LA DEMOCRAZIA SOSPESA
LA DEMOCRAZIA SOSPESA
Se si voterà con la legge elettorale che è in corso di approvazione alle Camere, avremo una legislatura in cui la democrazia sarà sospesa. Un’analisi del prof. Zagrebelski
SILVIA TRUZZI
La nuova legge elettorale che è in votazione alle Camere, se fosse approvata così come è stata concepita, altererebbe talmente le regole del gioco democratico che la prossima legislatura che ne scaturirebbe corrisponderebbe a un periodo di sospensione della democrazia. Il voto unico previsto per il candidato nel collegio uninominale e per il listino dei nominati dai partiti, trucca il gioco e vanifica la volontà degli elettori. La Corte Costituzionale potrebbe sancire l’incostituzionalità della legge, ma troppo tardi, a elezioni già avvenute. Semmai da un Parlamento incostituzionale potrebbe essere varata un’altra legge elettorale, non incostituzionale, nella prossima legislatura. Qui di seguito un largo estratto di un’intervista al prof. Gustavo Zagrebelski comparsa sul Fatto quotidiano il 7 ottobre scorso.
La legge elettorale è lo specchio della democrazia. Tra le leggi ordinarie, ha detto Carlo Smuraglia, la più vicina alla Costituzione.
Sì. Dovrebbe essere quella più vicina ai diritti politici dei cittadini. La legge elettorale crea, modella l’ elettore, gli dà o gli toglie potere. Dovrebbe essere la sua legge. Invece da anni è trattata come la legge dei partiti. Serve a regolare i conti tra loro, ad accaparrarsi posti. Il risultato delle elezioni interessa meno perché i giochi si vogliono fare prima, con la legge elettorale. Si capisce, allora, l’estrema litigiosità e, al tempo stesso, il fastidio, anzi la nausea, dei cittadini che assistono al gioco dall’ esterno.
Non le pare irrealistico che i partiti non pensino ai propri interessi?
Certamente. Quando i partiti scrivono la legge elettorale operano in causa propria e la posta, per loro, è grande.
Quindi li assolviamo.
Non si tratta né di assolverli, né di condannarli. Che ci sia sempre un retro-pensiero è inevitabile. C’è sempre stato. Manca quello che si chiama il “velo dell’ ignoranza” circa i propri interessi immediati. Potendo fare calcoli, dell’ interesse generale non importa a nessuno. Tutto si risolve in convenienze e compromessi neppure dichiarati alla luce del sole. Ma ci sono i cittadini: per poco che si rendano conto di ciò che accade, si accorgono d’essere trattati come meri strumenti, come pedine della dama. Ecco: non popolo ma pedine.
È sano fare una legge elettorale alla vigilia delle urne?
Per niente. Si dice sempre che se c’è una legge che deve essere stabile è quella elettorale, proprio per evitare che si confezionino sistemi ad hoc. Esiste, per questo, un codice di buona condotta del Consiglio d’ Europa, datato 2003, citato anche da una sentenza della Corte di Strasburgo, che dice che un anno prima delle elezioni non si devono fare leggi elettorali. Una ovvia regola prudenziale come è questa implica che ci sia qualcuno a vegliare sulla sua applicazione.
Chi dovrebbe essere?
Questo è il punto dolente. Non vedo facili rimedi. Immaginiamo che si approvi una nuova legge elettorale in prossimità del voto e che questa legge sia incostituzionalissima, addirittura per contrasto evidente con i precedenti della Corte costituzionale. Le procedure non consentirebbero di rivolgersi a essa in tempo utile. Si voterebbe con quella legge e le nuove Camere resterebbero in carica tranquillamente, ma incostituzionalmente, in virtù del principio di continuità, già evocato in passato. Non ci si è resi conto per tempo di questa assurdità: la Corte costituzionale ha dato la mano per prima, poi sono venuti i commentatori e i politici eletti che, comprensibilmente, avevano tutto l’interesse a terminare il mandato parlamentare. Con la conseguenza aberrante che le sentenze della Corte non hanno sortito effetto e il gioco può essere ripetuto all’ infinito: basta votare la legge quando non è più possibile ricorrere contro i suoi vizi.
E allora?
Oggi è troppo tardi ma, forse, il presidente della Repubblica avrebbe potuto dire per tempo: non promulgherò nessuna legge elettorale nell’ ultimo anno prima dello scioglimento delle Camere.
Cosicché si andrà a votare con le zoppicanti leggi sortite dalla Consulta: zoppicanti ma certo migliori dei pasticci cui stiamo assistendo.
In quattro anni il tempo c’era. Ma adesso non c’è più. Dopo la sentenza che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, che secondo la Corte aveva rotto il rapporto di rappresentanza tra eletti ed elettori, ci si sarebbe aspettati che il Parlamento regolarizzasse la situazione.
Si potrebbe obiettare: è passato remoto.
O forse futuro prossimo: corriamo il rischio – fondatissimo – di avere un’ altra legge incostituzionale, contro cui non ci sarà il tempo per ricorrere alla Consulta. Quindi potremmo eleggere un’ altra volta il Parlamento con una legge illegittima, dovendo poi digerire la beffa di un’eventuale sentenza della Corte che non servirebbe a nulla. Qui il confine tra perversione democratica ed eversione è labile. Diciamo così: sarebbe il picco di una scostumatezza costituzionale mai vista prima.
Proporzionale vs maggioritario: lei da che parte sta?
