La guerra di Trump

Attaccando la Siria il presidente americano torna all’idea di una supremazia armata degli Stati Uniti nel Medio Oriente e nel mondo globalizzato. Un segnale di massimo pericolo. La strage di Iblid e i morti di Al Shayrat

La redazione

Dopo aver dato il via libera all’annessione israeliana dei Territori Occupati della Palestina e dei Palestinesi che li abitano, Trump, in crisi di credibilità, torna alla guerra, bombardando la principale base aerea siriana con 59 missili Tomahawk lanciati dalle sue portaerei nel Mediterraneo. E’ la punizione, dice, o la rappresaglia, per la strage di Iblid di cui i siriani sarebbero responsabili. L’azione è sconsiderata e impulsiva e ciò che essa promette è degno del massimo allarme.

Il segnale che ne risulta è che Trump intende riformulare completamente la politica americana per il Medio Oriente dopo la gestione catastrofica che essa ha avuto in questi lustri, a partire dalla prima guerra del Golfo (1991) ad opera del primo Bush (sostenuto dalla Thatcher) fino all’avvento al potere della destra americana fautrice del “nuovo secolo americano” e alla “guerra perpetua” con cui il secondo Bush ha preteso di realizzarlo. Purtroppo la politica praticata ora da Trump è altrettanto catastrofica di quelle delle amministrazioni repubblicane e democratiche dell’ultimo quarto di secolo, e per di più si pone come un’aperta sfida al papa e alla Chiesa, dato che proprio nello scongiurare la guerra alla Siria, nel settembre 2013, si sono rivelati al mondo il ruolo politico pacificatore e l’identità non violenta del pontificato francescano.

Ciò che sembra ora apparire è che gli Stati Uniti, come al solito spalleggiati dai loro alleati, compresa l’Italia, non vogliono rinunziare a comandare sulla Siria liquidando Assad e a contrastare la nuova influenza russa nell’area, cioè non vogliono rinunziare allo scettro del mondo che con Trump sono tornati a pretendere inalberando il motto “America first”. Il problema è che il mondo globalizzato, che gli stessi Stati Uniti e i loro economisti e  banchieri hanno voluto, non è compatibile con un regime mondiale in cui qualcuno sia “first”, sia il sovrano, nemmeno gli Stati Uniti. Al contrario il mondo globalizzato è governabile – e addirittura è pensabile – solo nel pluralismo, nella libera circolazione attraverso le frontiere e nel riconoscimento del suo vero fondamento, che è l’unità umana. L’alternativa non è il protezionismo, e non è Minniti, l’alternativa è la guerra. Per questo oggi siamo in una situazione di massimo pericolo meritevole del massimo allarme.

L’evento che ha mosso Trump a muovere guerra alla Siria è l’uso delle armi chimiche che Assad avrebbe fatto nel bombardamento contro i suoi oppositori ad Iblid, con tanto di bambini e altri innocenti devastati e uccisi. Su ciò che veramente è accaduto non ci può giurare nessuno, tanto più che le guerre in corso in Medio Oriente sono tutte dominate dalla propaganda e dal gioco delle parti. Certo le foto delle vittime colpite dal gas e uccise non si possono negare e l’indignazione contro Assad è salita alle stelle, mentre la Russia sostiene che le cose sono andate diversamente e che Assad non ha commesso alcun crimine. Il papa non si preoccupa di chi debba accusare (scagli la prima pietra…) ma si preoccupa dell’ecatombe che continua, ha espresso la sua “ferma deplorazione per l’inaccettabile strage” nella quale “sono state uccise decine di persone inermi, tra cui tanti bambini”, e ha fatto appello “alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché cessi questa tragedia e si rechi sollievo a quella cara popolazione da troppo tempo stremata dalla guerra”.

La guerra in Siria (come le altre del Medio Oriente) ha molti anche occulti e camaleontici protagonisti, guerre (cui abbiamo partecipato anche noi) nelle quali spesso non si sa chi uccide chi; e lo scandalo per le vittime non è mai neutrale, dipende dal ricavo che se ne può trarre in partita; sicché ci sono delitti che godono del massimo rilievo mediatico, ed altri nessuno.  Come ha scritto Tonio Dell’Olio anche per quelli che ci sono in mezzo è difficile distinguere la guerra del terrorismo dal terrorismo della guerra, e la situazione è ormai quella che lo stesso Tonio Dell’Olio descriveva dopo il bombardamento americano a Mosul del 17 marzo su http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3053.html:

«Anche secondo la tardiva ammissione degli stessi vertici militari USA, il 17 marzo scorso, un bombardamento delle forze aree statunitensi nella zona ovest di Mosul in Iraq ha causato non meno di 150 vittime tra la popolazione civile. È stata aperta un’indagine per verificare le responsabilità di questo tragico “errore” ma intanto ci sono vite stroncate, distruzioni e lutti che si aggiungono alle altre sofferenze inflitte dai terroristi dell’ISIS e dalle forze irachene. A quanto scrivono gli osservatori di questioni militari, la recrudescenza degli attacchi targati USA sono aumentati in diversi scenari di guerra da quando Trump è stato eletto presidente e ha ordinato allo Stato Maggiore di usare il pugno di ferro contro i terroristi. Ci sono indagini in corso su un attacco aereo che ha colpito per errore una moschea in Siria provocando numerosi morti tra i civili come anche è successo lo scorso mese di gennaio in Yemen quando i Navy Seal hanno compiuto un raid nella provincia di Bayda. Insomma, ancora una volta la guerra semina morte e violenza come il terrorismo che si vorrebbe combattere. Al punto che la stessa popolazione civile fatica a distinguere la guerra del terrorismo dal terrorismo della guerra. Il risultato ancora una volta è che la distruzione seminata da attacchi di questo tipo rischia di favorire l’adesione di altri adepti a ISIS e Al Qaeda. Insomma, un pugno di ferro che produce esattamente l’effetto opposto a quello dichiarato. Chissà se sono questi argomenti sufficienti per convertire le semplificazioni finora utilizzate dal presidente USA».

L’inaccettabile strage di Iblid e la rappresaglia americana a Shayrat (anche lì con morti adulti e bambini) sono un nuovo capitolo di questa storia. E l’estrema tragedia sarebbe che ad esso seguissero non gli sforzi per tornare a tentare la pace, ma sempre nuove motivazioni ed esercizi di guerra.

 

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  • Aprile 08, 2017at9:50 AM

    Condivido l’analisi. Basta ricordare come ad esempio, con le “nostre” bombe fabbricate in Sardegna si effettuino stermini simili, perpetrati dall’ Arabia Saudita in Yemen che, oltretutto, è spesso occultamente contigua a “vecchi” e “nuovi” terrorismi islamici.
    Vogliamo anche parlare della Turchia, fedelissima ora di Trump e accanita sterminatrice dei curdi ed altri oppositori ?

    Giampiero Fasoli

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