IL POTERE COSTITUENTE DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE
IL POTERE COSTITUENTE DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE
Si sta producendo una fascistizzazione del senso comune. Le politiche in atto in Italia e in Europa hanno un nome, sono reati. Il popolo dei migranti e i diritti negati sono i fattori sorgivi di un nuovo costituzionalismo mondiale. L’intervento e la relazione del prof. Ferrajoli
Luigi Ferrajoli
Pubblichiamo l’intervento del prof. Luigi Ferrajoli all’assemblea del 6 aprile edi “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Di seguito pubblichiamo il testo di una più ampia relazione scritta preparata per la stessa occasione
Sicuramente alla domanda “che cosa ci sta succedendo?”, si può rispondere che una delle cose più drammatiche è quella espressa dalla questione migranti, una questione che sta portandoci a contraddire tutti i principi su cui si fondano le nostre democrazie, l’uguaglianza, la dignità della persona, i diritti fondamentali; si tratta di politiche che stanno frantumando l’umanità, tra chi ha diritto di sopravvivere e chi non ha diritto di sopravvivere. I migranti, dobbiamo subito dirlo, sono le vittime di una doppia violazione. Innanzitutto sono le vittime del capitalismo selvaggio che le costringe a fuggire; fuggono dalla miseria, fuggono dalle devastazioni ambientali e fuggono dalla fame, dalle malattie non curate, fuggono dai loro territori che sono stati depredati, colonizzati dalle Potenze occidentali che per secoli hanno brandito il diritto di emigrare come fonte delle loro conquiste e delle loro colonizzazioni. Sono dunque le vittime innanzitutto delle politiche dell’Occidente e sono le vittime delle discriminazioni, delle oppressioni, delle espulsioni, dei respingimenti e anche delle morti in mare provocate dall’esclusione, dalla discriminazione dovuta unicamente alle loro differenze d’identità, al fatto che non sono come noi, sono altra cosa, sono alieni, pericolosi nemici e dunque sono le vittime di tutte le nostre violazioni dei diritti umani. Noi dobbiamo essere consapevoli che sul futuro delle migrazioni si gioca il futuro delle nostre democrazie, della credibilità dei nostri cosiddetti valori, cosìddetti perché non potremo più continuare per lungo tempo a declamare uguaglianza e diritti fondamentali in maniera decente, se questi diritti saranno violati in maniera così vistosa, così programmatica, così esplicita, giacché i diritti intanto sono universali in quanto sono indivisibili, in quanto sono diritti di tutti, altrimenti si trasformano in privilegi.
Oggi le nostre politiche sono politiche performative del senso comune della disuguaglianza. La loro gravità risalta anche rispetto al passato. Il ministro Salvini non ha inaugurato queste politiche ma le ha continuate, la novità è che la disumanità viene sbandierata, viene ostentata, viene esibita come fattore e fonte di consenso, con l’effetto di produrre un crollo nel senso comune della moralità corrente. Si sta producendo una fascistizzazione del senso comune, una perversione della cultura di massa, della moralità comune, perché quando la disumanità e l’immoralità vengono esibite a livello istituzionale, inevitabilmente diventano contagiose, inevitabilmente legittimano, alimentano l’immoralità a livello di massa, inevitabilmente producono la logica del nemico che sta per l’appunto diffondendosi come un veleno nelle nostre società. I popoli possono anche ammalarsi, si ammalano soprattutto quando l’immoralità è esibita a livello istituzionale; non capiremmo gli orrori del fascismo, del nazismo nel cuore dell’Europa se non ci fosse stata questa ostentazione della disuguaglianza, della discriminazione, della persecuzione, della tesi che alcune persone sono destinate a morire, non sono come noi. Questa ostentazione della disuguaglianza e della discriminazione è inevitabilmente performativa del crollo del senso morale e cioè del presupposto elementare della democrazia che si fonda sul riconoscimento degli altri come persone, sulla solidarietà, sull’uguaglianza, che non sono soltanto norme giuridiche ma sono percezioni, sensazioni, sentimento degli altri come uguali. E peraltro verso queste politiche si sta procurando consenso attraverso l’ostentazione della illegalità; infatti queste politiche sono illegali; il ministro Salvini è stato incriminato per un reato e gran parte delle sue politiche sono politiche illegali: non soltanto il sequestro di persona, la limitazione della libertà personale, ma la gigantesca omissione di soccorso diretta o indiretta in quanto centinaia di persone (penso ai 117 naufragati in mare il 18 gennaio) sono naufragate perché non c’era nessuno a salvarli, perché le navi delle ONG, la Marina italiana erano state allontanate. Queste stragi, la violazione delle elementari regole del diritto del mare previste nella convenzione di Amburgo sono illeciti, sono violazioni, e la cosa più grave è che queste violazioni vengano rivendicate.
