito la cittadinanza leghista.
Chissà cosa capiterà quando si accorgeranno che tra i beneficiari del cosiddetto «reddito di cittadinanza», in quanto cittadini italiani, ci saranno anche i Rom e che la comunità di stranieri più popolosa in Italia è rappresentata dai romeni, che essendo cittadini dell’Unione difficilmente potranno essere discriminati e esclusi dall’accesso allo strumento.
Speriamo che i costituzionalisti più militanti, finora silenti, vogliano dire qualcosa: perché è la Costituzione nei suoi principi fondamentali a essere sotto attacco e con lei le ragioni di una convivenza rispettosa della sensibilità di ciascuno e dei diritti di tutte e tutti.
Da un anno a questa parte lo ius soli è letteralmente sparito dall’agenda politica della maggioranza ma anche dell’opposizione e proseguono discriminazioni non dichiarate verso i minori, che pur essendo nati o avendo vissuto quasi tutta la loro vita in Italia, si trovano negate alcune opportunità, senza alcuna ragione e senza alcuna colpa.
A livello europeo i nuovi ministri del governo del «cambia niente» si sono rivelati incapaci di definire una strategia politica: dopo aver celebrato il successo del vertice di fine luglio, in cui si doveva discutere della riforma del Regolamento di Dublino e che si è rivelato di lì a poco senza alcuna conseguenza concreta per la gestione dei fenomeni migratori, si sono trovati senza alcuna vera interlocuzione con gli altri governi e con la Commissione europea. Eppure l’attuale ministro dell’Interno è stato a lungo europarlamentare: un parlamentare europeo molto distratto, lui e il suo partito, se è vero che non ha mai inteso partecipare alle riunioni dedicate alla riforma del Regolamento di Dublino, come più volte denunciato dall’europarlamentare di Possibile, Elly Schlein.
L’eccesso di propaganda di sicurezza, in questo come in altri casi, produce il suo esatto contrario. E ciò accade fin dai tempi in cui la Lega votava la Bossi-Fini. Più «sicurezza», meno legalità. Ciò è confermato in tutto e per tutto dai primi atti del nuovo governo.
Il Viminale, il 6 luglio, aveva diramato una circolare in cui si chiedeva maggior rigore nell’esame delle istanze dei richiedenti asilo, a cui aveva fatto seguito, una settimana dopo, una dura e irrituale comunicazione della Commissione nazionale sull’asilo, che segnalava l’eccesso di concessioni della protezione umanitaria. Il governo ha deciso di codificare questo orientamento.
Lunedì 24 settembre 2018 è stato votato dal Consiglio dei ministri presieduto dall’ineffabile Giuseppe Conte il decreto su immigrazione e sicurezza. Un decreto che vuole essere la summa politica del salvinismo, in cui si compie la politica irresponsabile e irrispettosa delle persone di cui l’Italia si è resa protagonista nell’estate del 2018, trascorsa a bloccare navi, ad allontanare i soccorsi, a tenere ferme persone senza alcuna ragione, se non quella della propaganda, con la vergogna internazionale della nave Diciotti della nostra Guardia costiera, sequestrata al porto di Catania, con il tricolore che sventolava su 177 persone, in mare da giorni, tenute ferme per ricattare l’Europa. La fine di quella vicenda, con l’Europa che non risponde alle indegne minacce e i richiedenti asilo ospitati dalla Chiesa, dimostra come la cattiveria non serva a niente.
Salvini, pochi minuti dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri, twitta trionfale: è stato votato all’unanimità, il decreto. Con la totale adesione del M5s al salvinismo e all’estrema destra.
Il punto di partenza del decreto è il contrasto al «possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale», alla luce di una campagna – questa sì strumentale – sul numero dei «profughi veri», che secondo Salvini sarebbero solo cinque, sei, sette su cento, dato contestato dallo stesso ministero di cui Salvini è a capo. Le cose non stanno affatto così: nel 2017, stando ai dati del ministero dell’Interno, su un totale di circa 81mila domande esaminate, 6.827 (8%) hanno avuto come esito il riconoscimento dell’asilo, 6.880 (8%) della protezione sussidiaria, 20.166 della protezione umanitaria (25%). Le prime due protezioni (asilo e protezione sussidiaria) sono istituti internazionali, mentre la protezione umanitaria è un istituto residuale previsto dal nostro ordinamento, riconosciuto qualora ricorrano «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano». Esistono, infatti, obblighi costituzionali (ex articolo 10, «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana») e internazionali (ad esempio, ex articolo 33 della Convenzione di Ginevra, e il consolidato divieto di espellere o respingere «in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate»). Istituti analoghi alla protezione umanitaria esistono infatti in altri paesi europei. È inoltre fondamentale ricordare che a coloro che hanno ricevuto un diniego dalle Commissioni territoriali in diversi casi è riconosciuta una forma di protezione dal Tribunale, chiamato a decidere sull’impugnazione. Dopo l’entrata in vigore del decreto Minniti-Orlando, nel 2017, l’eliminazione di un grado di giudizio ha ridotto la possibilità di impugnazione davanti alla Cassazione, dopo un eventuale rigetto da parte del Tribunale di primo grado, per soli motivi di legittimità. Ciò ha già comportato una significativa riduzione delle protezioni internazionali riconosciute a seguito di diniego da parte delle Commissioni territoriali.
