LE RIVOLUZIONI MAL RIUSCITE: IL NO È REAZIONARIO UN ALTRO SI È POSSIBILE
LE RIVOLUZIONI MAL RIUSCITE: IL NO È REAZIONARIO UN ALTRO SI È POSSIBILE
L’inversione tra l’unificazione politica e quella monetaria ha cambiato Costituzione e sovrano. Ma la politica è invenzione del nuovo
Raniero La Valle all’ ANPI di Ozzano Emilia il 1 febbraio 2018
Sul rapporto tra Costituzione Italiana e Trattati europei pubblichiamo una relazione tenuta da Raniero La Valle il 1 febbraio 2018 all’ANPI di Ozzano Emilia.
Voi avete posto un problema molto serio: quello della compatibilità tra la Costituzione italiana e i Trattati europei.
Il discorso potrebbe essere molto complesso ma intanto bastino due cose:
L’art. 3 della Costituzione della Repubblica dice al secondo comma:
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Sono solo tre righe. Ma in forza di queste tre righe lo Stato, nelle sue varie articolazioni anche di autonomie locali, può e ha il dovere di fare tutto ciò che è necessario per promuovere e rendere effettive, nonostante gli ostacoli che “di fatto” li impediscono, la libertà, l’eguaglianza e il pieno sviluppo della persona umana dei cittadini.
Invece i due Trattati europei – il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (come modificati e “consolidati” dal Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009) sono 400 pagine che irretiscono completamente l’operato dello Stato e l’attività della sfera pubblica.
Ma se poi entriamo nel merito vediamo che tre righe dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione rovesciano completamente il dettato dell’art. 3 della Costituzione perché dicono:
Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza[1].
Ora, questa contraddizione tra due testi normativi entrambi vincolanti per noi non è tale che si possa risolvere con l’ermeneutica giuridica, con quel lavoro di interpretazione che pur fa miracoli nella giurisprudenza. Infatti è una contraddizione tra due ordinamenti, e un ordinamento non è una cosa astratta, vuol dire popoli e persone concrete, destini, famiglie, modi di vita: tutto è in gioco.
Apparentemente non c’è soluzione. E quando due realtà sono incompatibili, di primo acchito la soluzione sembra essere quella di negare l’una e affermare l’altra. In tal caso la soluzione si esprimerebbe attraverso un NO: NO euro, NO Europa.
Ma c’è un problema, anzi ce ne sono due.
Il primo è che ciò non è politicamente possibile.
Il secondo corrisponde a una ragione ancora più profonda: questo NO sarebbe reazionario, controrivoluzionario. Perché la rivoluzione c’è stata. È stata fatta male, hanno vinto i peggiori, ma intanto la rivoluzione c’è stata e non si può tornare indietro. E sarebbe reazionario farlo perché in quella rivoluzione ci sono tuttavia dei valori che non possono andare perduti.
Allora, per allargare il discorso, possiamo vedere che ci sono anche altre cose che non funzionano, e che suggerirebbero altrettanti NO, ma che non possiamo risolvere con i NO.
C’è il “NO global”, che è congiunto al “No Europe”, perché l’Europa oggi non è che un segmento della globalizzazione. Poi ci sarebbe il NO TAV, che è il NO a una tecnologia che invece di migliorare la vita la peggiora, è devastante: e non solo perché inquina la terra, ma perché distrugge lavoro. Di qui la tentazione di dire No anche alla tecnologia. Poi c’è la tentazione del NO ai migranti, perché in questo momento i migranti rappresentano la patologia dell’Europa, che non li vuole. Dunque qui le patologie sono connesse: la patologia della globalizzazione, che li provoca, la patologia della tecnologia perché mentre questa potrebbe permettere ai migranti di venire al sicuro su navi, aerei, automobili, treni, essi devono invece venire su gommoni e su barche, per traversare il mare, galleggiando, come migliaia di anni fa, e affondando come se la tecnologia fosse rimasta ferma a quei gusci primitivi, e nulla fosse mutato negli ultimi 10.000 anni. Ma non si può dire NO ai migranti, non si può dire che “restino a casa loro”: è reazionario e controrivoluzionario.
Perciò questi 4 NO non sono possibili e non sarebbero buoni. Dunque ci vuole un’altra risposta. Ma per cercarla bisogna vedere come siamo arrivati a questa situazione per la quale Europa, mondo, tecnologia e migranti sembrano contro di noi, fino a far pensare che la soluzione possa essere NO euro, No Europe, NO global, No tecnologia, NO stranieri.
Potremmo partire da lontano. Restiamo invece più vicino, e chiediamoci che cosa ha fatto il capitalismo che ha vinto la sua partita nel 1989, cioè ha visto finire il sistema sovietico al verificarsi dell’evento della rimozione (perché fu una rimozione politica, non una “caduta”) del muro di Berlino.
Con l’89, il capitalismo ha cercato di rendere definitiva la sua vittoria:
- Prima di tutto realizzando la sua vocazione di estendersi come sistema unico fino agli ultimi confini della terra, attivando il processo di globalizzazione, realizzato mediante lo strumento della totale liberalizzazione della circolazione dei capitali, già avviata da tempo dalle politiche economiche e finanziarie dell’Occidente. La modalità della globalizzazione è stata quella di ignorare le differenze, realizzando – per usare un’espressione di papa Francesco – una sfera in cui tutti i punti sono eguali invece che un poliedro dove ogni parte del tutto resta diversa. Perciò diversi modelli economici e sociali non sono più possibili, il pensiero è unico, unica è l’egemonia, il socialismo è impensabile e il comunismo non si può “rifondare”. Ma non si può salvare nemmeno la socialdemocrazia i cui interpreti, nelle diverse situazioni politiche, pensano di salvarsi facendo i liberisti meglio dei liberali (le “lenzuolate” di privatizzazioni), non facendo altro che portare i vasi a Samo (è il caso delle sinistre in Italia).