Il ministro Salvini dichiarò quando ebbe un avviso di garanzia che avrebbe appeso come una medaglia questo avviso; la negazione dell’autorizzazione a procedere ha significato affermare che la violazione dei diritti umani è nell’interesse preminente dello Stato (questa è la formula della legge), che è nell’interesse preminente dello Stato la violazione della Costituzione. È un precedente gravissimo in forza del quale è stato ribaltato l’assetto istituzionale, la gerarchia delle fonti, perché sarà sempre possibile a un ministro che per definizione gode della maggioranza, far affermare dalla sua maggioranza che i propri delitti sono nell’interesse dello Stato, nel preminente interesse dello Stato; è questo che è successo quando è stata negata l’autorizzazione anche da quanti fino a ieri gridavano “onesta e legalità” ed evidentemente considerano più grave un fatto di corruzione che la strage di centinaia di decine di migranti.
E allora di fronte a questi orrori è molto importante quanto ci diceva stamattina Raniero La Valle, il valore della parola. Il valore del dare alle cose un nome, come diceva Ruggeri, significa dare alle cose e a quanto succede un senso, e dare un senso significa nominare queste politiche con il loro nome: si tratta di reati, si tratta di crimini, si tratta di crimini di sistema, si tratta di politiche che vanno per l’appunto rinominate come in contrasto con la Costituzione e in molti casi anche con il codice penale; dare un nome alle cose, rinominare le cose significa anche dare un nome alle immigrazioni che non sono soltanto un fatto di progresso (ce lo dicevano stamattina i ragazzi, l’umanità è progredita nella storia attraverso le migrazioni, attraverso il mescolamento delle culture) ma sono un diritto fondamentale. Ce lo dice la Costituzione, l’articolo 35 che prevede il diritto di emigrare, ce lo dice la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ce lo dicono i patti del ’66; è un diritto fondamentale, il più antico dei diritti fondamentali utilizzato – lo ricordo sempre – da Francisco De Vitoria nel ‘500 quando si trattava di legittimare la conquista dell’America, il diritto di migrare, quando eravamo noi che invadevamo il resto del mondo con i nostri eserciti; e insieme all’affermazione del diritto De Vitoria scriveva che bisognava reagire all’illegittima resistenza contro questo diritto con la guerra. E ciò è appunto quello che è stato fatto, la modernità nasce da un genocidio, quello delle popolazioni americane che sono state sterminate e in seguito per quattro secoli il diritto di emigrare ha fatto parte del diritto internazionale. Perciò chiamare le cose con il loro nome significa dire che emigrare è un diritto, è un diritto sancito nel diritto vigente, è un diritto però che non viene mai nominato; nessun politico dirà mai che è un diritto. La politica non ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Sembra un’eresia, quando sarebbe l’unica politica realistica perché naturalmente, come diceva Carchedi, è ovvio che l’unico modo per dare una risposta razionale alle catastrofi che incombono su di noi è l’integrazione mondiale, è l’aiuto ai migranti che stanno in Italia e non la loro trasformazione in clandestini, la loro espulsione, la loro umiliazione e mortificazione.
E allora io credo che dare nome alle cose equivale a dire che oggi il progetto di riunire l’umanità può perseguirsi soltanto se concepiremo il diritto di emigrare come il potere costituente di un nuovo ordine mondiale fondato sull’uguaglianza, sulla pari dignità di tutti in quanto persone, solo se considereremo le migrazioni il fatto costituente di questo nuovo ordine mondiale, se assumeremo consapevolezza che le migrazioni non possono essere arrestate dai muri, dei fili spinati che possono soltanto pervertire la nostra identità, mentre dobbiamo essere consapevoli che l’abbattimento delle frontiere non è soltanto un fatto razionale, non serve soltanto a riconoscere l’uguaglianza e la dignità dei migranti, serve innanzitutto ad affermare la nostra dignità, la dignità di noi, di noi cittadini, di noi italiani, di noi europei, di noi del mondo ricco che perderemo la nostra dignità su questa questione se continueremo le politiche di esclusione, se continueremo a contraddire in maniera così macroscopica, così vistosa tutti i nostri principi; e allora i migranti vanno considerati il popolo costituente dell’umanità del futuro, un popolo meticcio di diversa provenienza, di diverse culture, che prefigura l’umanità del futuro, umanità di uguali senza cittadini e senza stranieri. La politica interna del mondo, per usare l’espressione di Habermas, ormai non può non assumere questa posizione; non è soltanto nell’interesse dei migranti ma è nell’interesse della sopravvivenza stessa, della convivenza pacifica delle democrazie, della nostra stessa dignità. Nel momento stesso in cui si assumesse l’immigrazione come fatto costituente, il diritto di emigrare come potere costituente, si aprirebbe la strada alla costruzione di un costituzionalismo globale oltre lo Stato. Questo già sta scritto nelle nostre Convenzioni, siamo pieni di Dichiarazioni e di Convenzioni e Patti sui diritti fondamentali, ma manca la sfera pubblica, mancano le garanzie in grado di dare effettività a questi diritti. Ora è soltanto sulla base di una cittadinanza universale -o ancor meglio della soppressione di quell’ultimo residuo di disuguaglianze e di differenze per status che è la cittadinanza – soltanto sulla base di un’affermata uguaglianza di tutti in quanto persone, può svilupparsi una politica interna del mondo inevitabilmente di pace, una sfera pubblica nell’interesse di tutti, di tutti in quanto esseri umani, in quanto umanità.
