IL PAPA EVANGELIZZA LA CHIESA
Cinque anni dopo
IL PAPA EVANGELIZZA LA CHIESA
Le valutazioni di “Noi siamo Chiesa”: Francesco attua lo spirito del Concilio riconcilia le religioni ed è considerato il portavoce dei valori profondi dell’umanità, portavoce di chi non ha voce; è diventato il principale leader morale nel mondo. Ma vi sono questioni spinose nella Chiesa rimaste quanto mai aperte, da quella economica a quella riguardante i ministeri, al ruolo delle donne
La riflessione sui cinque anni del pontificato di Francesco ci può aiutare a capire dove eravamo, dove siamo e dove vorremmo andare nel nostro percorso che vuole essere evangelico e che si impegna perché la riforma della nostra Chiesa continui nella direzione dell’Appello dal Popolo di Dio del 1996. Un decennio dopo la conclusione del Concilio la guida della Chiesa si era irrigidita su linee direttrici che abbiamo giudicato insufficienti o addirittura sbagliate nella nostra azione dal basso per il cambiamento. Esse avevano come priorità soprattutto quelle della disciplina, della dottrina, di una morale unidirezionale (quella relativa alla sessualità), della semplice e immobile conservazione del deposito della fede, del difensivo contrasto al «relativismo» dopo la fine della cristianità, della gerarchia troppo definita dal nuovo Codice di diritto canonico e dalla autorità semplificatoria del nuovo Catechismo, del controllo pedante e rigoroso sulla ricerca teologica, infine di una collocazione troppo «occidentale» e specificatamente europea sul grande scenario della geopolitica. A fronte di tutto ciò il messaggio dell’Evangelo ha tuttavia in modo permanente ispirato fermenti, mobilitazioni, testimonianze, riflessioni che hanno costituito la vera ricchezza della Chiesa. È nata la teologia della liberazione mentre è decaduta l’ipotesi, diffusa nel secolo scorso, della riduzione o scomparsa della religione come diretta conseguenza della crescita della modernità in tutte le sue manifestazioni, comprese quelle di ispirazione marxista.
Le priorità di papa Francesco…
Papa Francesco, arrivato a guidare la Chiesa sull’onda della crisi nella gestione della Curia vaticana oltre che della diffusa consapevolezza della necessità di una nuova ricerca su come evangelizzare, ha capovolto le priorità di prima. I problemi dell’umanità, le sofferenze, quelle materiali come quelle spirituali, le periferie, dovevano diventare le vere questioni per la Chiesa per trovare risposte comprensibili e credibili a domande di fondo sul senso della fede e sulla sua pratica nella vita del singolo credente e della comunità dei credenti. Per fare ciò l’analisi della realtà veniva prima dell’affermazione della verità che con essa doveva confrontarsi, non usando risposte valide sempre e dovunque. Nella sua recente biografia intellettuale di Bergoglio Massimo Borghesi così sintetizza il suo pensiero: «‘La realtà è superiore all’idea’ e ciò significa rifiuto di ogni ideologismo astratto, della riduzione gnostica che svuota il ‘Verbum caro’, di ogni estetismo-eticismo-formalismo, che dissociando il bello-bene-vero dalla loro esistenza reale rendono impossibile la testimonianza cristiana”. Così papa Francesco ha «scoperto» (nel senso di scoperchiato) il Vangelo, quello della libertà, quello che si occupa della «vedova e dell’orfano» e del samaritano, il Vangelo che non accetta i tanti «sabati» accumulatisi nel sistema ecclesiastico, il Vangelo della misericordia, il Vangelo del primato della coscienza. Questo approccio ha fatto coincidere, in modo immediato e naturale, il suo magistero con quello del Concilio Vaticano II che era stato coperto dalla polvere. Anzi papa Francesco, trascinato dalla realtà, è stato costretto a riferirsi a quello che noi chiamiamo lo «spirito del Concilio» che, andando oltre il Concilio, permette di affrontare situazioni nuove nella Chiesa e nel mondo e di proporre una «Chiesa in uscita». In tal modo è la stessa immagine di Dio che viene presentata in modo diverso, non quella del giudice che include ed esclude e che indica una strada sempre obbligata ma quella dell’accoglienza, del perdono e della misericordia alla quale è stato dedicato un anno intero di riflessione e di preghiera. Questa lettura diversa del credente di fronte al mondo e della Chiesa di fronte al problema dell’evangelizzazione ha portato, in modo quasi naturale, papa Francesco ad affrontare il suo compito di guida della Chiesa in modo ben diverso da prima e, in alcuni casi, in modo addirittura capovolto.
