Newsletter n. 32 del 08.09.2017
Newsletter n. 32 dell’8 settembre 2017
Cari amici,
mentre il papa era in volo verso la Colombia il presidente di quel Paese, Santos (premio Nobel per aver fatto un accordo con i guerriglieri delle FARC) ha detto che il capo del cosiddetto “Cartello del golfo”, un’organizzazione di narcotrafficanti con ramificazioni in Messico e negli Stati Uniti, ha annunciato di voler uscire dal sistema criminale e di arrendersi con i suoi uomini alla giustizia. Non c’è stato negoziato politico e il patrimonio illegalmente acquisito sarà riconsegnato, e anche dovranno essere rivelate le principali rotte del traffico. Non è un miracolo di papa Bergoglio e nemmeno è solo una coincidenza, ma è un successo della sua azione pontificale, che sempre più si rivela come un’azione di freno e di resistenza al dilagare delle forze della distruzione e a quanti operano per l’annientamento del diritto. Su questo significato del pontificato di Francesco si è soffermato l’intervento riportato in questo sito di Raniero La Valle ad Assisi nel quadro del convegno della Pro Civitate Christiana sul tema “Diamo futuro alla svolta profetica di Francesco”. In tale incontro, come risulta dal resoconto redatto sugli appunti di Enrico Peyretti, si è postulato un più generoso coinvolgimento della Chiesa nel dare corpo a questa profezia. E ciò a partire dalla piena consapevolezza che l’annuncio fatto oggi dalla Chiesa del Concilio e di Francesco è un annuncio nuovo, in corrispondenza del fatto che, come ha detto papa Francesco in una recente catechesi proposta ora nel sito, “il nostro Dio è il Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese”.
Nel suo ispirato discorso ai vescovi colombiani al suo arrivo a Bogotà, il papa ha detto come la Colombia abbia bisogno dello sguardo proprio dei vescovi per sostenerla nel coraggio del “primo passo” verso la pace definitiva, la riconciliazione, “il paziente e perseverante consolidamento della res publica che richiede il superamento della miseria e della diseguaglianza”.
Ma che cos’è la res publica? È limitata ai confini della Colombia o di qualsiasi altro Paese? Aveva scritto Francisco de Vitoria in una sua “relectio de Indis”, all’inizio della modernità, che “totus orbis aliquo modo est una respublica”, tutto il mondo in qualche modo è una repubblica. E ciò perché “all’inizio del mondo, quando tutto era comune era lecito a ognuno trasferirsi e muoversi in qualunque regione volesse; ora non pare che la divisione dei territori abbia annullato questo diritto, dal momento che l’intenzione dei popoli non è mai stata di abolire, con quella divisione, la comunicazione reciproca fra gli uomini. Non sarebbe lecito ai francesi proibire agli spagnoli di muoversi in Francia o anche di vivervi, né viceversa, purché questo non rechi loro danno e tanto meno faccia loro torto”. Oggi è proprio questo principio essenziale di una vera respublica mondiale che è negato e oppugnato, e dovunque, di fronte alla nuova realtà dei migranti dei rifugiati e dei profughi, col pretesto di un danno o di un torto che se ne riceva, si stanno perfezionando politiche e misure militari e poliziesche per rovesciare questo principio nel suo contrario, a cominciare ormai dall’Italia e dal suo ineffabile ministro Minniti. Ma il principio contrario al diritto universale di migrare e al dovere di riconoscere e rendere effettivi per tutti gli abitanti del pianeta i diritti umani fondamentali, è quello di respingere gli stranieri, di toglierli alla vista, di imprigionarli a casa loro, di fare in modo che essi non esistano per gli altri, cioè è il principio (“l’intenzione” come la chiama la Convenzione dell’ONU del ’48) del genocidio. Denunce fortissime sono venute in questi giorni per scongiurarlo: quella di Moni Ovadia che ha evocato la cultura di Norimberga, quella di Gino Strada, il leader di Emergency, che ha detto come “gli accordi con la Libia e il decreto del ministero dell’Interno sono niente di più e niente di meno che un atto di guerra contro i migranti”, ed ha aggiunto: “Noi siamo già oggi responsabili di diverse morti e di torture, di centinaia o migliaia di violazioni dei diritti umani e per soddisfare il nostro egoismo e le necessità di una politica di livello infimo non esitiamo a ributtare queste persone in mano a torturatori e assassini. E non potremo dire ‘non lo sapevamo’”. E non è mancata la durissima denuncia dei Medici senza frontiere, la cui presidente Liu ha scritto una lettera ai leaders europei ed anche a Gentiloni per denunciare i leaders politici che “si rallegrano perché meno persone arrivano sulle coste italiane: ma sappiamo bene quello che sta accadendo in Libia. Ecco perché questa celebrazione della riduzione delle partenze è nella migliore delle ipotesi pura ipocrisia o, nella peggiore, cinica complicità con il business criminale che riduce gli esseri umani a mercanzia nelle mani dei trafficanti. Le persone sono trattate come merci da sfruttare. Ammassate in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. Gli uomini ci hanno raccontato come a gruppi siano costretti a correre nudi nel cortile finché collassano esausti. Le donne vengono violentate e poi obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate. Tutte le persone che abbiamo incontrato avevano le lacrime agli occhi e continuavano ripetutamente a chiedere di uscire da lì. La loro disperazione è sconvolgente. La Libia è solo l’esempio più recente ed estremo di politiche migratorie europee che da diversi anni hanno come principale obiettivo quello di allontanare le persone dalla nostra vista. L’accordo UE-Turchia del 2016 e tutte le atrocità che abbiamo visto in Grecia, Francia, nei Balcani e altrove ancora indicano una prospettiva sempre più definita, fatta di frontiere chiuse e respingimenti.
“Presidente Gentiloni, permettere che esseri umani siano destinati a subire stupri, torture e schiavitù è davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare?”
Dunque è chiaro che questa sta diventando la questione centrale della politica mondiale. E se i detentori del potere – di tutti i poteri, da quello economico, a quello politico, a quello nucleare – si muovono nella presunzione che sia possibile lo svolgersi di una civiltà che includa politiche di genocidio, il compito da assumere, la resistenza da mettere in campo è quella che lotta per una civiltà senza genocidio.
Nel sito resta in evidenza il saggio di Giuseppe Ruggieri su “L’idea Europa in Erich Przywara” in quanto la riflessione sulla storia europea come storia della cristianità militante in contrapposizione ad altre religioni e popoli e sul rapporto con Dio come rapporto di “scambio” è decisiva per le nostre scelte nell’attuale momento storico.
Con i più cordiali saluti
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