Io mi rendo conto che tutto questo sembra utopistico e forse molto improbabile, ma certamente l’utopia maggiore è l’idea che la realtà possa rimanere così com’è senza andare incontro a catastrofi, a catastrofi ecologiche, catastrofi economiche, catastrofi criminali, catastrofe di guerre e catastrofi di contaminazione dell’ambiente. Il vero realismo consiste nel prendere sul serio le promesse fatte all’indomani della seconda guerra mondiale nella consapevolezza che le catastrofi che altrimenti ci attendono potrebbero essere ancora più gravi e non faremo magari in tempo a formulare i nostri “mai più!”.
Luigi Ferrajoli, Il diritto di emigrare come diritto fondamentale e potere costituente di un nuovo ordine globale
Roma, Assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, 6.4.2019
1. La perdita dell’identità democratica dell’Italia e dell’Europa – La questione migranti è oggi la questione di fondo – una delle domande più drammatiche tra quelle espresse dall’interrogativo di Raniero, “che cosa ci sta succedendo?” – sulla quale si gioca il futuro dell’umanità. Essa ci pone di fronte alla più stridente, vistosa e insostenibile contraddizione tra i principi costituzionali che informano le nostre democrazie e le politiche di esclusione – e, di fatto, di condanna alla non sopravvivenza – messe in atto dai nostri governi nei confronti dei migranti. Una contraddizione che, se non risolta, renderà impronunciabili gli stessi diritti fondamentali, i quali o sono universali e indivisibili oppure si trasformano in privilegi.
Questa contraddizione si manifesta in una duplice vittimizzazione dei migranti, sottoposti dalle nostre democrazie a ben due lesioni del principio di uguaglianza e dei diritti fondamentali. In primo luogo sono le stesse migrazioni che sono provocate dal capitalismo selvaggio della globalizzazione. Dopo secoli in cui i loro territori sono stati depredati dalle nostre colonizzazioni, i migranti fuggono oggi dalla fame, dalla miseria, dalle devastazioni ambientali e dalle disuguaglianze sostanziali provocate in gran parte dalle nostre politiche. In secondo luogo, nel loro tentativo di emigrare, essi sono costretti a terribili odissee, al rischio di morire affogati o catturati e sequestrati e infine incontrano, nei nostri paesi, le oppressioni e le discriminazioni delle loro differenze personali legate al loro status di stranieri. I migranti sono insomma doppiamente vittime delle nostre politiche, che stanno frantumando l’umanità, dividendola tra chi ha il diritto di sopravvivere e chi invece è destinato a morire
Dobbiamo allora essere consapevoli che su questo terreno rischia oggi di crollare l’identità civile e democratica dell’Italia e dell’Europa. Dell’Italia, anzitutto, che in passato si era distinta, grazie all’operazione Mare Nostrum, per il salvataggio di decine di migliaia di naufraghi e che oggi è diventata la capofila dei paesi del gruppo di Visegrad e sta costruendo – con le sue aggressioni alla Francia e al Parlamento europeo e, prima ancora, con le sue assurde minacce, come il non pagamento dei contributi dovuti all’Unione Europea e all’Onu, il cui solo effetto è il suo totale isolamento – una penosa immagine di paese fuori legge.
Ma la perdita di identità sta minacciando, insieme alla crisi dell’unità, anche l’Unione Europea, i cui Paesi membri sono tutti variamente impegnati nella limitazione della libertà di accesso e di circolazione delle persone, in accuse e recriminazioni reciproche e in una guerra crudele contro i migranti. L’Unione Europea era nata contro i razzismi e contro i nazionalismi, contro i genocidi, contro i campi di concentramento, contro le oppressioni e le discriminazioni razziali. Questa identità sta oggi crollando insieme alla memoria dei “mai più!” proclamati 70 anni fa contro gli orrori del passato. Le destre protestano contro quelle che chiamano una lesione delle nostre identità culturali da parte delle “invasioni” contaminanti dei migranti. In realtà esse identificano tale identità con la loro identità reazionaria: con la loro falsa cristianità, con la loro intolleranza per i diversi, in breve con il loro più o meno consapevole razzismo. Laddove, al contrario, sono proprio le politiche di chiusura che stanno deformando e deturpando l’immagine dell’Italia e dell’Europa disegnata dalle nostre costituzioni e dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea. L’Europa non sarà più – non è più – l’Europa civile della solidarietà, delle garanzie dell’uguaglianza, dei diritti umani e della dignità delle persone, bensì l’Europa dei muri, dei fili spinati, delle disuguaglianze per nascita e, di nuovo, dei conflitti e dell’intolleranza razziale. Sta infatti vivendo una profonda contraddizione: la contraddizione delle pratiche di esclusione dei migranti quali non-persone non soltanto con i valori di uguaglianza e libertà iscritti in tutte le sue carte costituzionali e nella stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma anche con la sua più antica tradizione culturale.
