Newsletter n. 51 del 28.11.2017
Cari Amici,
mentre papa Francesco è in Myanmar (Birmania) e Bangladesh con la missione di cambiare, agli occhi di tutti, un non-popolo (i Rohingya) in popolo, il mondo comincia ad accorgersi della novità trascinante del suo annuncio evangelico. Se ne è accorto ad esempio “il Foglio” di Giuliano Ferrara, un giornale caro agli atei devoti, che ha annunciato a tutta pagina “Il processo a papa Francesco” a partire dal fatto che “il cattolicesimo sta andando incontro alla più grande trasformazione da molti secoli in qua: entro trent’anni i suoi bastioni saranno in Sudamerica, Africa e Asia”. Sembra una notizia, ma è una deprecazione il cui scopo è di suscitare un allarme e una reazione: “il Papa sta rivoluzionando, non senza divisioni, la più grande religione del mondo”. In realtà papa Francesco sta parlando a tutte le religioni, perché il suo svelamento del Dio misericordioso e nonviolento rappresenta “una reale opportunità di ripensamento dell’idea di religione”, come ha scritto la Commissione Teologica Internazionale nel 2014 con la firma del cardinale Müller. Quel documento affermava che il rinnovamento in corso si opponeva a “ogni uso dispotico e violento della religione”, ciò che valeva non solo per il cristianesimo e le culture secolari dell’Occidente, ma “anche per le religioni del mondo di nuovo tentate dalla chiusura su se stesse e perfino attraversate da orribili presagi di guerra”; ruolo pacificatore di tutte le religioni cui papa Francesco non ha mancato di far riferimento nel discorso rivolto martedì alle diverse autorità del Myanmar.
Che questo sia riconosciuto dalle “culture secolari” è forse pretendere troppo; ma che esse militino contro la riforma della Chiesa e spargano allarmi per impedirla, è una cosa assai poco laica, e anzi molto clericale.
Allarmi sono fatti filtrare anche dall’interno della Chiesa ai piani alti delle gerarchie ecclesiastiche. “Il Foglio” cita una resistenza dei vescovi americani, ma è lo stesso cardinale Müller che accredita sospetti e critiche nei confronti del papa in un’intervista di domenica scorsa a Massimo Franco sul “Corriere della Sera”, non nuovo a queste incursioni nelle contraddizioni curiali. Il cardinale Müller non è stato confermato da papa Francesco come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e questo certo non lo ha messo di buon umore. Al cardinale Müller la Chiesa dovrà essere sempre grata per il documento sul monoteismo cristiano contro la violenza che abbiamo prima citato, uscito nei primi mesi del pontificato di Francesco ma in preparazione già da tempo. E’ stato anche assai apprezzabile da parte del cardinale Müller la difesa della irreprensibilità dottrinale della “Amoris laetitia” sui sacramenti ai divorziati risposati, come anche il suo rifiuto, dichiarato nell’intervista al Corriere, di mettersi alla testa di una fazione anti papista nella Chiesa, dato che, come lui dice, “un vescovo e cardinale di Santa Romana Chiesa è per natura con il Santo Padre”. Però è grave che nel suo sfogo l’ex prefetto del Santo Uffizio abbia fatto trasparire una dinamica scismatica che potrebbe sfociare “in uno scisma di una parte del mondo cattolico, disorientato e deluso”, e che poco signorilmente (soprattutto perché parlava in Italia) abbia fatto cenno a un “cerchio magico del papa”, dando a credere che questo esista. Come ha osservato il teologo Andrea Grillo su “Munera”, è “molto grave l’affermazione secondo cui oggi la Chiesa di Francesco sarebbe più debole teologicamente e spiritualmente. Mueller identifica nell’autoreferenzialità teologica degli ultimi trent’anni il modello teologico e spirituale che ‘conserva lo status quo’. Per Mueller questo è l’orizzonte: quieta non movere et mota quietare. Non riconosce affatto né la grande dinamica spirituale introdotta dal pontificato di Francesco, né il grande approfondimento teologico, che ha ripreso lo slancio della fase conciliare di riflessione nella Chiesa”.
E’ singolare poi che il cardinale inviti il papa ad abbandonare l’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”, proprio nel momento in cui dà il senso di una battaglia. Il problema non è tuttavia quello di sapere se davvero c’è una battaglia nella Chiesa; il problema è di far sì che non sia solo il papa, ma tutta la Chiesa, a combatterla inverando e sorreggendo la sua “svolta profetica” e, come egli dice sempre e non a caso, pregando per lui.
Sabato 2 dicembre c’è l’assemblea nazionale di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, di cui ormai si è detto molto, e di cui pubblichiamo qualche anticipazione.
Segnaliamo anche di aver cambiato la foto che contraddistingue la sezione “dicono i discepoli”, con la foto di una scultura lignea medievale che rappresenta, con molta dolcezza, “il discepolo che Gesù amava”.
All'”appello a resistere”, che ha raggiunto le 300 firme, ha dato la sua adesione anche Riccardo Petrella; se ne troverà nel sito il testo aggiornato come anche la traduzione in spagnolo, francese, inglese e tedesco per la sua diffusione anche in altre aree linguistiche.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it