La guerra contro il papato evangelico
Raniero La Valle
Mentre nella società tutta crescono lo stupore e la consolazione (la “consolazione delle Scritture”!) per la predicazione del Dio di misericordia e di libertà fatta da papa Francesco, crescono anche gli attacchi al suo ministero da parte di chi non vuole rinunziare al Dio dell’ira e alle vecchie servitù. Si conferma l’ipotesi avanzata da questo sito secondo cui oggi, sulla soglia di un tempo nuovo, si è messi di fronte alla scelta di quale Dio si voglia servire, se il Dio annunciato da Gesù o uno di altra fattura.
Quella che viene avanti è infatti una scelta. Religione era finora intesa per lo più come aderire a un insegnamento, obbedire a un vincolo, essere cooptati a una fede. Viene invece un tempo in cui religione vuol dire adorare un Dio non subìto ma scelto, professare una fede non per obbedienza ma per elezione, vivere non per legge ma per amore. E ciò non solo per la rinnovata vitalità dell’annuncio, ma anche per il procedere della secolarizzazione: come ha scritto il teologo Giovanni Ferretti su questo sito, siamo passati da una fede in Dio “non problematica”, a una società in cui essa viene considerata un’opzione tra le altre, “problematica e tormentata”, caratterizzata dall’insorgere “del soggetto individuale moderno, che non potrebbe più credere nella forma antica di un’adesione acritica e globale alla religione ‘ufficiale’, ma solo come scelta personale ed in sintonia con il grado della sua convinzione interiore, addirittura come espressione della propria autenticità spirituale”.
Questa spinta a eleggere il Dio che si vuole seguire, che si riconosce come Amore e si prende per alleato, (come accade nella Bibbia) è una spinta salutare per una Chiesa che cambia. Ed essa è resa più pressante proprio da quelli che al contrario si pongono contro il rinnovamento ecclesiale e perfino della Scrittura fanno un’arma di offesa e ragione di conflitto e contraddizione nella Chiesa.
L’esempio più recente è un attacco a padre Sosa, il nuovo Superiore generale dei Gesuiti, e indirettamente a papa Francesco, venuto da siti web del cattolicesimo reazionario e integralista. L’accusa è quella di una deriva eretica della Chiesa, che per “lisciare il pelo al mondo” si starebbe imbarcando in un cristianesimo senza Cristo. La controversia (almeno quella che appare in superficie) è sulla lettura e interpretazione delle Scritture. E si capisce perché: è infatti dal movimento biblico prima del Concilio, dalla “Dei verbum” del Concilio e dalle reiterate pronunce della Pontificia Commissione Biblica che sono sorte le condizioni del rinnovamento della fede e della Chiesa dalla seconda metà del Novecento fino ad ora; del resto se la chiave del rinnovamento non stesse in un rapporto dinamico e vitale con la Parola di Dio, non sarebbe stato nemmeno possibile che il Concilio riconoscesse che per le Chiese “era giunto il momento di annunciare il Vangelo in modo nuovo”.
Appartiene infatti da sempre alla tradizione della Chiesa una lettura non pedante, non fissista, non pedissequa della Bibbia. Certamente non fu così la lettura di Gesù (“Ma io vi dico…”), certamente non è stata così la lettura che il Nuovo Testamento ha fatto dell’Antico; non uniformi sono gli stessi Vangeli, che sono quattro e non sempre d’accordo tra loro: “Il Vangelo è uno, ma sono quattro e sono diversi – ha detto il papa il 25 marzo nel Duomo di Milano – ma quella diversità è una ricchezza. Il Vangelo è uno in una quadruplice forma. Questo dà alle nostre comunità una ricchezza che manifesta l’azione dello Spirito”. Allo stesso modo ben oltre la lettera della Scrittura sono andati i primi quattro Concili ecumenici che hanno articolato la fede trinitaria, la fede cristologica e la devozione mariana; e il papa Gregorio Magno che come i Padri più antichi aveva fatto del primato della parola di Dio il fulcro del suo ministero, aveva detto che a leggere la Parola non cresce solo chi la legge, ma cresce la Parola stessa, cioè lievita come fermento nella pasta, sprigiona nuovi significati: “Divina eloquia cum legente crescunt” (Homilia in Ezechielem, 1, 7, 8, citato anche nel “Catechismo della Chiesa cattolica”).
I “divina eloquia” sono, per eccellenza, quelli di Gesù, quindi anche quelli riferiti da Matteo sull’unità originaria dell’uomo con la donna e la critica del ripudio attribuito alla “durezza di cuore” degli osservanti della legge di Mosè (Mat. 19, 3 seg.). Ed è invece proprio sulla lettura immutabile di queste parole di Gesù, interpretate come condanna del “divorzio”, che gli zelanti si sono stracciate le vesti per contestare sia padre Sosa che il papa. Aveva detto il Superiore dei Gesuiti intervistato il 18 febbraio per il blog “Rossoporpora” dal vaticanista svizzero Giuseppe Rusconi che “bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…”.