2. Una politica illegale – Certamente questo governo e, in particolare, il ministro dell’interno Salvini non hanno affatto inaugurato, ma hanno solo proseguito le politiche e le pratiche contro gli immigrati del precedente ministro Minniti e quelle degli altri governi europei. Ci sono però due gravissime differenze qualitative nell’operato di questo governo rispetto a quello dei governi passati, tutte connesse all’approccio populistico alla questione dell’immigrazione e tutte corrispondenti ad altrettante perversioni del tradizionale populismo penale.
2.1. Una politica criminale – La prima differenza consiste nel fatto che il consenso popolare viene perseguito attraverso politiche e pratiche consistenti in aperte violazioni dei diritti umani delle persone e talora in veri e propri reati. Qui il populismo penale consiste nella ricerca del consenso non già facendo leva sulla paura per la criminalità di strada e inasprendo le pene, bensì ostentando politiche esse stesse illecite, consistenti in lesioni massicce dei diritti umani. Si pensi alla preordinata omissione di soccorso, alla chiusura dei porti e allo spettacolo penoso dapprima dell’Aquarius e della Diciotti e poi della Sea-Watch lasciate vagare in mare o impedite all’approdo con i loro carichi sofferenti di centinaia di persone, così private della libertà. Il ministro Salvini ha non solo commesso, ma ha anche rivendicato il reato di sequestro di persona contestatogli dalla Procura di Agrigento e per il quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere. Con la cosiddetta “chiusura dei porti” – misura informale equivalente di fatto a un provvedimento discriminatorio, perché adottato unicamente nei confronti delle navi recanti a bordo migranti – e più in generale con le diffide contro chi tenta di approdare in Italia, sono state inoltre violate una lunga serie di norme di diritto interno e di diritto internazionale: dalle norme penali sull’omissione di soccorso alla Convenzione di Amburgo del 1979 che impone di portare i naufraghi in un “porto sicuro”, al Testo Unico sull’immigrazione del 1998 che vieta i respingimenti di quanti intendono chiedere asilo, nonché dei minori non accompagnati e delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto, fino al principio elementare del diritto del mare, oltre che delle tradizioni marinare di tutti i paesi civili, che chi rischia la vita in mare deve essere comunque salvato.
Ebbene, questo cumulo di illegalità sta provocando una catastrofe della quale l’Italia, l’Europa dovranno un giorno vergognarsi e saranno, dalla storia, chiamate a rispondere. Negli anni 2014-2016 centinaia di migliaia di persone furono salvate dalle navi della Marina militare italiana e della Guardia costiera, dalle navi delle Ong, le quali da sole hanno salvato ben 46.796 persone nel solo 2016, e dai mercantili di passaggio. Ma ora, a causa della preordinata omissione di soccorso decisa dal governo con la chiusura dei porti, la strage continua in dimensioni ben maggiori. Poiché la Marina militare italiana viene tenuta a distanza, le navi delle Ong sono state allontanate e i mercantili di passaggio girano al largo per non perdere giorni di viaggio a causa dell’impossibilità di trasferire a terra i migranti salvati – altre migliaia di naufraghi resteranno senza soccorsi e moriranno affogati, ovviamente lontano dai nostri occhi e dalle nostre coscienze. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2018 ben 2.275 persone sono affogate nel Mediterraneo, e il tasso di mortalità, lungo la rotta Libia-Europa, che nel 2017 è stato di un decesso ogni 38 arrivi, è stato nel 2018 di un decesso ogni 14 arrivi. Inoltre l’85% dei migranti tratti in salvo nell’area di mare libica sono stati consegnati alla Libia dove sono stati incarcerati in condizioni spaventose. A causa dell’omissione di soccorso, lo scorso 18 gennaio sono affogati ben 117 migranti dei 120 naufraghi al largo della Libia, tra cui 10 donne e due bambini, uno dei quali di 10 mesi. Si è trattato di una strage, di cui questo governo porta la responsabilità, dato che esso non solo non si è direttamente attivato, ma con la chiusura dei porti e l’allontanamento delle navi della nostra Marina e delle navi delle Ong ha di fatto impedito che altri prestassero soccorso a questi disperati. Non solo. Alla strage e poi all’inerzia si è aggiunta l’incredibile aggressione del ministro Salvini alle Ong, alle quali proprio Salvini aveva impedito i salvataggi: “Tornano in mare davanti alla Libia le navi delle Ong, gli scafisti tornano a fare affari e a uccidere e il cattivo sono io?”. “La pacchia è finita… La mangiatoia è finita… Basta con il cinismo delle Ong”.