Muovendo però da questo falso assunto, il decreto prevede l’eliminazione della protezione umanitaria – introducendo solo permessi speciali, per gravi ragioni di salute, calamità naturali e meriti civili. Per la giurista Chiara Favilli, che insegna Diritto dell’Unione europea a Firenze, «attraverso questo decreto si cerca di precludere alle Commissioni territoriali e ai giudici la discrezionalità che hanno avuto finora nel riconoscere la protezione umanitaria. Ma l’esperienza di questi anni ci insegna che solo una valutazione caso per caso può far emergere la vulnerabilità di alcune persone, vulnerabilità che sfugge a una definizione tassativa», ricordando che il diritto d’asilo in Italia è un diritto soggettivo garantito dall’articolo 10 della Costituzione. Si tratta di «una norma manifesto che ha una grande eco mediatica, ma al livello pratico crea molti problemi»[4].
Il decreto limita inoltre l’accesso allo Sprar ai soli titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. I richiedenti asilo saranno destinati ai Cara e ai centri a gestione prefettizia. Per rendere più efficienti le espulsioni, il decreto prevede il raddoppio dei tempi di detenzione nei Centri per i rimpatri. Per quanto riguarda la cittadinanza, saranno raddoppiati i tempi per la concessione per matrimonio o residenza e la stessa cittadinanza potrà essere revocata sulla base di una lista di reati (chi la otterrà sarà perciò per sempre italiano di serie B).
«Si tratta di una riforma che spazza via il testo dell’articolo 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione in vigore da vent’anni (1998), aprendo seri problemi in relazione all’effettivo rispetto (nel caso di approvazione della proposta governativa) del diritto d’asilo come concepito dall’articolo 10 della Costituzione», così ha commentato Gianfranco Schiavone di Asgi[5]. «Lo Sprar è sempre stato considerato da tutti i governi di qualunque colore politico il fiore all’occhiello del sistema italiano, da presentare in Europa in tutti gli incontri istituzionali, anche per attenuare agli occhi degli interlocutori le gravi carenze generali dell’Italia nella gestione dei migranti»: cancellarlo è «uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni», aggiunge Schiavone.
«Lo Sprar (gestito oggi da Comuni di centrosinistra come di centrodestra) ha assicurato ovunque una gestione dell’accoglienza concertata con i territori, con numeri contenuti e assenza di grandi concentrazioni, secondo il principio dell’accoglienza diffusa, di buona qualità e orientata ad inserire quanto prima il richiedente asilo nel tessuto sociale. Inoltre lo Sprar ha assicurato un ferreo controllo della spesa pubblica grazie a una struttura amministrativa centrale di coordinamento e all’applicazione del principio della rendicontazione in base al quale non sono ammessi margini di guadagno per gli enti (associazioni e cooperative) che gestiscono i servizi loro affidati. Invece, da oltre un decennio, il parallelo sistema di accoglienza a diretta gestione statale-prefettizia, salvo isolati casi virtuosi, sprofonda nel caos producendo un’accoglienza di bassa o persino bassissima qualità con costi elevati, scarsi controlli e profonde infiltrazioni della malavita organizzata che ha ben fiutato il potenziale business rappresentato dalla gestione delle grandi strutture (come caserme dismesse, ex aeroporti militari) al riparo dai fastidiosi controlli sulla spesa e sulla qualità presenti nello Sprar»[6].
Una misura, questa, che colloca il decreto in palese contrasto con la Costituzione, con i Trattati, con le Convenzioni e, addirittura, con lo stesso «Contratto per il governo del cambiamento», che al punto 13 (alle pp. 26-28) recita: «Si deve superare l’attuale sistema di affidamento a privati dei centri e puntare ad un maggiore coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, a cominciare da quelle territoriali, dando la gestione dei centri stessi alle regioni e prevedendo misure che dispongano l’acquisizione del preventivo assenso degli enti locali coinvolti, quale condizione necessaria per la loro istituzione»[7].
