IL DISCORSO DI GORBACIOV ALL’ONU L’ANNO PRIMA
IL DISCORSO DI GORBACIOV ALL’ONU L’ANNO PRIMA
Il 7 dicembre 1988 il segretario generale del PCUS annunciava all’ONU un piano di disarmo col ritiro di 50 mila uomini e 10 mila carri armati dal fronte europeo, annunciava il cessate il fuoco in Afghanistan, proponeva di cancellare il debito del Terzo Mondo e di costruire un mondo solidale e interdipendente, intento ad opere di pace a cominciare dalla tutela dell’ambiente
Dalla Repubblica dell’8 dicembre 1988
NEW YORK “Oggi io posso dirvi che l’Unione Sovietica ha deciso di ridurre le sue forze armate”. In piedi davanti all’assemblea generale dell’Onu, con George Shultz in platea, Mikhail Gorbaciov ha annunciato una svolta storica e spettacolare nella politica militare sovietica, aprendo una nuova fase nella distensione tra Est e Ovest. Sei divisioni corazzate sovietiche se ne vanno dalla Germania dell’Est, dalla Cecoslovacchia e dall’Ungheria, lo spiegamento di uomini e mezzi nella zona europea dell’URSS viene ridotto, la maggior parte delle truppe dislocate in Mongolia ritorna a casa. In totale l’Armata Rossa perde in due anni mezzo milione di uomini (il 10 per cento della sua forza complessiva), 10 mila carri armati, 8 mila 500 sistemi d’artiglieria, 800 aerei da combattimento. E’ l’intera macchina bellica sovietica che cambia volto, mentre tutta la strategia politico-militare del Cremlino viene ridisegnata nel segno della perestrojka, con un’immediata ricaduta economica per la ristrutturazione dell’ industria degli armamenti, con la riconversione di una sua parte a scopi civili.
Ieri, proprio mentre l’assemblea dell’Onu applaudiva a lungo Gorbaciov, da Mosca rimbalzavano a New York voci di inquietudini e malumori negli ambienti militari sovietici, tanto che Gorbaciov ha dovuto pensionare improvvisamente uno dei suoi uomini, il maresciallo Akhromeev, lasciando il posto operativo di Capo di Stato Maggiore a un generale vicino al ministro della Difesa Yazov. E’ il primo contraccolpo tutto interno della rivoluzione militare gorbacioviana.
La mossa su Kabul. Strategica, e non soltanto tattico-spettacolare, la mossa di Gorbaciov ci accompagna ad una nuova iniziativa per l’Afghanistan; egli mentre chiede il rispetto degli accordi di Ginevra e una Conferenza dell’Onu per la neutralizzazione del Paese, propone un completo cessate-il-fuoco dal primo gennaio, con una spartizione del territorio nazionale e dunque un riconoscimento implicito dei mujaheddin.
In più, il leader sovietico chiede ai Paesi sviluppati d’inventare un nuovo meccanismo per risolvere il problema del debito del Terzo Mondo, che non potrà essere restituito nei suoi termini originari e s’impegna a istituire nuove garanzie di legge per i diritti umani, riconoscendo la giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia.
Portata nel cuore dell’ impero reaganiano, la proposta di Gorbaciov ha l’impianto di un messaggio al mondo, accompagnato dal tentativo di dimostrare la volontà di passare dalle parole ai fatti, dopo tre anni di perestrojka. Il test è prima di tutto il piano unilaterale di disarmo, non a caso annunciato nella cornice universale-telematica dell’Onu e non nello spazio ristretto del summit, rinunciando ad un possibile scambio negoziale ma guadagnando spettacolarità, e denunciando l’ambizione planetaria della politica gorbacioviana. Proprio nel momento in cui è assediato dalla crisi dei nazionalismi interni e dalla ribellione della periferia, Gorbaciov ha voluto presentarsi come l’ unico pieno titolare di una politica e delle sue svolte. La leadership sovietica, ha detto, ha deciso di dimostrare ancora una volta di essere pronta a rafforzare questo salutare processo di disarmo non solo con le parole ma con i fatti. D’intesa con i Paesi del Patto di Varsavia, il Cremlino ritira dunque entro il 1991 sei divisioni corazzate da tre paesi dell’ Est, insieme con truppe d’assalto da sbarco con le loro armi.