…nella Chiesa… Papa Francesco si è trovato di fronte, in particolare in Vaticano e nelle strutture centrali, a una Chiesa spesso ricca di beni materiali, anche se questo aggettivo dà fastidio e viene poco usato. Francesco col nome che si è scelto e con i suoi primi discorsi ha iniziato a parlare di Chiesa dei poveri come fece papa Giovanni nel radiomessaggio dell’11settembre del 1962 di presentazione del Concilio. I suoi gesti, il suo modo di vita, il suo contatto col popolo cristiano hanno subito umanizzato la figura del papa ed hanno assunto un alto valore simbolico, stante la situazione di segno ben diverso che si era consolidata nel tempo sulla figura del papa. Poi la Chiesa non doveva più presentare solo «dogane da passare» ma doveva essere un «ospedale da campo», espressione felice che indica la sua collocazione dalla stessa parte di Gesù di Nazareth coi lebbrosi, con la prostituta… È stata la scelta di un magistero tutto pastorale. L’altra scelta di papa Francesco è stata quella di pensare a un processo di cambiamento fondato su un cammino comune. Di qui il rilancio della sinodalità (del tutto dimenticata dopo il Concilio) e la proposta di una Chiesa non come una piramide ma come un poliedro con tante facce in un corpo unico e quindi con prassi pastorali ed organizzative anche diverse tra di loro. Francesco usa spesso uno stile magisteriale fondato sulla critica delle prassi presenti nella Chiesa. Propone correzioni, anche sostanziali, perché siano comprese e fatte proprie con un processo di presa di coscienza dai tempi necessariamente lunghi. Ma non mancano prese di posizione molto dure, per esempio nei confronti della Curia, nei confronti del clericalismo, che non hanno precedenti e che segnano un punto di separazione rispetto alle logiche dei circuiti romani e dell’apparato. Per tanti altri aspetti della vita della Chiesa, quelli, per esempio, relativi alla cosiddetta religiosità popolare, alle strutture e ai riti, papa Francesco ha accettato l’esistente. Forse vi si trova a suo agio, forse non vuole intervenire su aspetti importanti della vita cristiana di cui vede soprattutto i lati positivi. Noi vi vediamo anche gli aspetti negativi, come nel sistema della proclamazione dei santi e delle devozioni conseguenti. Abbiamo espresso un’opinione negativa sulla santificazione di papa Giovanni, di papa Wojtyla e di papa Montini: ciò ha significato infatti una specie di santificazione del papato in sé. Papa Francesco ha sbloccato la procedura canonica per mons. Romero che però era ed è già santo da sempre nel sentimento diffuso del popolo.