Punti discutibili sono anche quelli dedicati al diniego della protezione e alla revoca della cittadinanza, anche se in una forma temperata rispetto alla bozza originaria, in virtù – dicono i commentatori – di una interlocuzione con il Presidente Mattarella che ne avrebbe attutito gli effetti. Come ha dichiarato Giovanni Maria Flick, gravi dubbi di costituzionalità sorgono comunque sulla revoca della cittadinanza, così come pare incostituzionale stabilire un diniego per una condanna non definitiva (in questo caso il riferimento è all’articolo 27 della Costituzione)[8].
Il decreto passerà al vaglio del Quirinale e, se convertito in legge senza sostanziali modifiche, sarà oggetto di mille ricorsi e contestazioni, che ne dimostreranno i limiti e le incoerenze. Nel frattempo, l’unico risultato concreto sarà quello di peggiorare la qualità dell’accoglienza, aumentare i tempi di detenzione e far crescere il numero dei «clandestini» ovvero di coloro che si troveranno in condizioni di irregolarità.
In sintesi, il decreto che vorrebbe coniugare sicurezza e immigrazione, nel segno della legalità, ottiene risultati opposti: aumento del numero di irregolari, aumento del ricorso ai centri privati e alle soluzioni emergenziali, riduzione delle tutele e dei percorsi di integrazione, crescita dei ricorsi e dei contenziosi giudiziari, allungamento dei tempi e delle procedure, con pesanti conseguenze – come notano molti operatori del settore – non solo sulle persone che arrivano in Italia, ma anche sulle comunità che li ospitano.
I leghisti, grazie alla collaborazione del M5s, stanno realizzando un progetto discriminatorio, ad ampio raggio.
Tra gialli e verdi, il messaggio politico è nerissimo e Salvini alla festa di Fratelli d’Italia chiarisce l’impostazione politica della sua iniziativa, condendola con il suo tradizionale linguaggio fascistoide. «Se la Consulta ponesse dei rilievi sul decreto su immigrazione e sicurezza? Vorrà dire che discuterò amabilmente con la Consulta…». Secondo la Costituzione, com’è ovvio che sia, con la Corte costituzionale non si può discutere. E contro la Costituzione Salvini difende la propria politica, che discrimina in modo manifesto tra italiani e stranieri: «Ho chiesto all’amico Di Maio che il reddito di cittadinanza fosse riservato ai cittadini italiani: mi sembrava il minimo […]. Sicuramente ci saranno ricorsi e controricorsi: e chi se ne frega». Il «me ne frego» dei trattati e delle convenzioni internazionali. E della nostra Costituzione, a cui si aggiunge un sarcastico disprezzo per le ragioni di altri: «ci sarà allarme dell’Onu, della Croce rossa, dei vegani e degli animalisti».
Nel 2009, ai tempi della giunta Formigoni, quando Salvini e i suoi già governavano con Berlusconi e i suoi, in Regione straniera denunciammo la xenofobia istituzionale, che allora prendeva di mira l’accesso ai trasporti e alle case, i kebab e il call center[9]. Dopo dieci anni, se la prendono con i bambini, con gli ultimi, con chi non ce la fa, discriminando le persone in modo arbitrario, negando loro ciò che è previsto dalla nostra Costituzione, all’insegna del «noi e loro», la matrice di ogni razzismo.
La soluzione per l’integrazione, che richiederebbe maggiore qualità, investimenti mirati, una condivisione delle responsabilità, si rovescia nel suo contrario: il problema va alimentato, perché è combustibile per i motori dell’odio, della paura, della tensione, perché legittima le violenze istituzionali, perché crea consenso verso un nemico. Resta da capire chi sono i nostri amici e che cosa ne penseremmo se capitasse a noi.
Per la stessa ragione per cui si promulgano norme indegne, discriminatorie e xenofobe, che colpiscono tutti e si accaniscono in particolare sui minori e sui bambini più piccoli, si prosegue in una scientifica disinformazione circa il sistema dell’accoglienza e in una contestazione quotidiana, rivendicata politicamente, degli esempi migliori del nostro sistema dell’accoglienza.
L’obiettivo è dichiarato, lo troviamo nei tweet di Salvini e nelle parole di un suo seguace, il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga[10]: «Sono disposto a mettere a disposizione più di un Cpr, a Trieste, a Udine, a Pordenone, perché preferisco dei centri dai quali il clandestino non può uscire e fare ciò che vuole. L’accoglienza diffusa deve finire».
