NAPOLEONI: NON AVREI MAI FATTO RICERCA SE NON SPINTO DA UN INTERESSE POLITICO
NAPOLEONI: NON AVREI MAI FATTO RICERCA SE NON SPINTO DA UN INTERESSE POLITICO
La politica concepita come uno strumento di liberazione. La contraddizione di una politica non più capace di prendere su di sé il destino dell’uomo e di salvare la Terra. Di qui la domanda se solo un Dio ci può salvare. La risposta oggi possibile
di Raniero La Valle
Si è tenuto a Biella il 12 ottobre 2019 un Convegno dal titolo “Cercate ancora” per verificare l’attualità del pensiero dell’economista Claudio Napoleoni a trent’anni dalla sua morte, avvenuta il 31 luglio 1988 ad Andorno Micca. Hanno contribuito al dibattito i professori Riccardo Bellofiore e Federico Avanzini, il politico Fausto Bertinotti, nonché Marco Sansoè e Raniero La Valle. Quello che segue è l’intervento pronunziato da quest’ultimo in tale occasione.
Ognuno ha raccontato il suo Napoleoni. Ed io lo confronto col mio. Per me venire a Biella per ricordare Claudio Napoleoni trent’anni dopo la sua morte non è una cosa innocua e indolore, non può trattarsi solo di una commemorazione né di un’operazione ricostruttrice del suo pensiero, che altri hanno fatto e possono fare ben meglio di me.
Io non posso che ripartire da quel giorno di oltre tre decenni fa, quando ad Andorno Micca partecipammo con padre Balducci alla messa di commiato attorno al suo letto, e alla fine lui disse, salutandoci: “e adesso andiamo a vedere come stanno le cose”. Così si rivelò la sua coerenza: anche la morte era per lui un momento della sua ricerca, quella ricerca indefessa qui ricordata, in premessa, da Marco Sansoè; e forse ancora di più era un’occasione per trovare una risposta al problema che lo assillava e a cui non aveva dato soluzione, una risposta che aveva cercato, che aveva ritenuto quanto mai necessaria ed urgente, ma che non aveva trovato.
La sua vita si è spenta infatti su una contraddizione non tolta. Egli aveva rivendicato l’autonomia della categoria della contraddizione, contro la pervasività della dialettica hegeliana e marxista; non tutto infatti si può risolvere con la dialettica; essa, con il suo sistema triadico, non sempre funziona; in ogni pensiero che si riferisca a realtà prodotte dall’uomo, diceva Napoleoni, la contraddizione può non contenere in se stessa il proprio superamento come necessario, la contraddizione può rimanere non tolta .
La contraddizione non tolta su cui egli stava giocando la sua vita, era che da un lato aveva fatto non della conoscenza ma della politica il luogo in cui stare per dare una risposta al problema dell’uomo e del suo destino: “Io non avrei in vita mia affrontato mai una questione teoretica se non fossi stato spinto a farlo da un interesse politico”, disse nell’ottobre 1986 al Convegno di Cortona promosso dalla rivista Bozze 86 “per un’uscita dal sistema di dominio e di guerra”. E aggiunse: “E posso dire, anzi arrischio a dire, che questa forza che ha avuto la politica come luogo in cui stare e da cui parlare, è naturalmente derivata dal fatto che la politica era qui concepita come lo strumento di una liberazione”; era concepita, come dirà in un altro momento, non come un insieme di azioni relative a problemi singoli e determinati, ma come avente “un obiettivo generale e comprensivo, che si riferisce cioè al destino dell’uomo e non a suoi particolari problemi”, o come l’operazione che affronta tali problemi dell’uomo “all’interno di una visione di quello che può essere concepito come il suo destino” . Ma, d’altro canto, la politica gli si mostrava ormai come strutturalmente incapace di dare questa risposta, cioè di bastare al compito della liberazione dell’essere umano e della stessa conservazione della terra, minacciata in molteplici modi: allora non si parlava ancora della catastrofe ecologica, ma del possibile olocausto nucleare. In ogni caso si trattava ormai di una questione di vita o di morte, perché il corso storico a suo giudizio era arrivato ben oltre la soglia di quell’alienazione comportata dal modo di produzione capitalista, analizzata da Marx, onde già l’uomo era perduto. Ben di più il corso storico aveva portato all’eccesso una ben più radicale espropriazione dell’umano, che Marx non aveva visto, che non era specifica della società borghese, ma veniva da lontano, e che consisteva nella perdita dell’essere umano come soggetto e nella instaurazione del dominio dell’oggetto sul soggetto e delle cose sull’uomo, non importa se proletario o padrone; ciò che nella società tecnologica si era aggravato, mettendo l’uomo in balia di una tecnica non avente altro fine che se stessa e ormai capace di assoggettare il mondo a un dominio incondizionato e di distruggere la terra .