La contestualizzazione, che è un criterio ermeneutico essenziale per qualunque lettura critica non solo della Bibbia ma di qualunque testo, ha scandalizzato l’intervistatore, che ha rivendicato il “valore assoluto” di tutte le parole del Vangelo, sicché padre Sosa gli ha spiegato che il Vangelo è scritto da esseri umani con parole umane: “Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù… capire una parola, capire una frase… le traduzioni della Bibbia cambiano, si arricchiscono di verità storica… Pensi un po’: per me, venezuelano, una stessa parola può avere un significato diverso se detta da uno spagnolo…Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane. Sa che cosa dice san Paolo? Non ho ricevuto il Vangelo da nessuno degli Apostoli. Sono andato a trovare Pietro e Giacomo per la prima volta tre anni dopo la conversione. La seconda, dopo dieci anni e in quell’occasione abbiamo discusso di come va compreso il Vangelo. Alla fine mi hanno detto che anche la mia interpretazione andava bene, ma una cosa non dovevo dimenticare: i poveri…. Perciò è vero che nessuno può cambiare la parola di Gesù… ma bisogna sapere quale è stata!”.
Su queste parole di padre Sosa partiva una denuncia al cardinale Muller, e allo stesso papa Francesco, da parte di un altro gesuita, il loro confratello di Carpi Roberto A. Maria Bertacchini, che le giudicava gravi, tali da non potersene fare complici passandole sotto silenzio, perché considerare non vincolanti le parole di Gesù sull’indissolubilità sarebbe un’eresia e comporterebbe “il rischio di sfociare in un cristianesimo riduttivo del messaggio gesuano, ossia in un cristianesimo senza Cristo”.
L’accusa del gesuita di Carpi era ripresa con entusiasmo il 31 marzo dal blog dell’Espresso curato da Sandro Magister, alfiere della guerra contro il papa; Magister estendeva allo stesso Francesco l’insinuazione di leggere i Vangeli “in modo tortuoso”, come quando in un’omelia a Santa Marta il 24 febbraio, commentando il passo corrispondente del vangelo di Marco, aveva detto che “Gesù non risponde se [il ripudio] sia lecito o non sia lecito”. Naturalmente in queste contestazioni la pietra dello scandalo è l’esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia”, contro cui è annunciato un convegno internazionale a Roma sabato 22 aprile all’hotel Columbus.
In realtà quell’omelia a Santa Marta era molto bella, e aveva un valore generale perché al di là della controversia sul ripudio, era un invito, che valeva per i farisei del tempo di Gesù ma vale anche per quei farisei che siamo noi, a leggere la Bibbia nella profondità e nell’essenza del suo insegnamento e non nella casistica di ciò che è lecito e ciò che è illecito.
Ecco, nella versione vaticana, quali sono state le parole di Francesco:
‘Marco racconta che al Signore «si avvicinano questi dottori della legge: è chiaro, lo dice il Vangelo, per metterlo alla prova domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie». Ma «Gesù — ha spiegato il papa — non risponde se sia lecito o non sia lecito; non entra nella loro logica casistica, perché loro pensavano soltanto alla fede in termini di “si può” o “non si può”, fino a dove “si può”, fino a dove “non si può”». Però in «quella logica della casistica Gesù non ci entra». Anzi, a loro «rivolge una domanda: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”». In pratica chiede «che cosa c’è nella vostra legge?”».
‘Nel rispondere a questa domanda di Gesù, ha fatto presente Francesco, i dottori della legge «spiegano il permesso che ha dato Mosè per ripudiare la moglie, e sono proprio loro a cadere nel tranello, perché Gesù li qualifica “duri di cuore”». E si rivolge loro così: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma». E così Gesù «dice la verità, senza casistica, senza permessi, la verità: “Dall’inizio della creazione, Dio li fece maschio e femmina”». E continua: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre» e «si mette in cammino», e «si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». Perciò «non sono più due, ma una sola carne». E questa, ha affermato il Papa, «non è né casistica, né permesso: è la verità; Gesù dice sempre la verità».
‘Marco, poi, racconta nel suo Vangelo anche la reazione dei discepoli, a casa: lo interrogarono di nuovo su questo argomento per capire meglio, perché loro conoscevano questo permesso di Mosè, questa legge di Mosè. E «Gesù è ancora molto chiaro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Dunque Gesù dice «la verità», ha affermato il Pontefice. Egli «esce dalla logica casistica e spiega le cose come sono state create, spiega la verità». Ma «sicuramente, qualcuno può pensare: “Sì, la verità è questa, ma tu, Gesù, tu sei andato lì a parlare con un’adultera!”». E anche «tante volte adultera: cinque, credo». Perciò, così facendo, «sei diventato impuro. E sei diventato impuro anche perché quella era pagana, era una samaritana. E parlare con uno che non era ebreo ti faceva impuro e sei diventato impuro, anche perché hai bevuto dal bicchiere di lei, che non era stato purificato». Allora, «come mai tu dici che questo è adulterio, che questo è grave, e poi parli con quella, le spieghi il catechismo e bevi anche quello che lei ti dà?». E ancora: «Un’altra volta ti hanno portato un’adultera — chiaro a tutti: l’hanno presa in adulterio — e tu, alla fine, cosa hai detto? “Io non ti condanno, non peccare più”. Ma come si spiega questo?» si potrebbe, dunque, obiettare.
