PAPA FRANCESCO ANNUNCIA ALL’UMANITÀ LA SALVEZZA
Le relazioni del 2 dicembre
PAPA FRANCESCO ANNUNCIA ALL’UMANITÀ LA SALVEZZA
Essa viene non dalle dottrine ma dalla misericordia. Le due anime dei Vangeli all’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri. Le interpretazioni del “katécon” a partire dal Nuovo Testamento. Il magistero di papa Bergoglio: non apocalittico, ma profetico e sapienziale. Il testo biblico nella lettura dell’oggi, la Parola oltre la Scrittura
Sintesi della relazione di Rosanna Virgili
La biblista Rosanna Virgili ha iniziato la sua relazione all’assemblea romana di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri con una lettura del passo della seconda lettera ai Tessalonicesi in cui compare la profezia del katécon, questa parola un po’ misteriosa che ha subito nel tempo diverse interpretazioni, spesso anche riduttive; interpretazioni di cui la Virgili ha fatto un’esauriente esegesi, in una specie di lunga “glossa” al testo paolino. Il quale però non è paolino, anche se nelle nostre Bibbie è compreso tra le lettere di Paolo che, come ha ormai ha accertato la critica storica, non sono tutte di Paolo; alcune provengono dalla cerchia e dalle comunità paoline.
Nel secondo capitolo di questa lettera (2 Tess. 2, 6-7) si parla di una forza, o una persona (il katécon, appunto) che trattiene l’avvento di un avversario, di qualcuno o qualcosa che è “senza-legge” e contro la legge. Di chi si tratta? Il testo parla di un “anomos”, di un mistero dell’anomia, che poi nella Vulgata è reso come mistero di iniquità, che impedisce e ritarda la “parusia”, cioè il ritorno del Signore. Questa infatti non avverrà finché questo avversario non si sia manifestato e non sia stato sconfitto. Il paradosso sta nel fatto che da un lato l’“avversario” deve essere impedito e battuto, dall’altro il frenarlo, il trattenerne la manifestazione comporta una dilazione all’irrompere della parusia. Questa è la ragione per cui il katécon, la forza che resiste, ha potuto essere interpretato in modo ambivalente, sia positivo che negativo. Anche se poi questo negativo, che consisterebbe nel ritardare la parusia frenando il manifestarsi e quindi la sconfitta dell’Avversario, può essere considerato anche’esso positivo da quanti non sono interessati alla fine del mondo ma vogliono, come forse Dio stesso, che la storia continui. In tal caso avrebbe ragione il giurista tedesco Carl Schmitt che interpretava il katécon come la forza che “trattiene la fine del mondo” (ciò che per lui era stato l’Impero romano). Quello che è certo è comunque che si tratta di una resistenza allo scatenarsi di forze distruttive.
L’interesse a questo testo è stato costante nella storia, soprattutto in termini di teologia politica, fino a Carl Schmitt e al suo interlocutore ebreo, Jacob Taubes; ed ora torna di attualità in relazione al pontificato di Francesco che da un lato sembra corrispondere alla promessa dell’avvento di una Chiesa che abbia ritrovato il suo Sposo, dall’altro si misura con ciò che l’impedisce, con le forze della distruzione, magari anche ancora nascoste.
Una interpretazione antiapocalittica
La cosa interessante però, nell’analisi che ne ha fatto Rosanna Virgili, non è tanto lo scavo sulle diverse letture del katécon (ci basta sapere, per il nostro cimento di oggi, che esso significa una resistenza attiva al dilagare dell’inequità e delle pulsioni di morte), ma è la sua interpretazione antiapocalittica. La ragione per cui si può affermare che la Seconda ai Tessalonicesi non è di Paolo, è proprio perché contraddice una posizione apocalittica espressa in un’altra lettera dell’apostolo, la prima lettera ai Tessalonicesi, che è il testo più antico del Nuovo Testamento, il più prossimo a Gesù. Che cosa diceva Paolo in quella prima lettera? Diceva ai Tessalonicesi che il ritorno del Signore sarebbe avvenuto mentre loro erano ancora in vita, ben presto, cioè; però essi non sarebbero stati in posizione di vantaggio rispetto a quelli che erano già morti, perché questi sarebbero risorti e prima ancora dei vivi sarebbero andati incontro al Signore. Questo aveva scritto Paolo. Ma ecco che la seconda lettera ai Tessalonicesi mette le mani avanti, contraddice la prima: “vi preghiamo di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente”. Qui dunque si pone un problema di autenticità, è chiaro che la Seconda ai Tessalonicesi che si attribuisce a Paolo non è di Paolo, anzi serve proprio a correggere ciò che egli avrebbe detto nella prima, cioè che l’esperienza della morte, grazie al ritorno prossimo del Signore, sarebbe stata risparmiata a quella comunità. Che cosa avete capito?, dice l’autore della seconda lettera, no, non abbiate fretta, non avverrà così, non avverrà prima che si diano altre cose, in particolare la manifestazione di questo avversario, che viene personalizzato come l’uomo dell’anomia, il figlio della perdizione, “colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio”; però la lettera aggiunge che ci sarà anche ciò che impedisce la sua manifestazione, il katécon che trattiene Il mistero dell’ “anomia”, ossia dell’iniquità già in atto; e la parusia avverrà quando ambedue saranno venuti meno: di qui la possibile lettura, non solo positiva, ma anche negativa, della forza che trattenendo lo svelarsi dell’Avversario, ritarda la venuta del Signore, prolungando la sofferenza dell’attesa, ma perciò anche la storia del mondo.
