Newsletter n. 39 del 10.10.2017
Gentili amici,
c’è stato un evento in questi giorni che non ha fatto rumore, mentre avrebbe dovuto sovrastare di molto il cicaleccio quotidiano della politica: il manifesto del papa (nella forma dei tre discorsi rivolti ai Movimenti Popolari nel 2014, nel 2015 e nel 2016) è diventato il manifesto del Manifesto. Il giornale che tuttora si chiama comunista, lo ha pubblicato infatti in un libro col titolo “Terra, casa, lavoro” per i tipi di Ponte alle Grazie, autore papa Francesco, e lo vende in edicola insieme al quotidiano.
Il fatto non ha attirato particolare attenzione, forse perché è stato considerato come un normale utilizzo da parte di un giornale di sinistra di posizioni avanzate prese dal papa, inteso come leader mondano, non diversamente da come i comunisti hanno sempre fatto in Italia a partire dal discorso di Togliatti a Bergamo sul “destino dell’uomo”, ai tempi di Giovanni XXIII, evento giustamente ricordato da Luciana Castellina in un articolo di commento all’iniziativa editoriale del giornale. Ma non fu solo Togliatti; bisognerebbe ricordare Berlinguer, ai tempi del glorioso compromesso storico, che lodava quella suora nicaraguense che si era impegnata nella rivoluzione sandinista. Da questo punto di vista è chiaro come la pur singolare iniziativa del Manifesto non facesse notizia: che notizia è che un giornale comunista si mostri d’accordo con un papa che invita i diseredati e gli impoveriti alla lotta, che destituisce di ogni legittimità la globalizzazione capitalista selvaggia, e che chiede un cambiamento della politica, dell’economia e della cultura per salvare la Terra votata alla distruzione dalla signoria del denaro e del profitto?
Ma in realtà la scelta del Manifesto e del gruppo editoriale Spagnol va molto al di là di questa convergenza nel merito, e prende l’aspetto di un tornante sulla via di un cambiamento d’epoca. Questa operazione mediatica in effetti non parla solo di un giornale e di una specifica cultura politica, parla della modernità in una sua dimensione essenziale, che è quella del rapporto conflittuale e irrisolto con la religione istituita e con la fede in Dio.
Pubblicare un libro di Francesco (non su Francesco) vuol dire inevitabilmente venire su questo terreno, perché con papa Francesco non si può far finta che Dio non ci sia, come ha pensato bene di fare la modernità per non farsi intercettare e bloccare nel suo cammino da una religione teocratica e invasiva; ma come ha accettato di fare anche la Chiesa, per continuare a esercitare il suo potere se non in nome del Dio escluso, in nome del diritto di natura, in nome di una “verità” che sarebbe stata solo sua, in nome di una gnosi di sua fattura.
Questo non lo si può più fare. Papa Francesco non lo si può prendere come un leader politico che dice cose sacrosante da condividere, ma di cui si può ignorare il titolo a cui le dice, il movente che le ispira e le ragioni divine, peraltro sempre esplicite, del suo parlare. Perché senza quel movente e queste ragioni quelle cose non si possono neanche comprendere, come spiega del resto ogni buona ermeneutica.
Pertanto, nel comunicare con papa Bergoglio, non si può parlare di tutto fuorché di Dio, secondo la formula della modernità, perché per lui Dio è la ragione di tutto, ed è per offrire al mondo una nuova comprensione di Dio che egli è venuto da laggiù, ha preso il pontificato e si è chiamato Francesco.
È chiaro che questo non vuol dire affatto, per entrare in sintonia con lui, dover credere nel Dio in cui lui crede; anzi, come accade a molti dei suoi interlocutori dei Movimenti Popolari, si può essere e restare fermamente atei. Quello che non è possibile è che si scorpori Bergoglio, ed anche le sue proposte antropologiche, economiche e politiche, dalla sua identità più profonda come se non se ne dovesse parlare, o fosse irrilevante. Finora la modernità laica non era preparata a fare questo, a includere nella sua intelligenza degli uomini e degli eventi il pensiero su Dio; che lo si affermasse o si negasse, egli doveva restare nel privato, nel non detto, appunto “come se non ci fosse”, secondo la celebre espressione di Grozio.
Ne aveva del resto le sue buone ragioni perché, come dice il filosofo novecentesco Edmund Husserl nel suo “L’idea di Europa”, la modernità usciva da un tempo, il Medioevo, in cui si era costituita “un’unità di cultura gerarchica” in cui la scienza era normata dalla fede, in cui la Chiesa si poneva come “una comunità sacerdotale sovranazionale organizzata in modo imperialistico, quale portatrice dell’autorità divina e organo deputato alla guida spirituale dell’umanità” mettendo ogni cosa al servizio della “cristianizzazione dell’intera cultura”. Questa però era la cristianità, non il cristianesimo. Il mondo ne è uscito, contro la Chiesa, e poi ne è uscita la Chiesa stessa, prendendone piena coscienza almeno a partire dall’ultimo Concilio; ora è papa Bergoglio che afferma ad alta voce la fine della cristianità e nei suoi ripetuti discorsi all’Europa restituisce la corona a Carlo Magno e porta la religione e la fede cristiana “in uscita” dalla cristianità, non rivendicando radici ma innescando processi. Non è affatto strano che la cultura laica faccia fatica ad accorgersene: tra i commentatori del libro di papa Francesco sul Manifesto c’è stato qualcuno che ha ripetuto che “il papa si ritiene il vicario di dio in terra”, come se avesse ancora corso legale nella Chiesa l’idolatria del papato.
È per questo che l’iniziativa editoriale del Manifesto è di straordinario valore: perché una espressione eminente della modernità – quale certamente è stata la cultura comunista – trova ora naturale veicolare papa Bergoglio nell’opinione comune con tutto il suo discorso su Dio; essa non sente più il bisogno – forse non è più necessario – trincerarsi, per non perdersi, dietro la convenzione che è stata comune a credenti e non credenti di far mostra che Dio non ci sia. Insomma la modernità, per quel tanto che in quel giornale si esprime, facendo suo il manifesto di papa Francesco accetta che Dio sia nel discorso, non pretende che ne sia messo al di fuori; certo non è nel suo discorso, ma non delegittima il discorso che lo comprende.
È secondo questa lettura che il sito chiesadituttichiesadeipoveri pubblica un commento di Raniero La Valle sull’iniziativa del Manifesto; è un articolo che, dicendo queste cose, potrebbe trovare ospitalità su diversi giornali, ma non sul Manifesto: perché pur facendo una cosa grande (ed è molto tempo che la sinistra non ne fa) esso non ne ha svelato questo vero significato; è come se, anche a sapere di averlo fatto, fosse trattenuto dall’ammetterlo, volesse farlo senza dirlo, senza mettere in luce ciò che veramente farebbe notizia.
Nel sito si dà anche conto, con un commento di Gustavo Zagrebelski, dei lavori in corso per il varo della nuova legge elettorale, che se fosse approvata in questa forma sarebbe incostituzionale e darebbe luogo a una legislatura in cui la democrazia sarebbe sospesa.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it