L’accoglienza deve finire, i richiedenti asilo devono essere detenuti senza potersi muovere. Una sorta di moltiplicazione della Diciotti sulla terraferma.
La conclusione di un percorso caratterizzato della più becera propaganda politica senza alcun risultato concreto non poteva che essere l’approvazione di una serie di norme contro la Costituzione e contro l’umanità, discriminatorie e controproducenti. Ma il «tanto peggio, tanto meglio» è perfetto per una forza politica che sui problemi connessi alla questione migratoria ha sempre lucrato. Chissà se qualcuno dei ministri o dei parlamentari di maggioranza vorrà sottrarsi a questa logica pericolosa, come fece Christiane Taubira in Francia, quando si dimise dal governo di cui era ministra della Giustizia proprio in polemica contro alcune controverse norme proposte dall’allora presidente Hollande (a cui poi Hollande dovette rinunciare) che prevedevano la revoca della cittadinanza e il ricorso a leggi speciali. Scrisse, allora, in un celebre pamphlet:
«Costituzione» è composta da cum, insieme, e da statuere, stabilire. È concepita per proteggere i diritti e le libertà dei cittadini contro i possibili abusi di potere, e non importa che le tentazioni vengano da parte dei legislatori, del potere esecutivo o persino dell’autorità giudiziaria. È dunque attraverso l’affermazione dei diritti, delle libertà, delle attribuzioni di cittadinanza che si attagliano a ciascuno, delle regole solenni che si impongono a tutti, che si definisce l’appartenenza[11].
Ultima avvertenza: se pensate che questo decreto non vi riguardi, perché associa la sicurezza soprattutto ai fenomeni migratori in un articolato che più che una legge-bandiera vuole essere proprio una legge-comizio, vi sbagliate di grosso. Perché anche le norme dedicate all’ordine pubblico, destinate a tutta la popolazione, non sono meno pericolose e inquietanti. Il decreto Salvini fa pensare a un’idea di società distopica, dove siano discriminati gli stranieri, certamente, ma dove sia punito chi più in generale vive in povertà e nella marginalità sociale. Misure repressive che guardano, senza farne troppo mistero, a uno Stato di polizia.
[1] Jason Stanley, How Fascism Works: The Politics of Us and Them, New York, Random House 2018.
[2] I primi tre commi dell’articolo 2 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»: 1. Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. 2. Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il presente testo unico dispongano diversamente. Nei casi in cui il presente testo unico o le convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità, essa è accertata secondo i criteri e le modalità previste dal regolamento di attuazione. 3. La Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell’OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Stefano Catone, Giuseppe Civati, Giampaolo Coriani e Andrea Maestri
[3] Articolo di Alberto Di Majo, 23 settembre 2018
[4] Annalisa Camilli, «Cosa prevede il decreto Salvini sull’immigrazione», Internazionale, 14 settembre 2014.
[5] Duccio Facchini, «Richiedenti asilo: il decreto Salvini stravolge protezione e accoglienza», Altreconomia, 7 settembre 2018.
[6] Vladimiro Polchi, «Il decreto immigrazione cancellerà lo Sprar, “sistema modello” di accoglienza», La Repubblica, 21 settembre 2018.
[7] Peraltro lo stesso Di Maio alla vigilia delle elezioni politiche dichiarava: «Per potenziare il sistema di accoglienza è necessario rinforzare gli Sprar, come sosteniamo anche nelle nostre linee programmatiche di governo». Poi quando arriva al governo fa esattamente il contrario. Stefano Arduini, «Di Maio: ecco il mio welfare a 5 Stelle», Vita, 2 marzo 2018
[8] Liana Milella, «Flick: “Levare la cittadinanza come fosse un castigo viola la nostra Costituzione”», La Repubblica, 25 settembre 2018. L’articolo 27 della Costituzione stabilisce che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
[9] Giuseppe Civati, Regione straniera. Viaggio nell’ordinario razzismo padano, Milano, Melampo 2009.
[10] Alessandro Gonzato, «Massimiliano Fedriga, la lezione finale del governatore leghista: “Così ho bloccato l’invasione al confine”», Libero, 28 agosto 2018.
[11] Christiane Taubira, Murmures à la jeunesse, Parigi, Éditions Philippe Rey 2016, p. 49 (trad. it.: Il mondo cade a pezzi, noi siamo il mondo. Le parole da raccontare ai giovani, Milano, Baldini&Castoldi 2016).