- In secondo luogo il capitalismo pretende rendere definitiva la sua vittoria costituzionalizzando l’economia capitalistica nella sua dimensione anche finanziaria e speculativa e traducendola in un ordinamento politico. Tale è l’Unione europea che si presenta nell’art. 3 del suo Trattato istitutivo come quella che “instaura un mercato interno fortemente competitivo”, “istituisce un’unione economica e monetaria la cui moneta è l’euro”, e a cui l’art. 3 del Trattato sul suo “funzionamento” attribuisce la competenza esclusiva sulla unione doganale, sulla definizione delle regole di concorrenza, sulla politica monetaria, sulla pesca in ordine alla conservazione delle risorse biologiche del mare e sulla politica commerciale comune. Pertanto l’Europa a partire dal Trattato di Maastricht del 1992 (subito dopo la rimozione del “Muro”) e fino ad ora, si è data una Costituzione materiale (ma anche formale, benché non chiamata così) che si è sovraordinata alle Costituzioni democratiche formali dei singoli Stati. Non è esplicitamente detto, ma con l’inversione che è stata praticata tra unificazione politica e unificazione monetaria, è stato insediato come sovrano non più il popolo con i suoi rappresentanti (come vorrebbe l’art. 1 della Costituzione italiana) ma il denaro con l’euro e i suoi banchieri (“il denaro governa”, dice il papa).
- Sempre nel perseguimento della definitività (o irreversibilità) della sua vittoria, il capitalismo ha trovato nella tecnologia lo strumento per debellare il suo antagonista storico, il lavoro, non più semplicemente alienandolo, ma riducendolo al minimo, fino a sopprimerlo, con la sua sistematica sostituzione con l’automazione e con le macchine. Il lavoro che si è perduto o non c’è, è perché non è più necessario. La tecnologia digitale potrà, come si favoleggia, creare altri lavori, ma mai nella misura di compensare il lavoro umano perduto; si calcola che nei prossimi anni metà del lavoro umano oggi erogato nel mondo, verrà meno. Ora, sopprimere il lavoro umano vuol dire da un lato togliere il fondamento della Repubblica (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, art. 1 Cost.), e perciò togliere le basi dell’intero sistema delle libertà e dei diritti, e dall’altro vuol dire per il sistema economico al potere sopprimere la classe antagonista, non avere più nemici. Ma a quel punto il nemico è lui a se stesso, perché senza redditi da lavoro, senza il consumo, il capitalismo non può funzionare.
Tuttavia da queste cose non si può tornare indietro, Il pensiero che semplicemente le nega, cercando di frenarle o addirittura di rovesciarle, è un pensiero reazionario. La reazione è precisamente il reagire a un cambiamento o a una rivoluzione che si è prodotta volendo ripristinare i veri o falsi privilegi perduti. In questo senso No global, NO euro, NO Tav, NO migranti non sono possibili e, in quanto NO regressivi e impossibili, sono reazionari.
Però c’è una verità interna del pensiero reazionario che va colta, perché anch’essa è pensiero umano. E la verità interna è che globalizzazione, Europa, tecnologia, migrazioni vanno riscattate, risanate, riformate, ricondotte all’umano.
La globalizzazione nella direzione di costruire una comunità internazionale di diritto e un costituzionalismo di rango mondiale, che costituzionalizzi non l’uniformità ma le differenze in base all’endiadi: eguali e diversi.
L’Europa nella direzione di un passaggio dall’economia alla politica, con la ricostituzione di una dimensione pubblica europea che ricrei i fondamenti che la globalizzazione ha tolto, cioè il lavoro.
La tecnologia nel senso di sottrarla al regime speciale privilegiario in cui oggi è lasciata, cioè di non avere altro limite se non quello di ciò che non si riesce a fare. Come nella vita politica, nella vita morale, nella vita di relazione non tutto quello che “si può fare” è lecito fare e si fa, così nella tecnologia non tutto ciò che si può fare, per il solo fatto che possa farsi, deve essere fatto. Se si può fare un’arma totale, non si fa, se si può clonare un uomo, non si fa, se si può con un clic decidere la sorte di milioni di uomini e di popoli interi, non si fa.
L’immigrazione nel senso di riconoscerla come un diritto umano universale – lo “ius migrandi” – e di riportare nel diritto masse intere di persone che per il solo fatto di esistere, fuori dei confini in cui sarebbero cittadini, sono considerate fuori legge, trasgressori, sans papier, senza nome e senza diritti.
Ma la tecnologia suscita un altro problema. Se lei è responsabile della soppressione del lavoro, a lei si devono chiedere le risorse (i denari) per creare nuovo lavoro.
Non basta dire che ai lavoratori perduti per l’automazione nelle industrie si sostituiscono i lavoratori richiesti per i nuovi lavori dell’informatica. Non c’è proporzione tra lavori perduti e trovati.
Invece con le risorse prodotte dal lavoro delle macchine si possono creare lavori che oggi non si fanno, che non è interesse del mercato creare: la cura ecologica della terra, la conservazione e manutenzione di beni di ogni genere, culturali, materiali, edilizi, urbanistici, ecc., la prevenzione delle calamità naturali, i servizi alle persone, ecc. Questi lavori devono essere finanziati e non può che essere la mano pubblica a farlo. Pertanto il prelievo fiscale andrà fatto non solo dai redditi da lavoro, ma dal plusvalore, dal valore aggiunto prodotto sia dal lavoro umano che dalle macchine.
[1] Una deroga, che però nessuno oggi fa valere, dice che possono considerarsi compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione. Ma si potrebbe dire che oggi questa regione è tutta l’Europa!