Il genocidio del popolo dei migranti

NON POSSIAMO TACERE

30 Dicembre 2020 / Editore / Dicono i discepoli / 0 Comment

E’ passato del tempo da quando la morte in mare del piccolo guineano Youssef e le grida di dolore di sua madre hanno colpito la nostra emotività, e molti avranno di certo pianto, e qualcuno si sarà anche ripromesso di fare qualcosa per impedire che avvengano altre tragedie di questo genere. Ma oggi pensiamo che poche persone si ricordino chi era Youssef, come pochi ricordano il nome del piccolo Aylan, che tutti abbiamo visto in una fotografia per molti di noi difficile da dimenticare, o ricordino la notizia della bimba di 5 mesi (quella del coniglietto rosa ricamato sulla tutina, ma il cui nome non ci è stato dato di sapere) trovata morta pochi mesi fa sulla spiaggia libica di Sourman. E così potremmo continuare in un lunghissimo elenco. I morti solo quest’anno nel nostro Mediterraneo sono stati valutati in diverse centinaia: più di 500 quelli certi secondo Oxfam Italia nei primi 6 mesi, mentre altre agenzie fanno una stima di oltre 1000 a tutt’oggi.

E’ difficile non mettere questo continuo aumento delle vittime in relazione con gli accordi tra Libia ed Italia del 2017 (ma bisogna peraltro anche dire che gli accordi sono stati rinnovati recentemente anche dal governo attuale). Così come è difficile non mettere in relazione questo trend con il blocco delle navi delle ONG che sorvegliavano, fino ai decreti del governo gialloverde del 2018 e del 2019, il mare tra la Libia e l’Italia. Blocco che tuttora non è stato risolto: a parte un rimorchiatore spagnolo (Open Arms), che nelle ultime settimane ha salvato dal naufragio centinaia di persone, tutte le altre navi sono bloccate da problemi burocratici-amministrativi nei nostri porti. E’ vero che gli accordi prevedono una collaborazione con la guardia costiera libica ma sappiamo che migliaia di persone anche quest’anno (quasi 10.000 fino a metà ottobre) sono state in questo modo riportate in Libia, non certo un porto sicuro, come attestano le agenzie ONU: si sa che là sono e saranno sottoposte a trattamenti disumani e non conformi (eufemisticamente) alla convenzione per i diritti dell’uomo.

Di fronte a questa situazione tragica alcuni rappresentanti delle ONG, alcuni giuristi ed altre persone della società civile hanno recentemente costituito un “Comitato per il diritto al soccorso”, con la finalità primaria di influire sulla scelte politiche a questo riguardo. Certamente una buona notizia, confortata dall’approvazione alla Camera del DL 130, con un testo che modifica in modo radicale i decreti Salvini, e sostanzialmente anche la versione iniziale del DL stesso.

Ma nell’attesa che questo percorso politico proceda ci sembra che in ogni caso qualche cosa da fare spetti anche a ciascuno di noi. Nelle ultime settimane la liturgia, le letture evangeliche in particolare (la parabola delle vergini sagge e il brano di Marco della prima domenica di Avvento), sembra proprio che su questo ci interpellino: vorremmo interpretare l’invito a vigilare come un’indicazione a non voltarci dall’altra parte di fronte a questa espressione del male, a spenderci, ad impegnarci responsabilmente in questo campo.

Cosa possiamo fare? Sta a ognuno valutare le opportunità e le modalità di questo fare. Suggeriremmo alcune idee in questo senso (e sappiamo che alcuni le stanno mettendo già in atto):

  • Agire nei confronti dei nostri rappresentanti politici e amministrativi spingendoli a perseguire obiettivi umanitari, più vicini al vangelo.
  • Diffondere notizie corrette negli ambiti in cui siamo impegnati (scuola, associazioni, parrocchie e altre comunità religiose); non sarebbe stonato accennare, negli spazi che sono concessi al popolo di Dio, a questi problemi nelle nostre messe domenicali, con letture di testi adeguati.
  • Contribuire, quando questa possibilità c’è, all’accoglienza, al mantenimento e all’integrazione di persone all’interno di comunità del nostro territorio (Papa Francesco lo sta indicando da tempo per le parrocchie), anche tramite le nostre scelte economico-finanziarie.
  • Aiutare, nel modo che ci è reso possibile dalle limitazioni sanitarie, le associazioni impegnate sul campo: nella nostra realtà vicina, quelle impegnate nell’accoglienza e nella cura dei migranti della rotta balcanica e nella prosecuzione della prassi dell’accoglienza diffusa, che ha caratterizzato (pur nelle gravi difficoltà legate ai decreti Salvini) quanto fatto a Trieste in questi anni.

Nel segno della fratellanza ricordata recentemente da Papa Francesco, e in coerenza con la dichiarazione universale dei diritti umani, crediamo che un cambio di rotta sia possibile e, almeno in parte, sia nelle nostre mani.

Duccio Peratoner
a nome del gruppo Camminare Insieme di Trieste
Trieste, 12 dicembre 2020

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