Newsletter n. 42 del 24.10.2017
Cari amici,
nella sezione “dicono i fatti”, il sito chiesadituttichiesadeipoveri pubblica oggi un commento sul referendum veneto di domenica scorsa dal titolo: “Uscirne da soli è Marchionne, uscirne tutti insieme è politica”.
In ambito del tutto diverso nella sezione “dicono i discepoli” il sito pubblica una “lettera aperta” di sostegno a papa Francesco, che entra nel vivo delle questioni aperte oggi nella Chiesa. La cronaca ne offre del resto continui motivi. Ha fatto sensazione per esempio la lettera del papa al cardinale Sarah, pubblicata domenica 22 ottobre, in cui Francesco, continuando nella sua opera di riforma della Chiesa in senso sinodale, conferma l’attribuzione alle conferenze episcopali, come un vero e proprio diritto, della responsabilità delle traduzioni in lingua moderna dei testi liturgici, e non più al dicastero vaticano per il Culto divino, di cui Sarah è il prefetto. Ci troviamo qui di fronte a un processo autocritico della Chiesa, a cui è dedicato l’articolo di Andrea Grillo “Autocritica del magistero e riforma della Chiesa”.
C’è poi il caso del blog dell’Espresso che pubblica continuamente attacchi talebani contro papa Francesco. Esso ha accusato il papa di citare la Bibbia in modo selettivo, insistendo sulla misericordia, la vita, la grazia e il perdono, e oscurando i passi che annunciano la severità, la morte, la condanna e l’inferno. La sponda culturale da cui muove questa critica è quella di una lettura fondamentalista della sacra pagina, che la Pontificia Commissione Biblica, nel 1993, definì come un’istigazione a “un suicidio del pensiero”; e il cardinale Muller, teologo assai amato dai conservatori, pubblicò nel 2014 il documento della Commissione Teologica Internazionale sul “monoteismo cristiano contro la violenza”, in cui si affermava che la concezione di un Dio violento era il frutto di un fraintendimento della sua figura, quale si trova anche in molte pagine della Scrittura, “che rimangono anche per noi credenti molto impressionanti e molto difficili da decifrare”, gravide come sono degli stereotipi culturali del tempo in cui furono scritte, come gli stereotipi della “prova”, della “collera” e del “giudizio” di Dio, poi meglio configurati e compresi in “un processo di purificazione della fede nella Parola di Dio”.
E’ proprio quello che ha fatto Gesù, il cui insegnamento è spesso preceduto dal “ma io vi dico”. E se papa Francesco nella predicazione della Scrittura privilegia quell’annuncio della salvezza che meglio interpreta la promessa messianica, e lo fa “in quel modo che la nostra età esige” (come papa Giovanni chiese di fare alla Chiesa convocata in Concilio) evitando di ripetere ciò che, venendo da una vecchia cultura, fuorvierebbe da una retta comprensione di Dio, fa esattamente quello che ha fatto Gesù nella sinagoga di Nazaret. Egli, leggendo con discernimento il rotolo con la profezia di Isaia, ne affermò il compimento preannunciando “l’anno di misericordia del Signore”, ma tacque la successiva minaccia del “giorno di vendetta del nostro Dio”. Non per niente fu da quel momento che cercarono di farlo morire.
Nella sezione “dice Francesco” si riferisce dell’omelia a Santa Marta sui dottori della legge “che portano via la capacità di capire la rivelazione di Dio”, dell’omelia sull’idolatria del denaro, che grava sulla sorte dei duecentomila bambini rohingya gettati nei campi profughi, e dell’annuncio di un Sinodo per l’Amazzonia.
Con i più cordiali saluti
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