Sono queste gigantesche omissioni di soccorso e soprattutto la loro aperta rivendicazione e ostentazione i tratti principali per i quali questo governo cosiddetto “del cambiamento” passerà tristemente alla storia e che valgono a oscurare, per la loro drammatica immoralità e illegittimità, tutte le altre politiche governative. Non si tratta soltanto di politiche che alimentano il veleno razzista dell’intolleranza e del disprezzo per i diversi quale veicolo di facile consenso. Perseguire il consenso dell’elettorato tramite l’esibizione dell’illegalità equivale a deprimere la moralità corrente e ad alterare, nel senso comune, le basi del nostro stato di diritto: non più la soggezione alla legge e alla Costituzione, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque arbitrio, persino se delittuoso.
2.2. L’ostentazione della disumanità – Vengo così alla seconda differenza delle politiche di questo governo contro i migranti rispetto a quelle messe in atto dai Minniti e dai Macron e che semmai assimila Salvini al presidente americano Trump. Essa consiste nel fatto che la violazione dei diritti umani, mentre era occultata da Minniti, viene ora sbandierata come fonte di consenso. Di qui il veleno distruttivo immesso nella società italiana. Il ministro Salvini non si limita a interpretare la xenofobia, ma la alimenta e la amplifica, producendo due effetti distruttivi sui presupposti della democrazia.
Il primo effetto è l’abbassamento dello spirito pubblico e del senso morale nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come “prima gli italiani” o “la pacchia è finita” a sostegno dell’omissione di soccorso sono praticate e ostentate dalle istituzioni, esse non soltanto sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano. Non capiremmo, senza questo ruolo performativo del senso morale svolto dall’esibizione dell’immoralità al vertice dello Stato, il consenso di massa di cui godettero il nazismo e il fascismo. Queste politiche crudeli stanno avvelenando e incattivendo la società, in Italia e in Europa. Stanno seminando la paura e l’odio per i diversi. Stanno logorando i legami sociali. Stanno screditando, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica elementare del soccorso di chi è in pericolo di vita. Stanno fascistizzando il senso comune. Stanno svalutando i normali sentimenti di umanità e solidarietà che formano il presupposto elementare della democrazia.
Stanno, infine, ricostruendo le basi ideologiche del razzismo; il quale, come scrisse lucidamente Michel Foucault, non è la causa ma l’effetto delle oppressioni e delle violazioni istituzionali dei diritti umani: la “condizione”, egli scrisse, che consente l’“accettabilità della messa a morte” di una parte dell’umanità. In tanto, infatti, possiamo accettare che decine di migliaia di disperati vengano respinti ogni anno alle nostre frontiere, che vengano internati senza altra colpa che la loro fame e la loro disperazione, che affoghino nel tentativo di approdare nei nostri paesi, in quanto questa accettazione sia sorretta dal razzismo. Non a caso il razzismo è un fenomeno moderno, sviluppatosi dopo la conquista del “nuovo” mondo, allorquando i rapporti con gli “altri” furono instaurati come rapporti di dominio e occorreva perciò giustificarli disumanizzando le vittime perché diverse e inferiori. Che è lo stesso riflesso circolare che in passato ha generato l’immagine sessista della donna e quella classista del proletario come inferiori, perché solo così se ne poteva giustificare l’oppressione, lo sfruttamento e la mancanza di diritti. Ricchezza, dominio e privilegio non si accontentano di prevaricare. Pretendono anche una qualche legittimazione sostanziale.
3. Cosa fare contro questa deriva della democrazia – Domandiamoci a questo punto: cosa è possibile fare contro una simile deriva? Io penso che sia necessaria una battaglia culturale che consiste, anzitutto, in un’operazione verità: cioè nel chiamare le cose con il loro nome, nel nominare le cose, come dicevano stamattina Raniero e Ruggieri nel dare senso a quanto sta accadendo dando a quanto accade il suo vero nome e ribaltando le parole con cui queste politiche mistificano come bene ciò che è male e screditano come male ciò che è bene, come la solidarietà e il salvataggio di vite umane.
3.1. Le attuali misure contro i migranti come violazioni dei diritti umani – Ebbene, chiamare le cose con il loro nome vuol dire anzitutto riconoscere in queste politiche disumane delle violazioni massicce dei diritti umani costituzionalmente stabiliti e, in molti casi, di veri e propri reati. E’ questa l’importanza civile, ancor prima che giuridica, svolta dalle denunce e dalle iniziative giudiziarie contro queste politiche, al di là dei loro esiti processuali: la creazione della percezione sociale della loro illegalità, oltre che della loro immoralità, in grado di arginare la loro accettazione acritica o peggio il loro aperto sostegno.
