MA VIENE IL TEMPO ED E’ QUESTO
Verso l’assemblea del 2 dicembre
MA VIENE IL TEMPO ED E’ QUESTO
Un contributo all’approfondimento del tema in programma nel prossimo incontro di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” che prende le mosse dalla lettera agli Efesini in cui si parla del passaggio da un “tempo lontano” a qualcosa che è “ora”. Molti popoli un solo Popolo
Alberto Simoni
Siamo dentro ad un processo di cambiamento d’epoca, che non è questione di giorni o di programmi: “passa infatti la figura di questo mondo!” (1Cor 3,15). E’ un po’ come la ricerca e l’attesa del Regno di Dio che viene quando meno ce l’aspettiamo, perché «non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: «Eccolo qui», oppure: «Eccolo là». Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,20-21). La tensione è tenere assieme il già e il non ancora senza sbilanciamenti o polarizzazioni.
Questo per quanto riguarda la spinta propulsiva del cambiamento. Se guardiamo la modalità di effettuazione nel tempo storico, non possiamo dimenticare che si tratta di una “conversione pastorale” nel senso alto pronosticato da Giovanni XXIII nel discorso “Gaudet mater ecclesia”. Questo vuol dire che non basta un cambiamento accessorio di dottrina, di prassi, di tecniche e di strumentazioni, ma si tratta di rigenerazione del soggetto-chiesa, sia come rigenerazione dell’esistente e sia come nuova nascita. Non sono sufficienti rifacimenti, ritocchi o perfezionamenti settoriali, ma è la stessa ragion d’essere di una chiesa che va ritrovata: la sua presenza nella storia non solo in chiave istituzionale ed universale ma come tessuto umano e sociale di rapporti.
Fatte queste premesse, un contributo di approfondimento del tema in programma – “Ma viene il tempo ed è questo” – prende le mosse da Ef 2,11-22, in cui si parla del passaggio da un “tempo lontano” a qualcosa che è “ora”: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo”. E’ da vedere quale è e come avviene questo passaggio, che non è mai definitivo ma che è destinato a ripetersi come Pasqua ed è come la nota dominante di tutti i cambiamenti possibili: è ciò da cui tutti i cambiamenti verificabili nascono o in cui si risolvono, che è poi il “sangue di Cristo”, «il mistero di Cristo » (III, 4; VI, 19) che si esprime nel vangelo e che prende forma nella chiesa, creata nel mondo e nel tempo per mezzo della incarnazione, crocefissione e ascensione di Gesù Cristo .
Il fatto da tenere presente è questo: i cristiani provenienti dal paganesimo, che un tempo non facevano parte di Israele ed erano lontani da Dio e da Cristo, ora in Cristo Gesù sono divenuti «vicini». Ciò viene spiegato col richiamo al fatto che «egli» è la nostra pace. Egli cioè è colui che ha riunito nel suo corpo i due gruppi di uomini, Ebrei e pagani, e li ha riconciliati a Dio per mezzo del suo sangue. E’ il fatto decisivo della salvezza nella «Croce».
«Il Cristo » ha fatto cadere il muro di separazione tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini con il suo divenir uomo e con ciò ha riunito in sé cielo e terra; ma ha anche ucciso l’inimicizia sulla terra, e cioè l’inimicizia tra Ebrei e pagani che è il prototipo di ogni inimicizia degli uomini tra di loro. E lo ha realizzato «attraverso la croce» e « nel suo sangue» e non soltanto con la sua venuta. L’ha fatto inoltre sopprimendo la Legge «nella sua carne», la quale legge non è l’inimicizia in sé, ma ne è il fondamento e il documento. Così egli non ha semplicemente riunito in sé le anime, ma concretamente i due gruppi umani, ebrei e pagani, in quanto in sé e nella sua carne li ha «creati in un uomo nuovo». Egli ha riunito «i due» «in un unico corpo», il «corpo di carne» (Col., I, 22) di Gesù Cristo e «conciliati con Dio».
Il problema che domina tutta l’Epistola agli Efesini, è la Chiesa in quanto formata di Ebrei e pagani. E cioè il fatto che la Chiesa ha effettivamente la sua origine nel corpo di Cristo e precisamente nel corpo crocifisso fatto di carne e di sangue del Cristo Gesù, il quale accoglie come tale in sé i salvati e li conduce a Dio. Ef 2,14-16, ci dice che l’origine della Chiesa, nel tempo e nel mondo, si trova nel corpo del Cristo Gesù in Croce, in quanto in questo corpo Ebrei e pagani furono accolti, rifondati in egual maniera e consegnati a Dio.
Questo corpo di Cristo in Croce, questo concreto corpo fatto di carne del Salvatore, che dalla Croce si erge verso il cielo, il quale in sé concede agli uomini la riconciliazione con Dio, è già potenzialmente od anche virtualmente il corpo della Chiesa fatta di Ebrei e pagani. Con il corpo del Cristo Gesù, che nel suo sacrificio ha unito gli uomini separati radicalmente da Dio e tra di loro, sussiste per principio quel corpo nel quale gli uomini hanno, davanti a Dio, un unico e nuovo essere, la Chiesa.