…nel mondo… Ancora di più di quanto non abbiano fatto papa Giovanni nella Pacem in terris e Paolo VI nella Populorum Progressio papa Francesco ha analizzato e denunciato quale è la situazione sociale e politica nel mondo in tante occasioni, a partire dagli interventi fatti negli incontri dei movimenti popolari da lui stesso promossi. Le sue parole contro il neoliberalismo, per una «coraggiosa rivoluzione culturale» sono state senza diplomazie e sono state ripetute con costanza in molti momenti del suo pontificato. I suoi giudizi, per esempio quello di «guerra mondiale a pezzi», sono entrati nel circuito mediatico e politico di tutto il mondo. I suoi interventi a favore dei migranti sono stati esemplari e frequenti. Francesco agisce sulla scena mondiale come leader non europeo; ciò gli permette un ascolto ovunque. Egli ha ormai fatto visite in tutto il mondo, ha soprattutto cercato le periferie (per esempio il Myanmar, il Bangladesh, la Repubblica centroafricana ecc…) ed è alla vigilia di un passo storico, quello di un compromesso con la Repubblica Popolare cinese sulla nomina dei vescovi. Francesco è considerato, un po’ dovunque, come portavoce dei valori profondi dell’umanità, come portavoce di chi non ha voce, è diventato il principale leader morale nel mondo. La sua autorità contro i poteri costituiti e le lobbies ha poi assunto una dimensione globale con l’enciclica Laudato sì che ha indicato la tutela del creato come impegno di ogni credente e di ogni religione e come prospettiva obbligata per la permanenza stessa e lo sviluppo della civiltà. Francesco poi, con «abilità di gesuita e semplicità francescana» (Andrea Grillo), riesce a interloquire a tutto campo coi poteri della terra (quelli stessi di cui denuncia le nefandezze) e a «accettare i piccoli passi, i processi, l’autorità mondana, i colloqui, le trattative, i tempi lunghi, le mediazioni» (Antonio Spadaro). Proponendo la nonviolenza come il metodo con cui affrontare i conflitti egli ha indicato una strada per niente scontata e molto spesso contraddetta nella storia della Chiesa e nella presenza dei credenti nella società e nella politica. In certe situazioni la sua autorità viene richiesta per interposizioni e contatti. Non sappiamo quanto avviene in canali riservati, quelli noti sono importanti (per esempio a Cuba e in Colombia). Questo ruolo inedito e terzomondista gli è reso facile e quasi necessario dal generale peggioramento dello scenario internazionale, dalla condizione dell’ambiente, dal dominio dei poteri economici e finanziari che dominano la politica nel mondo e che accrescono le disuguaglianze e anche dalle persecuzioni nei confronti dei cristiani che hanno una crescita di tipo esponenziale.
… nell’universo cristiano. L’allentamento della rigidità dottrinale nella vita della Chiesa, la nuova emergenza del ruolo delle religioni anche con le loro derive fondamentaliste e la situazione generale del mondo più di prima grave per guerre, disuguaglianze e deterioramento dell’ambiente, sono le tre cause fondamentali che hanno in qualche modo preteso dalla Chiesa cattolica un nuovo protagonismo per quanto riguarda i rapporti tra le Chiese cristiane e tra le religioni e per quanto riguarda la riflessione su un’etica planetaria da proporre alle coscienze e ai comportamenti di tutti, credenti o non credenti o uomini in ricerca. Papa Francesco, con una visione globale dei problemi dell’umanità, sta dando un contributo importante. I suoi interventi sul rapporto tra religione e violenza, soprattutto in relazione all’Islam, hanno contribuito con la loro autorità a una proposta di migliore convivenza nei momenti drammatici vissuti in questi ultimi anni in Europa e in Medio Oriente a causa del fondamentalismo terrorista. Il problema è più che mai aperto ma la Chiesa, nella sua complessità, si trova ora collocata su una posizione che favorisce e non allontana la convivenza anche nelle situazioni dove le tensioni sono maggiori. I non pochi cristiani che soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà sanno bene che la Chiesa non sta con loro. In coerenza con questo atteggiamento generale Francesco ha cercato ogni occasione per lanciare messaggi di dialogo e accoglienza. Un impegno particolare è stato quello del rapporto con le altre Chiese cristiane, dando nuovo impulso a un ecumenismo che si era quasi arenato. Non si è trattato del superamento di differenze teologiche troppo consolidate ma di atti di comunione e di dialoghi che hanno contribuito a creare in una parte importante del popolo cristiano un clima di fraternità, o perlomeno di convivenza, tra credenti di diverse confessioni che non è mai esistito in passato. Il momento principale di questo processo è stato l’incontro di papa Francesco a Lund coi vertici della Chiesa luterana il 31 ottobre 2016 dopo 500 anni dalle 95 tesi di Lutero. L’Eucaristia condivisa tra cattolici e luterani (e con gli altri membri delle Chiese evangeliche) non è stata ancora decisa ma in questa occasione se ne è espresso l’auspicio. Pensiamo che la cena del Signore tra credenti nell’unico Gesù di Nazareth ma di confessioni diverse deve precedere le controversie teologiche. Quanto ai rapporti con l’ortodossia essi hanno goduto di una condizione di privilegio nel recente passato ma ora un papa non europeo ha una credibilità e una libertà di interlocuzione che potrebbe portare a risultati più concreti. Il primo di questi è stato l’incontro di papa Francesco con il patriarca di Mosca Kirill all’Avana nel febbraio 2016.