Non è facile, giacché oggi l’opinione pubblica è portata a indignarsi assai più per un fatto di corruzione che per una strage di 117 migranti. Ma questa è una ragione di più della necessità di questa battaglia. La negazione parlamentare dell’autorizzazione a procedere, anche da parte di quanti fino a ieri hanno gridato “onestà” e “legalità”, non è stata motivata, infatti, dalla supposta esistenza di un qualche fumus persecutionis o comunque, come nel caso del famoso voto del Parlamento sul fatto che Berlusconi supponeva che la minorenne Ruby fosse la nipote di Mubarak, dalla tesi dell’inesistenza del reato contestato. Esattamente al contrario, è stata motivata con l’aperta rivendicazione del reato da parte dell’intero governo in nome di un preminente interesse pubblico. E qui dobbiamo purtroppo riconoscere che l’art.9 della legge costituzionale n.1 del 16.1.1989 – prevedendo la negazione parlamentare dell’autorizzazione a procedere sulla base della “valutazione insindacabile” della maggioranza, del cui sostegno i ministri godono per definizione, “che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblici” – ha introdotto una mina nel nostro sistema costituzionale. Questa mina è esplosa, forse nell’inconsapevolezza generale, con il voto parlamentare del 19 febbraio in favore del ministro Salvini, la cui legittimità formale nulla toglie alla sua gravità politica. Con quel voto è stato deliberato che è nell’interesse dello Stato la violazione dei diritti umani e dei doveri di solidarietà stabiliti dalla nostra Costituzione: è stata affermata, in breve, l’insindacabilità della politica, ed è stata perciò negata la sostanza del costituzionalismo e dello Stato costituzionale di diritto, cioè il sistema dei limiti e dei vincoli imposti dalla Costituzione al potere politico.
Per questo di quanto sta accadendo dovranno, un giorno, vergognarsi non soltanto gli attuali governanti, ma anche quanti li hanno votati e li sostengono con il loro consenso. Non potranno dire: non sapevamo. Nell’età dell’informazione sappiamo tutto. Siamo a conoscenza delle migliaia di morti provocati dalle nostre politiche. Sappiamo perfettamente che in Libia i migranti vengono torturati, stuprati, schiavizzati, uccisi. Conosciamo esattamente le forme di sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù cui sono sottoposti, in Italia, molti migranti.
Per questo difendere i diritti dei migranti significa anzitutto difendere noi stessi. Per questo affermare la dignità dei migranti come persone equivale ad affermare e a difendere la nostra dignità e la dignità della Repubblica. Per questo rifiutare parole come “prima gli italiani” equivale a rifiutare il razzismo che ad essa sta dietro e difendere, contro il razzismo, l’identità democratica del nostro paese.
E’ questa vergogna, io credo, che deve portarci ad auspicare che i terribili effetti della chiusura delle frontiere dei paesi ricchi – le penose odissee di quanti fuggono dalla miseria, dalle guerre o dalle persecuzioni, le migliaia di persone che muoiono ogni anno nel tentativo di raggiungere le nostre coste, le decine migliaia di disperati che si affollano ai nostri confini contro barriere e fili spinati – saranno un giorno condannati come gli orrori dei nostri tempi che imporranno al costituzionalismo del futuro un nuovo mai più: l’affermazione e la garanzia della libertà di circolazione sul pianeta di tutti gli esseri umani, lo ius migrandi appunto come autentico diritto ad avere diritti, condizione elementare dell’indivisibilità e dell’effettività di tutti gli altri diritti della persona oggi sanciti nelle tante carte dei diritti facenti parte del nostro diritto internazionale ma sistematicamente violate. Si stabilirebbe così il presupposto elementare di un costituzionalismo globale. Si chiuderebbe il mezzo millennio del falso universalismo dei diritti umani inaugurato con la proclamazione del diritto di emigrare ad uso esclusivo delle politiche di conquista dell’Occidente. Si rifonderebbe la dignità di tutti gli esseri umani – dei migranti, ma anche di noi stessi – in quanto ugualmente persone e si avrebbe un aumento della qualità della vita di tutti.
3.2. Le migrazioni come esercizio di un diritto fondamentale – In secondo luogo, chiamare le cose con il loro nome vuol dire riconoscere nelle migrazioni l’esercizio di un vero e proprio diritto fondamentale. Questo diritto è stabilito dalla nostra Costituzione, che lo enuncia nell’articolo 35, 2° comma, e nel diritto internazionale, che lo afferma negli articoli 13, 2° comma e 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani e nell’articolo 12, 2° comma del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Non solo. Esso è il più antico dei diritti fondamentali, essendo stato formulato fin dal secolo XVI da Francisco De Vitoria a sostegno della conquista del “nuovo mondo”, quando erano gli europei a “emigrare” per colonizzare e depredare il resto del pianeta, e poi da John Locke, che lo pose alla base del diritto alla sopravvivenza: il quale, egli scrisse, diversamente dal diritto alla vita contro la violenza omicida non richiede garanzie, essendo assicurato dal lavoro, sempre accessibile a tutti purché lo si voglia, quanto meno emigrando nelle “terre incolte” dell’America perché c’è “terra sufficiente nel mondo a bastare al doppio dei suoi abitanti”.