Da questa contraddizione non tolta tra il compito necessario e l’impotenza della politica, nasceva la sua ultima domanda, quella che è stata chiamata la sua interrogazione teologica, che era quella stessa di Heidegger, se ormai solo un Dio ci potesse salvare . Ma questa domanda apriva un’altra contraddizione nel cuore della modernità, o meglio un’antitesi: o la laicità intesa dalla modernità come esclusione di Dio poteva bastare alla salvezza – e questa era stata la tesi del pur cattolico Rodano – oppure andava cambiata la tesi, un’uscita puramente politica e laica dalla crisi non era possibile, e Dio doveva essere richiamato dal suo esilio.
Napoleoni dà per fallito il tentativo di Rodano di salvare insieme laicità e cristianesimo nel segno di una natura buona e finita, e pensa che occorra aprirsi a una nuova religiosità, occorra disporsi non solo personalmente ma anche collettivamente a un nuovo incontro con Dio, a una nuova “cooperazione” con lui, ma vede come questo sia irrealistico per la modernità, o addirittura impossibile .
È su questa questione irrisolta che si è conclusa la sua vita, lasciandoci però un’eredità e un compito che io, nel titolo al libro in cui ho raccolto i suoi ultimi scritti, ho riassunto nel monito: “cercate ancora”.
Che cosa possiamo dire ora, dopo trent’anni, se ci interroghiamo anche noi su “come stanno le cose”, intendendo però le cose che Napoleoni ha lasciato quaggiù?
Io credo che in questi 30 anni molte cose si sono chiarite e proprio rispetto alla questione posta da Napoleoni le cose sono cambiate fino al punto da riaprire in termini nuovi il problema del rapporto tra laicità e modernità.
C’era una ragione precisa per la quale il problema posto da Rodano e da Napoleoni non poteva avere risposta. Infatti sia la soluzione proposta da Rodano – una laicità senza ateismo – sia la soluzione cercata da Napoleoni – una disponibilità al divino a prescindere dalla laicità – erano impossibili. La prima, quella di Rodano – la natura basta a salvarci – era impossibile perché nel sistema teologico del cristianesimo del tempo era considerata pelagiana, e perciò incompatibile con la religione; la seconda, quella di Napoleoni, era impossibile perché egli col cristianesimo di cui disponeva in base alla sua formazione non era in grado di concepire una perfetta laicità abitata dal divino. Eppure, in contrasto a ciò il punto fermo era – ed è – che dalla laicità non si può tornare indietro.
La ragione per cui dalla laicità non si può tornare indietro, come spiegava il teologo Giuseppe Ruggieri, rispondendo a Napoleoni, stava nella ragione stessa per cui la laicità è nata, per cui se ne era prodotta la storica necessità . La laicità nasce non per un presupposto ateo della modernità e dell’illuminismo, che ora è dato per scontato ma non era stato affatto così, anzi cristiani furono i loro iniziatori, e i due secoli che precedono l’illuminismo furono secoli cristiani come argomenta il filosofo Massimo Borghesi nel suo ultimo libro “Ateismo e modernità” ; la laicità atea nasce invece con le guerre di religione quando né la Sacra Scrittura né la fede rendono possibile l’unità del mondo diviso tra principi cristiani e non cristiani e anzi esse diventano motivo di guerra. Nel XVI secolo non solo la cristianità si contrappone agli “infedeli” com’era avvenuto in passato, ma diventa causa di divisione tra i cristiani stessi e proprio le Chiese diventano causa dell’impossibilità del riferimento a Dio per fare la pace sociale e costruire la modernità nascente. Perciò il riferimento a Dio viene messo tra parentesi ed escluso, e sostituito dalla ragione laica e dal Leviatano statale. Scrive Ruggieri: “proprio perché la Chiesa tardo-medievale non seppe mostrare la effettiva universalità della ‘grazia’ cristiana, questa grazia fu estromessa dall’esperienza comune e divenne quindi esperienza particolare e privata”. E così sarà, egli aggiunge, finché la Chiesa facendo del cristianesimo il codice universale e vincolante dell’umano non avrà “la magnanimità necessaria ad accogliere veramente l’umano in tutta la sua varietà e la sua crescita”. Cioè, possiamo dire noi, la laicità come esclusione di Dio sussisterà finché la Chiesa resterà chiusa nel regime di cristianità e predicherà un Dio della divisione e dell’esclusione, il Dio che scomunica. Questa è dunque la contraddizione non tolta, tra la laicità necessaria e il drammatico appello a una nuova relazione con Dio.