Le maggioranze speciali previste dalla Costituzione valgono a garanzia delle minoranze e sono sensibili al sistema elettorale. I premi elettorali rischiano di vanificare gli intenti dei costituenti. Si potrebbe pensare a una modifica della Costituzione in funzione di garanzia: se si introduce un premio di maggioranza, si adeguino i quorum costituzionali, alzandoli conseguentemente, per impedire ai vincitori di fare quel che vogliono a spese delle minoranze.
Dunque, meglio il proporzionale?
In generale sì: è il sistema più onesto perché riflette perfettamente il principio di rappresentanza elettori-eletti. Non si presta a manipolazioni ma implica che i partiti si assumano responsabilità politiche e siano in grado di fare coalizioni. Oltretutto, maggioritari e premi di maggioranza applicati a sistemi politici frammentati come il nostro, dove il partito più forte è lontanissimo dalla maggioranza assoluta, provocherebbero una distorsione della rappresentanza inaccettabile.
Ma la sera stessa delle elezioni non si saprebbe chi ha “vinto”. È curioso come questa formuletta, che sentivamo ripetere ogni minuto, sia scomparsa Oggi tutti stanno pensando a come trafficare la mattina dopo. Nella situazione attuale il maggioritario o il premio indicherebbero un vincitore. Ma subito dopo inizierebbero i guai perché le coalizioni fatte prima servono solo a vincere le elezioni per poi squagliarsi subito dopo. Non abbiamo riprove a sufficienza? Altro che stabilità, altro che “governabilità”!
Vogliamo parlare dell’ arte del trasformismo? Talora serve al governo a tirare avanti, ma a che prezzo per l’ integrità della politica?
In questa legislatura un voltagabbana ogni tre giorni: un’interpretazione piuttosto disinvolta dell’assenza di vincolo di mandato. A metà dell’ Ottocento Walter Bagehot, nel commento alla Costituzione britannica, individuava quattro funzioni del Parlamento: legiferare, rappresentare il meglio della Nazione, controllare il governo e sostenerlo. Sostenere il governo se si è nella sua maggioranza, non sostenerlo se si è all’ opposizione. Si potrebbe studiare una riforma dell’ art. 67 della Costituzione che, garantendo la libertà di mandato per tutte le altre funzioni, ponesse limiti e prevedesse sanzioni (decadenza?) quando si ondeggia opportunisticamente sul quarto punto, il trasformismo vero e proprio, magari “incentivato” nel mercato dei voti. Anche qui, abbiamo bisogno di esempi?
A proposito: si aspettava il ritorno di Berlusconi? Come la mettiamo con l’ ineleggibilità?
Se la domanda è: ”Può un ineleggibile essere a capo di un partito?”, le rispondo: “Quale norma lo vieta?”. Non si può ragionare alla buona e dire “se non è eleggibile, non può essere capo d’un partito che si presenta alle elezioni né comparire nel suo simbolo”. Diremmo che un partito comunista non può mettere la barba di Marx nel suo simbolo perché Marx non è eleggibile?
I principali leader politici non siedono in Parlamento: significa qualche cosa?
È una delle tante conseguenze dell’emarginazione del Parlamento. Siamo a Torino: Cavour dove costruiva la sua politica e faceva i suoi più importanti discorsi? A Palazzo Carignano. De Gasperi, Togliatti, portavano alle Camere i grandi temi della loro politica. La questione della legge elettorale dovrebbe, tra le altre cose, riqualificare la rappresentanza: ‘Il meglio della Nazione’, dicevamo.
Torniamo alla legge elettorale. Gaetano Azzariti ha giustamente sottolineato che in una democrazia parlamentare la legge elettorale non serve a scegliere un governo, ma è lo strumento con cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti. Una prospettiva completamente scomparsa dal dibattito pubblico.
Sono gli orizzonti divergenti dei sostenitori del proporzionale e dei fautori del maggioritario. Ma i cittadini non vogliono essere considerati pecore dentro il gregge o mucche dentro la mandria. I cittadini sono la forza che dà senso alla politica, ai partiti che esprimono idee e programmi per attuarle. Non si dovrebbe avere la sgradevole sensazione che i giochi siano già fatti, ma si dovrebbe restituire al popolo l’ idea di essere parte fattiva del gioco. E perché questo accada la legge elettorale non deve essere solo onesta, ma anche semplice e chiara, il contrario degli arzigogoli ai quali si dedicano gli esperti dei sistemi elettorali (quasi una categoria professionale).
Parliamo del Rosatellum nuova versione?
La legge elettorale deve anche essere “coerente”. Che senso ha dire agli elettori: vi diamo una quota di nominati e una quota libera? Cosa pensa il cittadino del “voto unico” che fa sì che il voto dato al candidato nel collegio uninominale si trasferisca automaticamente alla lista dei candidati nel collegio plurinominale e viceversa? Tutte le volte che logiche alternative s’inseriscono nel meccanismo elettorale, sorgono dubbi sulla onestà della legge.
Con i “nominati” la selezione non la fanno gli elettori.
Gli appuntamenti elettorali sono spesso quelli in cui, all’opposto di quanto teorizzava Bagehot, emerge il peggio della Nazione. Per correre dietro ai consensi che servono per vincere, i partiti non vanno troppo per il sottile. Non fanno differenze tra il voto delle persone oneste, informate e disinteressate e quello delle persone disoneste, disinformate e interessate: anzi, per lo più si coccola la seconda categoria che può offrire pacchetti di voti. In una situazione socialmente decadente, emerge il degrado.
Silvia Truzzi