Papa Francesco e la gestione centrale della Chiesa
A quanto si sa il mandato ricevuto da Francesco al Conclave contro le lobbies curiali, era quello di chiudere con la precedente gestione e, per molti dei cardinali della periferia era anche quello di una svolta generale nel modo di evangelizzare. Con la volontà di adempiere a questo compito, Francesco si è trovato di fronte, ai vertici, ad una Chiesa maschilista, troppo gerarchica, con responsabili, i vescovi, spesso selezionati non tanto per capacità e volontà pastorali quanto per la loro ortodossia, il loro controllo del “sacro” e la loro fedeltà alla struttura ecclesiastica. L’apporto delle donne, dei teologi, delle tante realtà dal basso dove i credenti operano per la liberazione era ridotto al minimo. Tutto ciò premesso la scelta di avvalersi in primo luogo della collaborazione di alcuni Cardinali , il cosiddetto C9, deve essere discussa. Esso infatti rappresenta l’apparato; alcuni di loro si sono rivelati, in modo noto, addirittura inaffidabili (Pell, Maradiaga, Errázuriz). L’assenza di rappresentanti dal basso del Popolo di Dio ha fatto ruotare tutta la discussione tra questi cardinali sulla necessità di una riforma dell’apparato centrale basata su efficienza e razionalizzazione . In questa linea sono andate le decisioni di accorpamento dei settori “laici, famiglia”, dell’informazione e del settore “pace e giustizia”. Pensavamo che un processo di decentramento alle conferenze episcopali dovesse essere il primo passo, unito a un ridimensionamento dell’ipertrofica struttura centrale cresciuta di molto dopo il Concilio con la permanente volontà di dare direttive all’universo cattolico e di controllare il più possibile piuttosto che di aiutare e di collaborare. Però due provvedimenti positivi di decentramento ci sono stati e si devono, a quanto si capisce, alla volontà diretta di Francesco (quello che affida ai vescovi la dichiarazione di nullità dei matrimoni in certe circostanze e quello che conferisce competenza sulle traduzioni in lingua volgare dei testi biblici alle Conferenze episcopali sottraendola alla Curia ). Un processo sinodale, per essere veramente tale, deve avere un quadro giuridico definito, anche iniziale o solo sperimentale, che dia voce a tutte le realtà di Chiesa, dai cosiddetti laici alle congregazioni religiose e soprattutto alla presenza femminile. Questo punto di grande importanza, al di là di tante dichiarazioni di buona volontà, ci sembra quello sul quale, più di ogni altro, il nuovo corso di papa Francesco non ha ancora prodotto qualcosa di significativo.
IOR e beni della Chiesa, pedofilia del clero, divorziati risposati, omosessuali, area critica nella Chiesa
Durante la fase di stasi e di arretramento degli anni scorsi tanti problemi urgenti e diversi tra di loro si sono accumulati e tante erano e sono le attese perché dal vertice della Chiesa essi siano affrontati con uno spirito nuovo. Papa Francesco ha cercato di affrontarli con pragmatismo e con successi alterni. Si tratta di questioni più che mai aperte; almeno esse sono state poste e sono discusse, prima lo erano solo in ambiti ristretti e non ufficiali. Esaminiamole.