Il punto di forza è che sia eliminata alla radice l’inimicizia atavica, quella in nome di Dio e con Dio, in modo tale che la pace sia per quelli che erano lontani e per quelli che erano vicini. Tutto questo diventa possibile ed avviene grazie alla Croce di Cristo e al suo sangue, non come evento spirituale ed intimistico ma come fatto carnale e corporeo – la mia carne è veramente cibo ed il mio sangue veramente bevanda – “con il sangue della sua croce”. E’ quanto ci viene confermato in Col 1,19-23, dove si dice che “un tempo anche voi eravate stranieri e nemici”, ma “ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte”. C’è da prenderne atto e coscienza, prima di ogni possibile comprensione!
Ef 2,18-22 ci descrive quale è questa nuova condizione, che ci consente di “presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”. Viene da chiedersi se tutto questo è decisivo ed indicativo per il cambiamento d’epoca o rimane sullo sfondo come paradigma di ispirazione per la lotta e la resistenza contro la disgregazione umana e le forze di distruzione. Certamente la centralità del “mistero della fede” non assicura la risoluzione di tutti i problemi che ci affliggono e che ci trovano solidali, ma c’è da dire che neanche l’impegno temporale di una Chiesa in prima linea garantisce la liberazione da questi mali.
Si riaffaccia così il problema della “salvezza dell’uomo” – “per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo”. E forse proprio lo stato delle cose nel mondo e la rinnovata prospettiva di un cambiamento epocale, prima che ad una sognata liberazione storica dal male, portano ad una visione più vera del problema e a un cambiamento radicale di attitudine interiore del soggetto-chiesa. Sì, è questo soggetto che deve cambiare in primo luogo, così come è cambiato Israele, tanto che si potrebbe parlare di una “chiesa secondo la carne” ed una “chiesa secondo lo spirito”.
La legge storica di questo cambiamento (molti anni fa la chiamai “legge storica della evangelizzazione”) è inscritta nella Lettera agli Efesini, quando appunto parla della eliminazione della inimicizia e della pace non altrimenti che attraverso la riconciliazione di due o più popoli in un solo Popolo, alla maniera in cui è stato detto. Come ci dice anche la 1Pt 1,19: “Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia”. Questo porta a ripetere che la chiesa come mistero – o sacramento – altro non è che la risultante e lo strumento insieme di questa riconciliazione o pacificazione: il catalizzatore della pace tra Dio e gli uomini di buona volontà.
Questo vuol dire che essa è per sua natura duale: sia perché essenzialmente correlata alle genti e sia perché al suo interno mantiene e riflette questa dualità, così come il lievito si distingue dalla massa, pur dando forma ad un unico pane. Una Chiesa non può essere tutta massa, così come non può essere tutto lievito, come a volte purtroppo è (massa) e come purtroppo si vorrebbe che fosse (lievito).
E qui il cerchio si chiude, nel senso che torna ad essere “pastorale”: di trasformazione totale della Chiesa nel suo modo di essere al mondo e al suo interno, in quanto sacramento di salvezza in senso verticale e in senso orizzontale, tra il “già” e il “non ancora”. Molto semplicisticamente arrivo a dire che non si può essere asimmetrici e scompensati nella ricerca di un cambiamento epocale, che deve essere totale e interattivo: e se da una parte non ha più senso una chiesa-bunker in chiave strettamente “religiosa”, altrettanto irrilevante sarebbe una Chiesa che fosse significativa davanti al mondo soprattutto per le sue opere.
Ma tutto questo è già detto da tempo in 1Cor 1,22-25: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”.
Forse sarebbe necessario riattivare questa potenza e sapienza di Dio non altrimenti che “con la stoltezza della predicazione”, con la quale “è piaciuto a Dio salvare i credenti”. Questo ci porterebbe a parlare anche di noi e della nostra situazione all’interno dell’Ordine dei Predicatori: ma a chi e con chi? In ogni caso proprio lo strumento-predicazione potrebbe fare da ago della bilancia tra il mondo dei semplici “praticanti” e il mondo dei credenti più illuminati, perché sia la Chiesa intera nel suo insieme a rapportarsi col mondo di tutti.
Alberto B.Simoni, domenicano
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Questo sembra il tempo nuovo che la Chiesa ripartita dal Concilio e fatta scendere in strada da Francesco ha oggi il compito di annunciare e di far accadere. Si, le cose del mondo vanno male: Ma . Si, i tempi sembrano brutti: Ne viene un altro. Si, ma quando mai sara questo tempo? E questo. Come dice Gesu alla donna samaritana, indicando il momento e la sostanza della svolta: Ma e venuto il tempo, ed e questo, in cui i veri adoratori non lo faranno su questo monte o a Gerusalemme ma adoreranno il Padre in spirito e verita .