‘«È il cammino cristiano» è stata la risposta del Pontefice. Si tratta del «cammino di Gesù, perché anche lui — pensiamo a Matteo, a Zaccheo, ai banchetti che fa con tutti i peccatori — andava da loro, a mangiare». E «il cammino di Gesù, si vede chiaro, è il cammino dalla casistica alla verità e alla misericordia: Gesù lascia fuori la casistica». E «a quelli che volevano metterlo alla prova, a quelli che pensavano con questa logica del “si può”, li qualifica — non qui, ma in altro passo del Vangelo — ipocriti».
‘Ma non c’è «solo la verità», ha spiegato il Papa. C’è «anche la misericordia, perché lui è l’incarnazione della misericordia del Padre e non può negare se stesso». E «non può negare se stesso perché è la verità del Padre, e non può negare se stesso perché è la misericordia del Padre». E «questa — ha proseguito — è la strada che Gesù ci insegna a percorrere: non è facile, nella vita, quando vengono le tentazioni: pensiamo alle tentazioni di affari». In quel caso «gli affaristi» dicono: «Io posso fare fino a qui, licenzio questi dipendenti e guadagno più di qua». È «la casistica», appunto. «Quando la tentazione ti tocca il cuore — ha affermato il Papa — questo cammino di uscire dalla casistica alla verità e alla misericordia non è facile: ci vuole la grazia di Dio perché ci aiuti ad andare così avanti. E dobbiamo chiederla sempre».
‘«Signore, che io sia giusto, ma giusto con misericordia» è la preghiera suggerita da Francesco. Ma «non giusto, coperto dalla casistica». Invece la preghiera da fare al Signore è per essere «giusto nella misericordia, come sei tu, giusto nella misericordia». E «poi uno di mentalità casistica può domandare: che cosa è più importante in Dio, giustizia o misericordia?». Ma questo «è un pensiero malato, che cerca di uscire: cosa è più importante?». In realtà «non sono due: è uno solo, una sola cosa. In Dio, giustizia è misericordia e misericordia è giustizia». E «il Signore — ha concluso il Papa — ci aiuti a capire questa strada, che non è facile, ma ci farà felici, a noi, e farà felice tanta gente»’.
Una stretta connessione tra giustizia e misericordia – che “farà felici noi e farà felice tanta gente – era stata usata anche dal biblista camaldolese padre Innocenzo Gargano nella lettura delle parole di Gesù sul ripudio, in uno studio fatto in vista del Sinodo dei vescovi che avrebbe dovuto affrontare la spinosa questione dell’eucaristia ai divorziati risposati. In un saggio pubblicato dalla rivista dell’Università Urbaniana “Euntes docete” il monaco camaldolese aveva sostenuto che Gesù aveva tenuto fermo il progetto finale di Dio espresso nella “legge scolpita nelle stelle” (cioè l’ideale inscritto nella legge di natura dell’indissolubilità coniugale), senza far venir meno la “condiscendenza” di Dio espressa nella legge di Mosè, scolpita nella pietra, che aveva permesso il ripudio. Questi due atteggiamenti di Gesù, secondo padre Gargano, escludono di leggere il passo evangelico sul matrimonio “da una prospettiva unicamente giuridica o, peggio ancora, tassativa, come si è stati inclini a considerarla nella tradizione cristiana occidentale, e in quella cattolica in particolare”. Ciò infatti “esulerebbe totalmente dal contesto globale della vita e dell’insegnamento di Gesù, così come appare dal Nuovo Testamento, e dal contesto culturale e religioso in cui agiva ed insegnava il maestro di Nazareth”, e sarebbe in contrasto col “Discorso della montagna” che è teso a “superare gli stretti confini del dovere per aprirli agli spazi amplissimi della gratuità dell’amore confrontata con la disponibilità del Padre che si lascia dirigere dalla generosità a tal punto da non fare alcuna differenza tra coloro che noi chiameremmo buoni o cattivi, giusti o peccatori”.
Questa lettura sapienziale, liberante, delle Scritture è contemplata e incoraggiata dalla Costituzione “Dei Verbum” del Concilio quando dice che “cresce … la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio” (n. 8).
Al contrario una lettura spenta, inerte, fondamentalista della Scrittura è esclusa in un documento del 15 aprile 1993 della Pontificia Commissione biblica, “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” che spiega come “Il fondamentalismo invita, senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero. Mette nella vita una falsa certezza, poiché confonde inconsciamente i limiti umani del messaggio biblico con la sostanza divina dello stesso messaggio” (1, F).
Perciò l’uso che gli oppositori di papa Francesco fanno della Scrittura per interdire alla Chiesa la via della misericordia, ristabilire la schiavitù della legge e togliere ai cristiani la libertà per la quale Cristo ci ha liberati (Gal. 5, 1), è illegittimo ed è contrario alla grande Tradizione della Chiesa.
Ma proprio questa provocazione che viene dal mondo, mettendo di fronte ai credenti due strade, li urge a scegliere oggi quale Dio vogliono servire.
Raniero La Valle