Ma appunto qualcosa è successo. Nel riprendere in mano i testi di quel dibattito nel libro “Cercate ancora”, mi è venuto sott’occhio un sottotitolo delle ultime pagine della mia introduzione. Esso dice: “la laicità di Francesco” come ad indicare una via attraverso la quale una laicità senza ateismo e un nuovo incontro con Dio senza uscire dalla laicità fossero possibili.
Il Francesco a cui faceva riferimento quello scritto del 1990 era ovviamente Francesco d’Assisi. Ma oggi si può leggere con altri occhi e dire che quel Francesco grazie al quale si può forse risanare la ferita dell’esclusione moderna di Dio e grazie al quale il dilemma di Napoleoni sulla non autosufficienza della politica può trovare risposta è il Francesco papa, nel frattempo sopravvenuto.
Papa Francesco, rimettendo in corsa nella Chiesa il Concilio Vaticano II, licenzia infatti risolutamente il regime di cristianità, chiude l’età costantiniana o teodosiana, riconosce le molte radici dell’Europa a cui la Chiesa non impone più il suo marchio di fabbrica ma piuttosto lava i piedi, dichiara che il proselitismo non è cristiano e anzi è “una peste” e giudica un’ingerenza il controllo delle coscienze, finora rivendicato dalle Chiese, annunzia non il Dio del giudizio ma il Dio della misericordia e ristabilisce l’universalità della grazia. E sulla base della novità di questo annuncio Francesco, sulla scia della grande Tradizione, chiama Dio ad operare nella storia non attraverso la via del miracolo, del Deus ex machina, del Dio tappabuchi, ma attraverso la storia laica e profana degli uomini amati da lui, nella quale egli stesso mediante l’Incarnazione si è incorporato nel Figlio. Allora anche Napoleoni può non essere “inattuale” – come si è detto di lui – se “il Dio che ci può salvare” appare sotto le forme di quella “causazione ideale” che nel suo pensiero era uno dei fattori del processo storico e alla quale anche papa Giovanni XXIII faceva riferimento un mese prima dell’apertura del Concilio, quando diceva che “nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo a un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa (il corsivo è nostro), si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi”.
Naturalmente questo è solo il titolo del capitolo che ora si è aperto: esso ancora è tutto da scrivere, ancora tutto deve accadere. Ma ad esempio il segno potente del Sinodo per l’Amazzonia che oggi è in corso, il quale non prende su di sé solamente la cura della Chiesa di quell’area geografica, ma prende su di sé la responsabilità della terra e chiama all’impegno di una “ecologia integrale” i popoli indigeni, i movimenti popolari e tutti gli abitanti della terra, è espressivo della profondità e radicalità del cambiamento che è in corso. E vorrei aggiungere due indizi. Qualche mese fa il Manifesto che si qualifica come quotidiano comunista, e comunque si rifà a quella cultura, ha pubblicato un libro il cui autore è papa Bergoglio e i testi sono i suoi tre discorsi programmatici ai movimenti popolari. È sempre successo che la cultura comunista mostrasse interesse e magari anche cercasse di usare ai suoi fini le posizioni considerate progressiste e avanzate del cristianesimo e della Chiesa, ma non era mai successo che un soggetto ufficialmente comunista si facesse direttamente eco e tramite del compiuto pensiero di un papa. Ciò vuol dire che al di là di ogni possibile sospetto di strumentalizzazione la riserva avanzata dal pensiero ateo nei confronti della religione intesa come oppio dei popoli e fiore che orna le loro catene è caduta, il che rappresenta un bell’incontro tra laicità e religione. E il secondo indizio è che l’enciclica Laudato Sì ha trovato, insieme a molta opposizione cattolica, un grande ascolto e coinvolgimento proprio nel mondo laico e progressista: a Milano è nata un’associazione “Laudato Sì” che raccoglie un amplissimo arco di forze e mira a tradurre in decisioni politiche le istanze di ecologia integrale espresse nell’enciclica, arco di forze tra cui i credenti sono solo una piccola parte.
Questo vuol dire che quei problemi che animarono il dibattito di quegli anni lontani non furono posti invano, e forse vuol dire che le due strade, quella della salvezza che viene dal mondo e quella della salvezza oggetto della promessa di Dio possono incontrarsi, possono diventare una salvezza sola, che la via percorsa da Franco Rodano e quella cercata da Claudio Napoleoni nella sua critica a Rodano possono alfine incontrarsi e svelare la risposta che ancora dovevamo cercare; può voler dire che quell’incontro tra fede e politica sinistrato nel regime di cristianità e irrealizzato nel cosiddetto pensiero sociale cristiano, si può forse ora realizzare nel pensiero della fine, non quella delle cose ultime, ma penultime.
Naturalmente è solo un inizio, ignota è la fine. Ma di questo inizio, io credo che Claudio Napoleoni se fosse stato qui si sarebbe accorto e gli avrebbe aperto la strada.
Raniero La Valle