LA MARCIA DEI MIGRANTI
LA MARCIA DEI MIGRANTI
Mentre si annunciano milioni di profughi, non una sola ma più carovane di migranti sono in cammino dall’America del Sud verso gli Stati Uniti. Trump non trova di meglio che schierare le truppe e mandare contro gli stranieri altri quindicimila uomini in armi. La tragedia dell’Honduras e l’imbarazzo del Messico
Da “Mininotiziario America Latina dal basso” n. 12/2018 del 21 novembre 2018 pubblichiamo queste informazioni a cura di Aldo Zanchetta.
L’Agenzia dell’ONU per i rifugiati, la ACNUR, prevede per i prossimi decenni giganteschi movimenti migratori nel mondo (150 milioni di persone?), dovuti ai cambiamenti climatici e alle devastazioni del territorio da questi prodotti, i quali si aggiungeranno a quelli generati dalle altre cause che già conosciamo e che sono oggi in corso.
In attesa dell’ulteriore crescita degli effetti climatici, in questi giorni è possibile vedere un’anticipazione di quello che potrà essere lo scenario prossimo futuro di nuove ondate migratorie. Ne dà notizia Valentina Valle Baroz, che lavora in Messico in un collettivo di comunicazione popolare autogestita, descrivendo le nuove modalità di un fenomeno già noto, l’emigrazione di singoli o piccoli gruppi verso il nord, gli Stati Uniti, partendo dai paesi del Centro America, in particolare dal suo “triangolo nord” (Nicaragua, Honduras e El Salvador). Questa emigrazione è in atto da anni: un flusso continuo di singoli o piccoli gruppi, che lasciano i loro pueblos sempre più in mano ad anziani e bambini e che nelle ultime settimane sta assumendo forme e dimensioni nuove, tali da essere stato paragonato ad un vero e proprio esodo biblico.
Il 13 ottobre una carovana di migliaia di persone, destinata ad accrescersi lungo il tragitto, si è mossa a piedi da San Pedro Sula, in Honduras, verso gli Stati Uniti via Messico: un tragitto di circa 4.500 km.
Scrive Valentina Valle Baroz:
“Come si descrive un esodo? Come si descrive specificatamente questo esodo? Dove la gente è uscita di casa come se andasse a comprar tortillas mentre in realtà andava negli Stati Uniti. Non c’era stata, né c’è una pianificazione. Non hanno valigie, né tende per dormire, né sacchi a pelo. Non hanno niente, solo la loro esasperazione, la loro determinazione e la loro euforia, non necessariamente in quest’ordine. E capisco perché i cronisti che passano di qua, scattano una foto e se ne vanno, poi lo descrivono come una tragedia umanitaria. Quando alla fine ho raggiunto l‘esodo a Tapanatepec, nell’istmo di Oaxaca, ció che mi sono trovata davanti é stato letteralmente un tappeto di persone, buttate sull’asfalto incandescente delle tre del pomeriggio, gli occhi chiusi, le gambe gonfie, i bambini che piangevano”.
A muovere questa gente non è certo il “sogno americano” ma piuttosto l’istinto di sopravvivenza legato al miraggio di ottenere un diritto di asilo e quindi un lavoro. Erano 50mila all’anno i diritti di asilo previsti in passato negli Stati Uniti per chi poteva documentare una ragione politica. Sono ridotti a solo 20mila oggi, e in più la fame e la rabbia non sono una motivazione politica …
Leggiamo su un giornale messicano:
Il Centro America si ripartisce oggi, nel quadro del neoliberismo, fra una squallida, seppur molto arricchita, oligarchia di poche famiglie in ciascun Paese e transazionali nordamericane e europee che sfruttano fino all’esaurimento boschi, fiumi, terreni e viscere della terra (la forma più diffusa del cosiddetto estrattivismo). Si tratta di ottenere il massimo di guadagno, nella forma più economica possibile e nel minor tempo. Così gli uni e le altre privatizzano la vita e la natura a proprio vantaggio e sprofondano i popoli nella miseria che ormai non si può più definire neppure sopravvivenza. Per tutto ciò, è importante capire che nelle intenzioni di queste persone non c’è la ricerca del sogno americano perché è stato rubata loro anche la capacità di sognare. (Caravana migrante hacia EE UU. No es el sueño americano, es la pesadilla, Jesus González Pazos)
Scrive ancora Valentina Valle Baroz:
“A Tapachula (città di frontiera fra Guatemala e Messico), dove vivevo due anni fa, la situazione é assolutamente surreale, con gente rimasta accampata sul ponte fronterizo tra Messico e Guatemala, gli uffici di migrazione che scoppiano e la città mezza militarizzata. Come surreali sono anche i pronostici su come terminerà la faccenda, visto che al nord il Messico potrebbe trasformarsi in un gigantesco campo profughi, mentre al sud é rimasta gente accampata lungo tutto l’Honduras e il Guatemala, in attesa che passino altre carovane. Ad esempio ne é partita una il 30 ottobre da San Salvador e Trump dice che manda l’esercito alla frontiera visto che in Messico non si fa niente per trattenerl”i.
Un esodo non nasce dal niente, occorrono motivi straordinari, a lungo covati fino ad esplodere. Essi sono principalmente due: la fame e la violenza, quella delle maras, le violente bande di giovani e giovanissimi, nate nei ghetti degli Stati Uniti e che ora imperversano armate in tutto il Centro America, nonché la violenza della polizia, quella della stessa fame.