IOR, gestione dei beni e Chiesa dei poveri: incontrano grandi difficoltà gli interventi diretti a mettere sotto controllo l’Istituto per le Opere di Religione, l’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) e anche i dicasteri e per dare credibilità alla proposta almeno di sobrietà nella gestione e nell’amministrazione delle risorse (e ciò anche a livello di base, episcopati, parrocchie, ordini religiosi ed enti di ogni tipo…). Ciò si può dedurre da quanto è noto, in particolare da notizie recenti. Si ha l’impressione che dopo aver fatto dei passi in avanti con molta determinazione nei primi tempi si rischi di scivolare all’indietro e che gli ostacoli di ogni tipo siano veramente duri da superare. Questo banco di prova della credibilità del pontificato non si addice molto al respiro spirituale e pastorale dell’attuale papa. Però Francesco ha volontà e tenacia, speriamo che esse bastino.
Per quanto riguarda la pastorale della famiglia, ci pare importante che Francesco non ponga più questo filone come asse della morale cattolica. L’Amoris Laetitia ha un respiro inconsueto e positivo. Sull’ammissione all’Eucaristia delle persone divorziate e risposate Francesco con due Sinodi è riuscito faticosamente ad aprire al discernimento delle situazioni caso per caso. Il testo papale ha compiuto certamente un passo in avanti che rimane però in contraddizione esplicita col magistero precedente, dal Concilio di Trento a papa Wojtyla, offrendo in tal modo argomenti a quanti, appellandosi alla tradizione, si oppongono a questo nuovo orientamento.
Per quanto riguarda la pastorale nei confronti degli omosessuali e il giudizio sulla loro condizione papa Francesco non è riuscito, come probabilmente era nei suoi intendimenti, ad ottenere granché. Però il problema è posto mentre solo dieci anni fa questa questione era ostracizzata anche nella base del mondo cattolico.
La questione dei preti pedofili e delle coperture loro concesse dai vescovi un po’ dovunque è un altro dei grandi problemi. Papa Francesco ha indubbiamente agito con determinazione, a parte l’incomprensibile recente infortunio relativo al caso Barros della diocesi di Osorno in Cile a cui egli sta però cercando una soluzione dalle caratteristiche autocritiche. Il fenomeno è talmente grave e diffuso che per Francesco esso sta diventando, più di altri, un segno indicatore di quanto lo Spirito sia veramente alle spalle del suo pontificato.
Un altro punto da esaminare e da capire è quello del rapporto di Francesco con l’area del cattolicesimo che prima era in sofferenza, quella dei teologi e dei movimenti emarginati facenti parte del filone di riflessione che si è costantemente richiamato al Concilio e ai suoi necessari sviluppi nella direzione di una lettura del Vangelo non soffocata dal sistema ecclesiastico. La repressione non è continuata, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gerhard Müller è stato finalmente licenziato ma dopo aver sollecitato e deciso la “scomunica” da parte del vescovo di Innsbruck della Presidente internazionale di We Are Church Martha Heizer, provvedimento al quale papa Francesco ci risulta sia stato estraneo. Riteniamo che la prudenza di papa Francesco nei contatti o in esplicite aperture verso questa nostra area di presenza nella Chiesa sia stata e sia eccessiva, anche se possiamo ipotizzare quanto forte sarebbe l’accanimento nei suoi confronti nel caso che esse avvenissero. Tra le nostre attese deluse c’era quella di un esplicita presa di contatto di Francesco con l’abate Giovanni Franzoni. Essa è mancata e il fatto ci addolora. Tra le nostre speranze c’è quella di un percorso che si avvii subito per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti. Noi abbiamo proposto un Appello che ha ottenuto molti consensi autorevoli. Un sola parola di papa Francesco potrebbe fare uscire dalla damnatio memoriae la personalità più rilevante del rinnovamento ecclesiale della prima metà del secolo scorso.
