L’ACIDO IN FACCIA
L’amore non è geloso. La Chiesa condanna il falso amore che è possesso e dominio, ma nella tradizionale concezione giuridica del matrimonio parla di uno ius in corpus, cioè di un diritto sul corpo del coniuge
Enrico Peyretti
Che cosa significa l’acido in faccia alla donna che non ti ama più? Significa: «La tua bellezza o è mia o di nessuno». Significa anche: «Non ti ammazzo, ma ti distruggo la faccia, così ti vergognerai di portarla in giro, ti dovrai nascondere, sarà peggio che non esistere, farai paura ai bambini, non sarai più tu». E significa anche: «Mi piaceva la tua bellezza che ora mi neghi, e la tua bellezza non ci sarà più. O è mia o non sarà più nemmeno tua». È addirittura, forse, qualcosa di più che dare la morte: è togliere bellezza alla vita. «Vivrai brutta, deforme». Se l’amore è prendere il bello, quando l’amore finisce per lei, non rimane che prendere definitivamente quel bello per distruggerlo. Come il bambino rompe il giocattolo pur di non darlo al compagno. Se la persona è apparenza, sfigurare l’apparenza è distruggere la persona (e come reato costerà una pena minore dell’uccidere: in un caso è costato 15 mesi).
Papa Francesco ha scritto l’11 giugno a Filomena Lamberti , una vittima di questo delitto:«Le chiedo scusa e prego per lei, affinché il coraggio che le ha ridonato singolare bellezza diventi uno schiaffo all’indifferenza» (La Stampa, 26 novembre).
Filomena ha avuto il coraggio, come alcune altre vittime, di mostrarsi in tv, e ha scritto un libro in cui dice: «Avevo 16 anni quando ho incontrato quello che pensavo essere l’amore della mia vita. In quel momento, la gelosia e le proibizioni mi sembravano normali, pensavo che fosse amore. In realtà era solo l’inizio del possesso».
Il possesso, appunto. Se l’amore è possesso, è già offesa e violenza. Amare è dare, non prendere. È reciprocità, non disparità. La chiesa, come molte religioni, condanna il falso amore che è possesso e dominio, cioè violenza, ma, nella tradizionale concezione giuridica del matrimonio, parla di ius in corpus, diritto sul corpo del coniuge. È vero che è definito come diritto reciproco, ma è un concetto pericoloso, che sa troppo di proprietà esclusiva. Un concetto che, inteso facilmente male, porta diritto all’ideologia della proprietà arbitraria, non all’incontro personale, rispettoso della dignità e libertà. Certo, nella coppia che si ama, sono essenziali fedeltà di vita, cura reciproca, paziente attento dialogo, ma atti come l’acido in faccia sono l’esplosione di un’idea facilmente sottintesa nella tradizionale istituzione del matrimonio, dove la donna conta come oggetto, perché bella, perché sottomessa. Di questo, anche la morale cattolica, fin qui legata a schemi giuridici doveristici, e alla sospettosa sessuofobia, più che a promozione di vero bene, ha qualche responsabilità, in quanto resiste alla maturazione seria della sensibilità comune. Questa, a sua volta, in una dominante cultura dell’apparenza e del successo, ha la responsabilità di ridurre il rapporto personale all’utilizzo. I più deboli e miserabili degli uomini rovesciano questa mentalità nella distruzione della bellezza libera. Le donne libere e coraggiose, vittime dirette o indirette, meritano tutto il sostegno, nel pensiero e nella prassi, degli uomini che riconoscono la bellezza, dei volti come degli animi, per salvare la dignità di tutti.
Enrico Peyretti