La marcia di migliaia di honduregni è stata come lo scoppio di una caldaia ormai sovrapressione: trenta giorni dopo, quando essa giungeva a Città del Messico, altre tre carovane, diverse per origine e composizione, erano già in marcia mentre una quinta era in formazione a Tapachula, al confine guatemalteco-messicano. Corrono voci che un’altra sia in formazione in Nicaragua. L’esca ormai ha acceso il fuoco e il fenomeno sta crescendo con tale vigore che difficilmente si smorzerà.
E’ una vera auto-organizzazione dal basso di gente esasperata, forse contraddittoria nei contenuti, ma tale da generare un inarrestabile movimento di massa. La migrazione tradizionale come singoli, o in piccoli gruppi, è divenuta troppo pericolosa e finanziariamente onerosa. Pericolosa a causa dei narcos, che uccidono, sequestrano e obbligano i migranti a trasformarsi in vettori e spacciatori. Una tragica collezione di fosse comuni raccoglie i resti di chi si è rifiutato o la cui famiglia non è stata in grado di trovare altri soldi per il riscatto, oltre a quelli già racimolati per il viaggio. E in quanto a taglieggiamento, tanto la polizia come gli ufficiali di migrazione messicani non sono da meno. Per le donne, poi, la violenza sessuale più che un rischio è una certezza. Le ragazze in marcia dal Centro al Nord America viaggiano con anticoncezionali e abortivi per prevenire le gravidanze generate dagli stupri.
In un gruppo numeroso è più facile difendersi. E la marcia di una folta schiera assume una forza di impatto ed una dimensione politica concreta. “Fermateli alla frontiera sud” aveva intimato Trump al governo messicano, riferendosi alla prima carovana. Ma non è stato possibile: fermarli avrebbe comportato una carneficina intollerabile per l’opinione pubblica internazionale, che si sarebbe svegliata da un torpore indifferente: tanti morti sono una notizia sulla quale i media si sarebbero gettati e molta gente si sarebbe indignata, prima di distrarsi nuovamente.
Sempre Valentina Valle Baroz, riferendosi alla prima carovana che un giorno forse verrà chiamata <<la madre di tutte le carovane migranti>>, scrive:
“La stampa internazionale, le organizzazioni dei diritti umani, l’ONU e i governi del mondo si sono voltati a guardare il piccolo Paese centroamericano l’Honduras, territorio che detiene il primato nel mondo di omicidi, femminicidi, sequestri e estorsioni, come dell’esproprio violento di terre e di neo-estrattivismi. Hanno guardato l’Honduras, ma continuano a non vederlo. Le e gli honduregni da decenni allertano la comunità internazionale sulla situazione di gravità estrema che si vive nel Paese; l’esodo degli emigranti è solo l’ultima di una serie di proteste che hanno come finalità modificare l’orientamento della politica neoliberista del presidente nuovamente imposto con la frode, Juan Orlando Hernández”.
In questi giorni in Honduras si sta svolgendo il processo per l’assassinio della leader del popolo indigeno lenka, Berta Caceres, avvenuto il 2 marzo 2016: nessuna garanzia per la difesa, sul banco degli imputati assenti i veri mandanti.
Il leader aymara Tupac Katari in Bolivia, prima di essere squartato da 4 cavalli legati agli arti e frustati in direzioni opposte, aveva gridato ai suoi aguzzini spagnoli: “Tornerò, e saremo milioni” (La Paz – 1781)
Tornando all’ingresso della prima carovana in Messico, il governo uscente di Peña Nieto (cederà le redini a Lopéz Obrador il primo di dicembre), impossibilitato a fermare fisicamente questa colonna umana, ha cercato di ubbidire agli ordini ricevuti con una offerta umanitaria, il progetto “Estás en tu casa” (“Sei a casa tua”), una offerta di accoglienza e di (improbabile) lavoro in Messico. Ad una condizione: “tu casa” deve essere in Chiapas o a Oaxaca, due Stati poveri del sud, dove il lavoro è miraggio e da dove l’emigrazione verso gli States a sua volta è intensa. Solo pochi marciatori, forse già debilitati da questa prima parte del viaggio, hanno accettato. La maggioranza ha rifiutato: l’obiettivo è più a nord.
Così la parte più avanzata della colonna sta giungendo al muro fronterizo che oggi blocca l’ingresso negli Stati Uniti. Già vi sono giunti di rinforzo circa 5.000 componenti della Guardia Nazionale ed è stato anche annunciato l’invio di 15mila militari.
L’attenzione del mondo così si concentrerà di nuovo sulla carovana e sull’impetuoso e impietoso presidente statunitense e sui suoi ignobili improperi.
L’attenzione in Italia è stata finora minima. Il numero del 9 novembre di 7-sette, il supplemento del mercoledì del Corriere della sera, con un titolo anodino -“Possiamo entrare?”- affronta il drammatico problema delle molte migrazioni con tre servizi intitolati “La carovana dei disperati non si ferma”, “Tra Bosnia e Croazia the game non è un gioco”, riferito al cosiddetto “corridoio balcanico”, “L’Europa finisce aa Agadez” (sulla nuova frontiera sud dell’Europa in Africa, il Niger. Ma perché accade tutto questo? Cosa c’è alle origini di queste incredibili lunghe marce? Valentina Valle Baroz si è raccomandata: se scrivete qualcosa, concentratevi sui motivi, senza di che non è possibile capire niente.
A.Z.