Ebbene, prendere sul serio i diritti umani stabiliti in tutte queste carte vuol dire, di nuovo, chiamare con il suo nome – diritto fondamentale – anche questo diritto, e quindi assicurare la libertà di circolazione delle persone al pari della libertà di circolazione delle merci. Vuol dire abbattere le frontiere. Vuol dire costruire una sfera pubblica globale, abbattere la distinzione tra politica interna e politica estera e trasformare tutta la politica in una politica interna del mondo.
Non è un’ipotesi utopistica o estremistica, ma al contrario un imperativo di ragione e insieme una risposta realistica alla questione migranti. I flussi migratori sono infatti fenomeni strutturali e irreversibili, frutto della globalizzazione selvaggia promossa dall’attuale capitalismo, che né le leggi, né i muri, né le polizie di frontiera saranno mai in grado di fermare ma solo di drammatizzare e clandestinizzare. Inoltre, come ha mostrato Thomas Pogge in un libro di dieci anni fa su La povertà e i diritti umani, “la povertà nel mondo è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo… La sua eliminazione richiederebbe poco più dell’1% del prodotto globale”: precisamente l’1,13% del Pil mondiale, circa 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti. E’ certo, d’altro canto, che l’Occidente non affronterà mai seriamente i problemi che sono all’origine delle migrazioni di massa – la miseria, la fame, le devastazioni ambientali – se non li sentirà come propri, e non li sentirà mai come propri se la pressione degli esclusi alle sue frontiere non diventerà irresistibile.
Naturalmente sappiamo bene che nessun uomo politico potrebbe oggi sostenere una simile tesi. Non potrebbe farlo a causa di due aporie che vincolano la politica e la democrazia, l’una relativa allo spazio e l’altra al tempo: gli spazi angusti dei territori rappresentati e i tempi brevi delle scadenze elettorali e dei sondaggi ai quali sono ancorati il consenso e la rappresentanza politica. Ma questo non è una ragione sufficiente – ed è anzi una ragione di più – perché la cultura giuridica dica le cose che la politica non riesce a dire. Sostenere e mostrare che il diritto di emigrare è un diritto vigente, che in quanto tale richiede di essere garantito significa nient’altro che prendere il diritto positivo sul serio, rilevarne la normatività e criticare come un’indebita lacuna la mancata produzione delle sue garanzie e delle connesse funzioni e istituzioni di garanzia. Se la politica non è capace di dire tutto questo, se non ha il coraggio, perché vittima della demagogia, di riconoscere che il diritto di emigrare è stato ed è tuttora un diritto di tutti, allora è la cultura giuridica che deve dirlo, sul piano scientifico ancor prima che su quello politico. E’ questo ruolo critico e progettuale che il costituzionalismo rigido, disegnando con i diritti e gli altri principi costituzionali il “dover essere giuridico” del diritto positivo, ha imposto alla scienza del diritto e ovviamente alla politica: un dover essere – i principi costituzionali presi sul serio – dalla cui attuazione peraltro, come continuano ad ammonirci realisticamente i preamboli alla Carta dell’Onu e alla Dichiarazione universale dei diritti umani, dipende il futuro della convivenza pacifica e, dobbiamo oggi aggiungere, dell’abitabilità del pianeta.
4. Il popolo dei migranti come popolo costituente e il diritto di emigrare come potere costituente di un nuovo ordine mondiale – Infine un’ultima considerazione. La cattiva coscienza di questo “dover essere” del diritto, oggi così vistosamente violato, dovrebbe quanto meno suggerire la creazione di corridoi umanitari per l’ingresso regolare in Italia e in Europa di quote minime di migranti.
Ma potrebbe, soprattutto, far maturare, nel senso comune, la concezione del fenomeno migratorio come l’autentico fatto costituente di un futuro ordine internazionale basato sull’effettiva uguaglianza di tutti gli esseri umani, che finalmente riunisca i popoli frantumati dai muri, dai fili spinati, dalle leggi in un’unica famiglia umana. Una politica razionale, oltre che informata alla garanzia della dignità e dei diritti fondamentali di tutti, dovrebbe muovere, realisticamente, dalla consapevolezza che i flussi migratori sono fenomeni strutturali e irreversibili, frutto della globalizzazione selvaggia promossa dall’attuale capitalismo, che né le leggi, né i muri, né le polizie di frontiera saranno mai in grado di fermare, ma solo di drammatizzare e clandestinizzare, consegnandoli alla repressione, allo sfruttamento e alla gestione e al controllo criminale.