Francesco e la Chiesa italiana
Papa Francesco ha dimostrato dall’inizio una conoscenza dei problemi della Chiesa italiana che non può che essere la conseguenza delle informazioni di ottimi collaboratori. La sua partecipazione è stata generosa per visite e contatti e nell’immediata decisione di proporre ai vescovi di eleggersi il loro presidente. Si è stabilito così un rapporto particolare con una buona parte della base cattolica che è di tipo trasversale, senza differenze di orientamento culturale o politico. A quanto si capisce l’opinione diffusa dei vescovi ha invece molte sorde riserve nei confronti del pontificato, è l’ eredità di un personale ecclesiastico selezionato per lunghi anni a senso unico. Il ruolo principale che Francesco sta avendo è relativo alla nomina dei vescovi. Sono ormai molti quelli di nomina recente, alcuni eccellenti per sensibilità pastorale. Quindi le possibilità di un cambiamento ci sono, forse anche a breve; il nuovo Presidente della CEI Gualtiero Bassetti ci sembra sia un passo in avanti rispetto a quelli che l’hanno preceduto. La continuità con la conferma di Bagnasco fino a un anno fa alla presidenza dei vescovi è stato un fatto che non abbiamo condiviso così come si è rivelato non all’altezza delle speranze suscitate per il rinnovamento interno mons. Galantino alla segreteria della CEI. Il nuovo corso di papa Francesco non circola ancora nella gestione della Conferenza Episcopale, forse siamo in una fase di transizione. La questione della Chiesa povera non è all’ordine del giorno, la denuncia del razzismo è debole, quella contro i poteri criminali è lasciata a importanti iniziative di singoli o di organizzazioni, il problema delle migrazioni è affrontato in modo attivo solo in diverse situazioni importanti. La Evangelii Gaudium e la Laudato sì ci sembra siano ben poco all’attenzione della strutture di base (parrocchie, associazioni …). Mancano su queste questioni delle campagne che invece sono state fatte contro le unioni civili e contro la legge sul fine vita. L’assenza di protagonismo in politica, di per sé positivo se confrontato con l’era di Ruini, non è compensata da interventi sui problemi (come invece ha cominciato a fare, dopo anni di ubbidienza rigorosa, l’Avvenire su temi specifici, gioco d’azzardo, prostituzione, pace, migranti …). L’intervento più importante di papa Francesco è stato all’assemblea della Chiesa italiana a Firenze nel novembre del 2015. Egli vi disse: ”non bisogna credere troppo nelle strutture, nelle proprie certezze, bisogna avere capacità di incontro e di dialogo”, “i cambiamenti sono sfide, non ostacoli”, “mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti” e via di questo passo sul potere, sul denaro ecc… Questo messaggio è stato, con passione evangelica di alto livello, in contraddizione col sistema ecclesiastico e con le campagne gestite dalla Cei per lunghi anni. Le recenti visite alle tombe di don Mazzolari, don Milani e quelle prossime alle tombe di don Tonino Bello ad Alessano e di don Zeno a Nomadelfia sono un’indicazione esplicita delle ricchezze presenti nella Chiesa che sono state confinate o addirittura emarginate per decenni. In questo modo papa Francesco colloca il suo pontificato dalla parte più evangelica del cattolicesimo italiano.
