LA VERITÀ NON SI CONSERVA IN NAFTALINA
Il progresso nella dottrina
LA VERITÀ NON SI CONSERVA IN NAFTALINA
La nuova vitalità dell’annuncio di fede nel magistero di papa Francesco. Una prova recente dell’evoluzione dottrinale sta nella nuova valutazione della pena di morte sia da parte dei papi che del popolo fedele. Oggi è chiaro che essa è disumana e inammissibile e proprio questo, correggendosi, deve dire ora anche il Catechismo della Chiesa Cattolica
Carlo Molari
In questi ultimi tempi papa Francesco è tornato più volte a riflettere sul cammino della verità e del suo sviluppo nella storia. Senza dubbi la sua è una prospettiva evolutiva. Conservare il deposito non significa mantenere le formule e le dottrine come sono state espresse nel passato, ma richiede lo sviluppo di tutte le virtualità contenute negli eventi a cui le formule si riferiscono. Il processo si realizza acquisendo nuovi dati che implicano o la correzione degli errori precedenti, o il loro coordinamento con una consapevolezza nuova. Anche la specie umana, infatti è in evoluzione. I soggetti attraverso i rapporti e le esperienze cambiano modi di pensare e rinnovano prospettive, diventando così capaci di profondi cambiamenti culturali e spirituali.
Papa Francesco è tornato sull’argomento in un articolato discorso al Convegno organizzato nel 25° anniversario della Costituzione Fidei depositum di Giovanni Paolo II (11 ottobre 1992), con la quale veniva pubblicato il Catechismo della Chiesa cattolica (Ccc). Al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione ha ricordato che « la Costituzione Fidei depositum introducendo il Catechismo stabiliva anche l’orizzonte del suo dinamismo: “Esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa. È anche necessario che aiuti a illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi. … Il Catechismo comprenderà quindi cose nuove e cose antiche (Cf Mt 13,52), poiché la fede è sempre la stessa e insieme è sorgente di luci sempre nuove”».
In questa prospettiva papa Francesco ha sviluppato una riflessione sull’evoluzione della dottrina partendo dalla Costituzione dogmatica del Vaticano II Dei Verbum che ha detto: «la Chiesa nella dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che crede» (Dv n. 8 Ev 1, 882). «La Parola di Dio (commenta il Papa) non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare. Solo una visione parziale può pensare il ‘deposito della fede’ come qualcosa di statico. Lo Spirito Santo continua a parlare alla Chiesa e per farla progredire con entusiasmo occorre mettersi in religioso ascolto». «Questa legge del progresso, secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins: ‘annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate’ (si consolidi negli anni, si dilati nel tempo, si sublimi con l’età, Commonitorium 23.9: Pl 50), appartiene a una peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina».
La dottrina relativa alla pena di morte
Come esempio concreto il Papa si è richiamato alla dottrina relativa alla pena di morte, che richiede un cambiamento dello stesso catechismo, anche nella sua ultima formulazione. Nella edizione del 1992, infatti, il paragrafo 2266 diceva: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte». L’edizione del 1997 precisava: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti’ (Ev, 56)» (Ccc 2267).
Il Compendio del Catechismo pubblicato da Benedetto XVI nel 2002 al n. 469 riassumeva: «La pena inflitta deve essere proporzionata alla gravità del delitto. Oggi, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere il crimine rendendo inoffensivo il colpevole, i casi di assoluta necessità di pena di morte sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti. Quando i mezzi incruenti sono sufficienti, l’autorità si limiterà a questi mezzi, perché questi corrispondono meglio alle condizioni concrete del bene comune, sono più conformi alla dignità della persona e non tolgono definitivamente al colpevole la possibilità di redimersi».
Nel frattempo Giovanni Paolo II nel messaggio di Natale 1998, auspicando la crescita del consenso sulle misure in favore dell’uomo, aveva indicato tra le più significative quella di «bandire la pena di morte» (L’Osservatore Romano, 28-29 dicembre 1998, p. 7). Trovandosi negli USA un mese dopo ha ripetuto l’auspicio e la richiesta: «La dignità della vita umana non deve essere mai negata, nemmeno a chi ha fatto del grande male. La società moderna possiede gli strumenti per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di ravvedersi. Rinnovo quindi l’appello… per abolire la pena di morte, che è crudele e inutile» (L’Osservatore Romano, 29 gennaio 1999, p. 4).
Papa Francesco oggi richiama sia il «progresso della dottrina da parte degli ultimi pontefici», sia la «consapevolezza mutata del popolo cristiano che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana» e conclude con decisione: essa è «inammissibile». «Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in se stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, ‘neppure l’omicida perde la sua dignità personale’ (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015), perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità».
Anche lo Stato pontificio più legalista che cristiano
In passato il ricorso a questo «estremo e disumano rimedio» è apparso, in mancanza di maturità sociale e strumenti di difesa «una conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere»; anche nello Stato Pontificio si è spesso utilizzato «trascurando il primato della misericordia sulla giustizia». «Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale ci renderebbe più colpevoli». Il Papa ha precisato che non c’è contraddizione con il passato perché la Chiesa ha sempre difeso la vita umana dall’inizio fino alla morte naturale; «è lo sviluppo armonico della dottrina» che esige di lasciare cadere gli argomenti «contrari alla nuova comprensione della realtà». «In questo circolo virtuoso il dialogo svela la verità e la verità si nutre di dialogo. L’ascolto attento, il silenzio rispettoso, l’empatia sincera, l’autentico metterci a disposizione dello straniero e dell’altro, sono virtù essenziali da coltivare e trasmettere nel mondo di oggi». Ma «tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento» «dev’essere orientata alla carità che non avrà mai fine»: «sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore». Come dice Paolo «agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa» (Ef 4,25).
La formula «agendo secondo verità» potrebbe anche essere tradotta «cercando la verità nell’amore» oppure «operando la verità nell’amore»: il termine greco, infatti, è la stessa parola ‘verità’ coniugata come verbo come se in italiano si potesse dire: «veritando» l’esistenza nella carità, per esprimere l’idea che l’amore invera sempre l’esistenza.
Carlo Molari
da “Rocca” n. 22 del 15 novembre 2017