Dovrebbe perciò avere il coraggio di assumere il fenomeno migratorio come l’autentico fatto costituente dell’ordine futuro, destinato, quale istanza e veicolo dell’uguaglianza, a rivoluzionarie i rapporti tra gli uomini e a rifondare, nei tempi lunghi, l’ordinamento internazionale. Il diritto di emigrare equivarrebbe, in questa prospettiva, al potere costituente di questo nuovo ordine globale: giacché l’Occidente non affronterà mai seriamente i problemi drammatici che sono all’origine delle migrazioni – le disuguaglianze, la miseria, la fame, la mancanza di acqua potabile e di farmaci salva-vita, le guerre, le devastazioni ambientali provocate in gran parte dalle sue stesse politiche – se non li sentirà come propri. E non li sentirà mai come propri se non si sentirà minacciato diretta mente dal diritto di emigrare, cioè dalla pressione demografica che proviene da quei Paesi e non dovrà fronteggiare, dopo aver occupato prima con le sue conquiste e le sue rapine e poi con le sue promesse il mondo intero, la fuga dai loro mondi devastati delle popolazioni disperate che oggi premono alle sue frontiere. I di ritti fondamentali, come l’esperienza insegna, non cadono mai dall’alto, ma si affermano solo allorquando la pressione di chi ne è escluso alle porte di chi ne è incluso diventa irresistibile. Né si tratta di un’ipotesi utopistica. Si tratta, al contrario, di un’ipotesi realistica. “La povertà nel mondo”, ha scritto Thomas Pogge, “è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo. Uccide un terzo di tutti gli esseri umani che vengono al mondo e la sua eliminazione non richiederebbe più dell’1% del prodotto globale”: precisamente l’1,13% del Pil mondiale, circa 500 miliardi di dollari l’anno, molto meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti.
Infine, una politica informata all’uguaglianza e alla garanzia della dignità e dei diritti fondamentali di tutti dovrebbe avere il coraggio di vedere nel popolo meticcio ed oppresso dei migranti, con le sue infinite differenze culturali, religiose e linguistiche, la prefigurazione dell’umanità futura quale unico popolo globale, inevitabilmente meticcio perché formato dall’incontro e dalla contaminazione di più nazionalità e di più culture, senza più differenze privilegiate né differenze discriminate, senza più cittadini né stranieri perché tutti accomunati dalla condivisione, finalmente, di un unico status, quello di persona umana, e dal pacifico riconoscimento dell’uguale dignità di tutte le differenze.
Per questo, io credo, dobbiamo pensare al popolo dei migranti come al popolo costituente di un nuovo ordine mondiale. Giacché i terribili effetti della chiusura delle frontiere dei paesi ricchi – le penose odissee di quanti fuggono dalla miseria, dalle guerre o dalle persecuzioni; le migliaia di morti ogni anno nel tentativo di raggiungere le nostre coste; le decine di migliaia di persone cacciate dall’Algeria e lasciate vagare e morire nel deserto del Sahara; quelle rinchiuse in condizioni disumane nell’inferno delle carceri libiche; le migliaia di migranti che si affollano ai nostri confini contro barriere e fili spinati, lasciati al freddo e alla fame; le sofferenze loro inflitte dai nostri governi, come le segregazioni e le separazioni dei bambini dai loro genitori ordinate negli Stati Uniti o la progettazione di muri di confine o il rimpatrio forzato dei dreamers, o le espulsioni di immigrati irregolari che vivono da anni nei nostri paesi – sono gli orrori dei nostri tempi che imporranno ai costituenti del futuro un nuovo mai più: l’affermazione e la garanzia della libertà di circolazione sul pianeta di tutti gli esseri umani, lo ius migrandi appunto come autentico diritto ad avere diritti, condizione elementare dell’indivisibilità, dell’effettività e ancor prima della serietà di tutti gli altri diritti della persona oggi sanciti nelle tante carte dei diritti facenti parte del nostro diritto internazionale ma sistematicamente violate. Si stabilirebbe così il presupposto elementare di un costituzionalismo globale. Si chiuderebbe il mezzo millennio del falso universalismo dei diritti umani inaugurato con la proclamazione del diritto di emigrare ad uso esclusivo delle politiche di conquista dell’Occidente. Si rifonderebbe la dignità di tutti gli esseri umani – dei migranti, ma anche di noi stessi – in quanto ugualmente persone e, insieme, si produrrebbe un aumento della qualità della vita di tutti. L’alternativa, dobbiamo saperlo, è un futuro di regressione globale, segnato dall’esplosione delle disuguaglianze, dei razzismi e delle paure e, insieme, della violenza, delle guerre, dei terrorismi e della generale insicurezza.
Luigi Ferrajoli