I sei punti dell’Appello dal Popolo di Dio
Per “Noi Siamo Chiesa” è importante, dopo i cinque anni del nuovo corso di papa Francesco, esaminare singolarmente a che punto sono le proposte dell’Appello dal Popolo di Dio del 1995. Esse sono state ignorate e praticamente disattese per tanti anni ma ora la situazione è in movimento. Le forme di partecipazione dei battezzati alla vita della Chiesa, auspicate nel primo punto, potrebbero essere avviate. Non c’è più una posizione di sospetto o di contrarietà. Il Popolo di Dio della Lumen Gentium potrebbe divenire progressivamente protagonista nella direzione di una sinodalità che coinvolga sia la base che i vertici. Sulla nomina dei vescovi, che non dovrebbe essere decisa in modo assolutamente incontrollato dai Nunzi e dal Vaticano, nessun passo in avanti è stato fatto. Però la selezione in negativo che era fondata sull’ortodossia dottrinale e sull’ubbidienza alla gerarchia è ora cambiata e le doti di sensibilità pastorale pare che siano giustamente considerate. Al secondo punto il superamento della rigida distinzione tra “laici” e “chierici” è ancora tutta sulla carta, la partecipazione della donna ai ministeri ha visto solo l’istituzione di una Commissione di studio sul possibile diaconato. È veramente troppo poco. L’opinione favorevole all’apertura alla donna sta crescendo nella Chiesa e non potrà essere disattesa per tempi indefiniti. Sullo sfondo del riconoscimento pieno della presenza femminile sta la questione stessa di come i ministeri e i servizi (diakonia) siano presenti nella predicazione di Gesù e nella cristianità dei primi secoli. Nel terzo punto la possibilità di celebrare l’Eucaristia in modi diversi non è stata considerata, ma essa viene praticata talvolta in situazioni locali per superare la rigidità dell’attuale liturgia sempre uguale dovunque nell’universo cattolico. La questione del celibato facoltativo dei preti di rito latino trova una sola possibile ma importante apertura nella prossima auspicata decisione sui “viri probati” al Sinodo dell’Amazzonia nel novembre dell’anno prossimo. Per il quarto punto la questione dei divorziati risposati sta trovando, come abbiamo detto, una soluzione nella linea che ci aspettavamo mentre non viene presa in alcuna considerazione la riammissione al ministero dei preti sposati che lo chiedano. Sul quinto punto bisogna riconoscere l’apertura alla discussione sulla posizione degli omosessuali ma non molto di più. Nel rapporto di coppia viene riconosciuta la responsabilità personale ma le prescrizioni della Humanae Vitae rimangono. Papa Francesco non ha avuto fino ad ora sufficiente determinazione per prendere atto che questa enciclica non è stata recepita dal popolo cristiano ed è di fatto decaduta. Auspichiamo che ciò avvenga nel prossimo luglio a 50 anni dalla sua emanazione. Oppure questa scadenza potrebbe essere completamente dimenticata trascinando in tal modo con sé l’enciclica e i suoi divieti in modo che essa non sia più insegnata nei seminari e nelle facoltà teologiche. Il sesto punto che auspica una Chiesa impegnata e credibile nell’azione “per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato” per quanto riguarda questo pontificato ci sembra che sia stato accolto.
Il nuovo corso deve diventare irreversibile
Il contrasto al magistero di papa Francesco, forte e diffuso, ha tante caratteristiche. Da una parte c’è quello esagitato dei siti Internet e dei social network privo di dignità ed isterico, dall’altra quello esplicito e argomentato che si appella alla tradizione e ai “valori”, che chiede una forte presenza della Chiesa nello spazio pubblico e via di questo passo. Il contrasto più preoccupante è quello passivo, sordo, che aspetta che questa stagione ecclesiale passi. Esso è diffuso benché la sensibilità del popolo cristiano, sia di quello più secolarizzato che di quello più tradizionalista, partecipi del nuovo corso. Pensiamo , speriamo che questo consenso continui e che crei le premesse per essere irreversibile. Con i suoi limiti l’impegno di “Noi Siamo Chiesa” va in questa direzione. Speriamo che lo Spirito contribuisca, con papa Francesco e con un nuovo protagonismo del popolo dei credenti, con le altre Chiese e le altre religioni a una spiritualità che guidi il mondo sulle strade della pace fondata sulla giustizia e che si realizzino così la famosa esortazione e la famosa profezia di Isaia (1,16 e 2,4) “cessate di fare il male, imparate a fare il bene” e “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro falci faranno lance, una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”.
Roma, 10 marzo 2018 NOI SIAMO CHIESA