La Chiesa non è un condominio di tribù
La Chiesa non è un condominio di tribù
Un energico atto di governo del papa contro la persistenza di contrapposizioni tribali nelle Chiese africane
C’è un problema serio, e un problema antico, delle Chiese dell’Africa; la cultura tribale è talmente intessuta in quelle società, e non ancora convertita dal Vangelo, che molte comunità ecclesiali – preti e laici insieme – non accettano un vescovo che non appartenga alla propria tribù. Uno dei casi più eclatanti è quello della Diocesi di Ahiara, nel sud della Nigeria, dove la gente non ha accettato nel dicembre 2012 il vescovo nominato da papa Benedetto XVI, mons. Peter Ebere Okpalek, e si è rifiutata di accoglierlo. Vani sono stati i tentativi di una ricomposizione dell’unità e dell’accoglienza ecclesiale, sicché nel 2013, restando le porte sbarrate al vescovo, il cardinale vescovo di Abuja, John O. Onaiyekan, venne nominato amministratore apostolico della diocesi di Ahiara. Persistendo la crisi, si è pensato addirittura di risolverla sopprimendo quella diocesi, ma ecco che a sorpresa il papa Francesco reagisce con autorità, e con inusitata severità, convoca a Roma una rappresentanza della diocesi ribelle, paragona i fedeli che respingono il vescovo legittimo ai vignaioli omicidi del Vangelo, ed esige obbedienza che ciascun sacerdote o ecclesiastico incardinato nella diocesi di Ahiara dovrà esprimere entro trenta giorni con una lettera personale al papa in cui chieda perdono e si impegni ad accettare qualsiasi vescovo che venga inviato a quella Chiesa a qualsiasi tribù appartenga, pena la sospensione a divinis e la decadenza dall’ufficio.
Il papa sa, e lo dice, di comportarsi con durezza, ma questa è proporzionata alla gravità della questione di principio. Essa consiste nella necessità che non sia negata la comunione ecclesiale, e che non si confonda la Chiesa con un condominio di tribù in concorrenza o addirittura in lotta tra loro.
Si lamenta talvolta che il papa Francesco, ricco di parole, non sia altrettanto performante nella riforma dell’Istituzione e della Curia. Ma un intervento come questo sulla diocesi nigeriana, indica un’alta e inconsueta capacità di governo, e una coscienza delle alternative veramente dirimenti per la fede – come quella tra uguaglianza e tribalismo – che vale più di mille riforme.
Pubblichiamo il testo di ciò che il papa ha detto alla delegazione della Chiesa di Ahiara nell’udienza dell’8 giugno scorso:
Saluto cordialmente la Delegazione e ringrazio per essere venuti dalla Nigeria con spirito di pellegrinaggio. Per me, è una consolazione questo incontro, perché sono molto triste per la vicenda della Chiesa in Ahiara.
La Chiesa, infatti (e mi scuso per la parola), è come in stato di vedovanza per aver impedito al Vescovo di andarvi. Tante volte mi è venuta in mente la parabola dei vignaioli assassini, di cui parla il Vangelo (cfr. Mt 21, 33-44)… che vogliono appropriarsi dell’eredità. In questa situazione la Diocesi di Ahiara è come senza sposo, ed ha perso la sua fecondità e non può dare frutto.
Chi si è opposto alla presa di possesso del Vescovo Mons. Okpaleke vuole distruggere la Chiesa; ciò non è permesso; forse non se ne accorge, ma la Chiesa sta soffrendo e il Popolo di Dio in essa. Il Papa non può essere indifferente.
Conosco molto bene le vicende che da anni si trascinano nella Diocesi e ringrazio per l’atteggiamento di grande pazienza del Vescovo; dico di santa pazienza da lui dimostrata. Ho ascoltato e riflettuto molto, anche sull’idea di sopprimere la Diocesi; ma poi ho pensato che la Chiesa è madre e non può lasciare tanti figli come voi. Ho un grande dolore verso questi sacerdoti che sono manipolati, forse anche dall’estero e da fuori Diocesi.
Ritengo che qui non si tratti di un caso di tribalismo, ma di appropriazione della vigna del Signore. La Chiesa è madre e chi la offende compie un peccato mortale, è grave. Perciò ho deciso di non sopprimere la Diocesi. Tuttavia, desidero dare alcune indicazioni da comunicare a tutti: anzitutto va detto che il Papa è profondamente addolorato, pertanto, chiedo che ogni sacerdote o ecclesiastico incardinato nella Diocesi di Ahiara, sia residente, sia che lavori altrove, anche all’estero, scriva una lettera a me indirizzata in cui domanda perdono; tutti, devono scrivere singolarmente e personalmente; tutti dobbiamo avere questo comune dolore.
Nella lettera
1. si deve chiaramente manifestare totale obbedienza al Papa, e
2. chi scrive deve essere disposto ad accettare il Vescovo che il Papa invia e il Vescovo nominato.
3. La lettera deve essere spedita entro 30 giorni a partire da oggi fino al 9 luglio p.v. Chi non lo farà ipso facto viene sospeso a divinis e decade dal suo ufficio.
Questo sembra molto duro, ma perché il Papa fa questo? Perché il Popolo di Dio è scandalizzato. Gesù ricorda che chi scandalizza, deve portarne le conseguenze. Forse qualcuno è stato manovrato senza una piena cognizione della ferita inferta alla comunione ecclesiale.
A voi, fratelli e sorelle, manifesto vivo ringraziamento per la vostra presenza; così pure al Cardinale Onaiyekan per la sua pazienza e al Vescovo Okpaleke, di cui ho ammirato oltre la pazienza anche l’umiltà. Grazie a tutti.