IL RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO D’ASILO DISCENDE DIRETTAMENTE DALLA COSTITUZIONE
IL RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO D’ASILO DISCENDE DIRETTAMENTE DALLA COSTITUZIONE
I giudici che si occupano della protezione internazionale dei migranti applicano il principio di fraternità che informa l’intera Costituzione e che le leggi non possono cancellare. Un caso di “resistenza” della magistratura. L’intervento di Cecilia Pratesi all’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Pubblichiamo la trascrizione dell’intervento di Cecilia Pratesi, giudice nella sezione per la protezione dei migranti del Tribunale di Roma, all’assemblea del 6 aprile scorso di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”
Io sono qui perché lavoro nella sezione del Tribunale Civile di Roma che si occupa della protezione internazionale dei migranti. Noi esaminiamo le domande di protezione e di asilo che sono state respinte in fase amministrativa; il nostro lavoro nella sostanza si traduce nell’ascolto delle storie di tutte queste persone che chiedono asilo al nostro Paese, nella raccolta delle informazioni sia sui casi singoli sia sulla situazione dei Paesi di provenienza e nella valutazione della possibilità di inserire le loro storie personali in uno dei casi legali di protezione internazionale e di asilo nelle sue varie forme. È evidente che i cambiamenti della politica migratoria, i cambiamenti di orientamento politico del nostro Stato, del nostro governo, hanno un impatto diretto, immediato, sul nostro lavoro. Ed è evidente, coma ha detto prima Maria Rosaria Guglielmi, che gli ultimi movimenti in questo senso sono nati intanto da una sfiducia verso la magistratura e quindi sono un tentativo di limitarne il più possibile la discrezionalità, e in secondo luogo comunque sono dettati dall’intento di restringere quanto più possibile i margini di questo asilo. Rispetto a questo voglio raccontare una storia di resistenza, però questa resistenza non è un arrogante tentativo dei magistrati di esercitare delle prerogative che non sono propriamente loro, ma è l’adesione alla Costituzione che ci vuole soggetti alla legge; e siccome le leggi hanno un ordine gerarchico, per noi in cima a questo ordine gerarchico c’è la Costituzione Italiana. Ebbene la Costituzione dice che allo straniero al quale è impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, garantite dalla nostra Costituzione, lo Stato italiano ha il dovere di dare asilo. È stato detto non da me, ma è un pensiero a cui io aderisco con tutta me stessa, che questo dettato, questa norma che è l’articolo 10 e un po’ tutto il tessuto della Costituzione Italiana è permeato da un principio che si può definire di fraternità. E io faccio tre o quattro passaggi soltanto per raccontarvi quanto per me questa cosa sia vera, sia autentica. Nei lavori preparatori della Costituzione si legge che le libertà garantite dalla Costituzione rispondono alla natura umana; quindi non rispondono alla natura dei cittadini italiani, non rispondono alla natura dei cittadini europei, non rispondono all’Occidente ma rispondono alla natura umana. A seguire la Costituzione declina quale sia l’essenza della libertà, e quindi oltre alle libertà politiche più universalmente riconosciute, indica anche come essenza della libertà il diritto di godere di diritti sociali minimi che danno concretezza alle aspirazioni di ogni uomo ad avere un esistenza libera e dignitosa; e questo è sempre la Costituzione che lo dice, lo dice l’articolo 36 quando parla di retribuzione del lavoro. Poi la Costituzione all’articolo 2 dice che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, non del cittadino ma dell’uomo. E allora se il diritto di asilo afferma che dobbiamo accogliere coloro che non hanno accesso alle libertà democratiche, vuol dire che l’Italia si è impegnata, nel 1947, a garantire accoglienza a coloro che non hanno accesso al nucleo minimo di diritti – questo lo dice la giurisprudenza – in cui si sostanzia la dignità umana.
Questo per me è il principio di fraternità di cui è permeata la nostra Costituzione per quanto attiene al lavoro che facciamo noi, nella nostra Sezione.
In questo quadro l’abolizione della protezione umanitaria, che è stata la bandiera del decreto sicurezza, voluto dal nostro ministro degli Interni, viene a creare un vuoto di tutela che indubbiamente può non interessare i cittadini stranieri che vengono nel nostro Paese perché sono perseguitati, perché vedono a rischio la loro incolumità fisica in modo diretto e quindi rientrano, nel canone dello status di rifugiato o nel canone della protezione sussidiaria in cui rientrano quelle forme di protezione che si danno a coloro che si trovano in un rischio evidente immediato per la loro stessa integrità e incolumità fisica; però l’abolizione della protezione umanitaria stabilita dal decreto viene a spazzare via tutto un altro profilo della migrazione che è quello di cui hanno parlato qui i ragazzi che hanno descritto le ragioni che muovono i popoli a migrare, che non sono solo le guerre o il rischio personale ma possono essere la radicale mancanza di risorse per la sopravvivenza propria e della propria famiglia, possono essere la condizione di coloro che vengono, ad esempio, da contesti omofobi, che vivono un orientamento sessuale diverso da quello considerato legale, considerato giusto nel loro Paese ma magari non hanno una legislazione che li penalizza e tuttavia si troverebbero a vivere nel loro Paese in una situazione di emarginazione sociale totale, pur non essendo di per sé esposti a conseguenze penali; quindi secondo il diritto d’asilo in senso stretto, spazzata via la protezione umanitaria, in teoria non potrebbero trovare accoglienza. Ci sono le persone che si trovano in Italia da tempo immemore, che sono indubbiamente arrivate qui per motivi economici, che magari avevano inizialmente un permesso di lavoro che poi è scaduto, oppure semplicemente sono arrivate in qualche modo e si sono arrangiate con lavori in nero, quelli di cui abbiamo sentito parlare, per anni e anni, addirittura per venti o trent’anni. Queste persone chiedono protezione umanitaria perché sono completamente eradicate dal loro contesto di provenienza, non hanno più nulla, non hanno parenti, non hanno beni, non hanno alcun tipo di riferimento neanche più forse di tipo culturale perché nel frattempo hanno percorso un cammino di integrazione per come sono riusciti a farlo. E poi ci sono persone che hanno necessità di cure, magari per malattie che non sono così gravi da rientrare in un concetto di emergenza, ma che sicuramente nel loro Paese non avrebbero accesso a un livello di cure adeguato. E poi più di tutti ci sono coloro che magari non hanno una storia particolarmente rischiosa da raccontare ma nel loro percorso migratorio hanno attraversato un inferno. E un inferno è la Libia, lo sappiamo tutti. Sono persone che arrivano nel nostro Paese danneggiate profondamente nel corpo e nella psiche, in condizioni di vulnerabilità estrema e rispetto alle quali il nostro Paese, sottoscrivendo la convenzione contro la tortura si è impegnato a un’opera di riparazione. Sono persone che sono state tenute in schiavitù, magari anche per anni: ecco, loro in teoria non avrebbero diritto ad alcun tipo di protezione nel nostro ordinamento secondo quello che vorrebbe essere il disegno del decreto sicurezza.
Allora noi giudici della protezione, sicuramente noi della sezione romana, ma penso anche molti altri nel territorio nazionale, pensiamo che bisogna affermare che il diritto di asilo costituisce un principio di civiltà rispetto a cui non è consentito arretrare e che è suscettibile, deve essere suscettibile di applicazione immediata e diretta, permettendo così a chi si occupa dell’accoglienza e della protezione di recuperare attraverso l’applicazione diretta dei principi costituzionali una forma di umanità e di fraternità che il legislatore oggi vorrebbe farci dimenticare.
Cecilia Pratesi