Newsletter n. 6 del 31.03.2017

31 Marzo 2017 / Editore / newsletter / 0 Comment
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Newsletter n° 6 del 31 marzo 2017

Gentili amici,

il sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it pubblica questo articolo dello storico Alberto Melloni sul significato della decisione di papa Francesco di sentire i fedeli per la scelta del nuovo vicario di Roma:

“La decisione di papa Francesco di aprire una consultazione per la scelta del vicario di Roma è stata salutata da una salve di banalità: le primarie del vicario, la democrazia pontificia, sono solo alcune delle definizioni minimizzanti di questa decisione che si iscrive in uno stile peculiare di Bergoglio.

È, il suo, uno stile che molto risente della lezione di padre Arrupe e della linea o utopia della riforma a norme invariate: in molti casi Francesco ha infatti espresso una pratica ripulsa della forma più tipica del governo romano, che era quello della normazione dei processi e delle decisioni. Convinto che la riforma interiore sia la sola garanzia (non il surrogato pietistico) delle riforme ecclesiali, il papa diffida degli strumenti normativi del governo: scarseggiano i chirografi, i motu proprio, le leggi, mentre in molti casi, come in questo, egli si impegna a proporre atti di riforma del governo basati tutti e solo sulla sostanza che portano.

In questo caso, dunque, il vescovo di Roma non agisce sui poteri del suo vicario e non rinuncia alle sue funzioni proprie per delegare un potere affine o ostile a reggere una diocesi di cui disinteressarsi: ma dà un “buon esempio” ai vescovi su come attivare procedure inedite di consultazione dei fedeli in materia di fede (avrebbe detto Newman). L’idea che la singolarità della funzione episcopale, infatti, si esprima in un arbitrio individuale o peggio in un bilanciamento fra fazioni, viene sconfessata seccamente da un atto che deve aver subissato la posta papale di messaggi strampalati, idee ottime, tentativi di organizzazione del consenso, politicaggini e sante ingenuità.

Lo scopo di questa consultazione, dunque, è proporre un modello della episkopé (che Francesco preferisce esprimere nel linguaggio spirituale del discernimento ignaziano): come arte dell’ascolto che non suppone certo una allocca consegna di sé ai congegni democratici e alle loro molte vulnerabilità, ma la convinzione che lo spazio della comunità cristiana sia uno spazio di libertà sperimentata da tutti.

Ma lo stile di Francesco non è solo questo: è anche lo stile di un uomo risolto e maturo che non ignora i conflitti e non sottovaluta la pesantezza istituzionale della Chiesa romana come tale. E dunque sa bene, benissimo, che la funzione di vicario di Roma è diventata da tempo un anello decisivo del potere centrale della Chiesa cattolica: non solo perché di norma insignito del cardinalato che ne fa una figura ancipite, come fosse il più curiale dei vescovi in cura d’anime e il curiale più distante dal clima e dal palazzo Vaticano. A due vicari di Roma consecutivi Giovanni Paolo II affidò la guida dell’episcopato italiano, consegnandosi e consegnando la comprensione del Paese in cui il papato tiene i piedi ad un mediatore la cui funzione soprattutto politica era stata esaltata da questo mandato fiduciario. E dunque oggi si carica di attese.

La conversione della Chiesa italiana auspicata dal papa a Firenze e affidata alla CEI nel tramonto della presidenza Bagnasco non sembra essere mai iniziata; chi vede le cose da dentro e da vicino dice che ci sono segni impercettibili di movimento; ma è probabile che non siano questi quelli che il papa si attendeva dopo il travolgente discorso di Santa Maria del Fiore del novembre 2015. Quel processo che non è nato spontaneamente oggi il papa in persona si incarica di avviarlo con diversi mezzi.

Lo fa con tre visite emblematiche, a Milano Genova e Bologna. Visite che, come si è capito a Milano, sono segnate da una denuncia molto ferma e forte di una idolatria del potere fatta di numeri di militanti e di opere danarose; denuncie molto severe sulle vere e proprie “truffe” messe in opera per garantire a piccoli circuiti una sovra-rappresentazione nell’episcopato italiano, e sulla idolatria fatta di una incapacità di comunicare il vangelo per ciò che è.

Lo fa con le nomine: quelle che ha fatto e di cui si vedrà se riescono a far entrare in terna per la presidenza della CEI un nome che il papa non senta come un atto di gentile resistenza al suo apostolato; quelle che deve fare a partire da quella di Milano in cui è facile che spiazzi le previsioni di quelle voci che sembrano “bene informate” e spesso sono solo i megafoni di ambizioni e furbizie; e lo farà con la scelta del vicario di Roma.

A mezza via dunque fra uno sforzo di rieducare alla sinodalità dal basso i vescovi e un atto di resistenza alle pressioni che lo circondano, la consultazione dei suoi fedeli per la scelta del suo vicario dice che il papa patisce certo la fatica del ministero: ma continua ad essere capace di inventare soluzioni che non richiedono cambi normativi ma che fanno sentire che la “forma della santa Chiesa romana” può essere investita dalla “forma del santo Evangelo”, almeno qualche volta. Ciò non produce meccanicamente esiti di novità: ma mette tutti davanti alla responsabilità di farsi carico in proprio di quella “novità di vita” che è il cuore della fede pasquale”.

Di seguito il sito pubblica degli appunti di Enrico Peyretti su una relazione del pastore valdese Paolo Ricca sui cinquecento anni della riforma protestante.
Nella sezione “la scelta della misericordia” si dà conto dell’insuccesso della riunione dell’ONU del 27-31 marzo a New York in vista di un’abolizione delle armi nucleari, ed è pubblicato il messaggio del papa alla Conferenza in cui si dimostra che tali armi sono oltretutto “miopi”, cioè inutili, rispetto allo stesso fine della deterrenza nucleare.

Con i più cordiali saluti

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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