Ulteriori riduzioni. In totale le truppe sovietiche dislocate all’Est subiranno un taglio di 50 mila uomini e 5 mila carri armati, mentre le altre divisioni verranno riorganizzate e dopo un ulteriore riduzione dei loro mezzi corazzati diventeranno apertamente difensive. La riduzione riguarderà anche uomini e mezzi impiegati nella parte europea dell’URSS, con il risultato finale di un depotenziamento del fronte europeo in URSS e nei Paesi alleati di 10 mila carri armati, 8.500 pezzi d’artiglieria e 800 aerei da combattimento. Parallelamente, Gorbaciov manda anche un segnale alla Cina, con ogni probabilità già anticipato pochi giorni fa al ministro degli Esteri di Pechino ritornato in visita a Mosca: le forze armate sovietiche a distanza nella zona asiatica del Paese verranno significativamente ridotte nei due anni, e la maggior parte delle truppe dislocate in Mongolia ritorneranno a casa.
Con questo piano di riorganizzazione militare, nasce il problema della transizione da un’economia degli armamenti all’economia del disarmo. E l’URSS, garantisce Gorbaciov, è pronta a rendere pubblico il suo piano di riconversione, che scatterà già nel 1989 con un esperimento di produzioni civili in due o tre impianti di industria bellica. L’altra immediata traduzione pratica del progetto gorbacioviano di riduzione unilaterale della presenza militare sovietica, riguarda l’Afghanistan. Qui i fatti sembrano contraddire le parole, perché il piano di ritiro è stato sospeso. Evitando con sorvegliata prudenza attacchi e polemiche dirette dalla tribuna su cui Kruscev battè la sua scarpa di Segretario Generale, nel 1960, Gorbaciov si è limitato ieri a un ammonimento: Pacta sunt servanda. La proposta sovietica prevede un completo ed effettivo cessate-il-fuoco dal primo gennaio, con la fine di ogni operazione d’attacco e dei bombardamenti e con i territori occupati dalle forze di opposizione che rimangono sotto il loro controllo per tutta la durata del negoziato, mentre a Kabul e negli altri centri strategici dovrebbe operare un contingente dell’ Onu.
In tutto il discorso il leader sovietico ha sottolineato la necessità di un nuovo ruolo per le Nazioni Unite, dalla difesa dell’ ambiente all’ esplorazione dello spazio, alla soluzione del problema del debito estero dei Paesi sottosviluppati. L’URSS è pronta ad una moratoria fino a cento anni degli interessi, e in alcuni casi limitati e disponibili a cancellare il debito del tutto. L’invito rivolto agli altri Paesi sviluppati è quello di creare un’agenzia specializzata che dovrebbe rilevare le esposizioni debitorie, nel quadro di una consultazione a livello di capi di governo tra Paesi debitori e Paesi creditori, sempre sotto gli auspici dell’Onu. E’ la visione (che lo stesso Gorbaciov definisce romantica) di un mondo solidale e interdipendente, pronto, all’unità nella diversità, in un sistema di relazioni deideologizzate, con la perestrojka strumento di una sorta di nuovo imperialismo sovietico di pace.
Il sostegno del Paese. Il leader dell’URSS assicura che i sovietici di ogni generazione sostengono la nuova politica del Cremlino e garantisce che lo stato di diritto si svilupperà nel suo Paese, cambiando radicalmente il quadro dei diritti umani. Già oggi, ha ripetuto Gorbaciov, non ci sono persone costrette al confino per il loro credo politico e religioso: in futuro profonde modifiche al codice penale (compresi gli articoli sulla pena di morte), insieme con la revisione della politica dei visti, introdurranno nuove regole, cancellando dall’ agenda il problema dei cosiddetti refuznik.
È la cornice della nuova URSS nell’età della perestrojka che Gorbaciov offre a Bush, nel momento in cui cambia l’amministrazione americana. Nel discorso del segretario-presidente c’è solo un profondo rincrescimento per l’incidente con l’OLP; ma c’è la promessa che Bush troverà al Cremlino un interlocutore aperto e pronto a continuare il dialogo, in uno spirito di realismo.
8 dicembre 1988, dall’inviato della “Repubblica” Ezio Mauro