Il katécon ci consegna al presente
La valenza antiapocalittica di questo testo sta, secondo Rosanna Virgili, nell’aver sfatato l’idea che il giorno del Signore fosse arrivato o fosse imminente, escludendo qualsiasi interpretazione millenaristica del katécon; siamo invece di fronte a qualcosa che ci riconsegna al presente; la Chiesa di Tessalonica si era infatuata dell’idea che Cristo sarebbe venuto da lì a poco, quindi si era distolta dal mondo del lavoro, aveva lasciato l’impegno sociale, anche l’impegno politico, aspettando da un giorno all’altro che tutto questo avesse una fine. Invece l’autore della II lettera ai Tessalonicesi dice che questo sarebbe stato un grave danno, perché la cosa non avverrà così presto, anzi non avverrà prima che l’avversario sveli se stesso. Quella che è all’opera è invece l’anomia, che si manifesta nel presente, che è il modo in cui l’avversario lavora nella storia, nel mondo, anche attraverso l’Impero, il potere, che viene contrastato dal katécon che non permette che esso giunga fino alla fine. La sofferenza dei cristiani e anche del mondo è nel patire questo confronto tra l’azione misteriosa e negativa dell’anomia (cioè della negazione del nomos, che non è solo la legge ma l’ordine delle cose) e la forza del katécon che gli resiste.
Del katèkon sono state date letture di tipo apocalittico, sia a partire dal IV libro di Esdra (alla fine del I secolo) sia a partire dal cap. 17 dell’Apocalisse, che evocano Roma (la grande prostituta) e il suo Impero.
Lo schema di queste letture è escatologico, ma può avere una deriva apocalittica. Quando parliamo di escatologia parliamo di un già e un non ancora, un tempo di memoria e un tempo di fondazione: c’è un già che è il Signore morto e risorto, e un non ancora che è il tempo del compimento del Corpo mistico di Cristo, l’unificazione dei credenti nel corpo risorto di Cristo.
Anche il tempo escatologico è animato da un’attesa, ma è diverso dallo schema apocalittico.
Il tempo apocalittico cristallizza la fine così come cristallizza il tempo presente. Il tempo presente in questa visione è semplicemente un tempo di attesa, c’è la certezza che ci sarà un’apocalisse, ma finché non ci sarà questa rivelazione, questo avvento, c’è qualcosa che manca; quindi c’è da aspettare questa apocalisse perché tutto poi si trasformi, si compia e anche si riveli, si liberi, si riscatti.
Nella visione escatologica il vangelo di Francesco
Invece nella visione escatologica c’è spazio per il presente. C’è spazio per l’atteggiamento di papa Francesco, ha detto Rosanna Virgili, che ha proseguito spiegando come I Vangeli possano essere letti secondo varie “categorie”. C’è una grande categoria che è quella di Gesù visto come qualcuno che annunciava l’apocalisse, come un profeta apocalittico; nei Vangeli ci sono molti segni della presenza di questa forte sensibilità apocalittica, come ad esempio nei cosiddetti discorsi escatologici, che parlano di un momento della fine, di un momento di giudizio. Sono i passaggi in cui si parla del ritorno del Signore, di quando tutto si compirà (negli Atti, prima dell’ascensione, gli stessi apostoli chiederanno: quando sarà restaurato il regno di Israele?). Dunque c’era questa tensione verso qualcosa che dovesse venire, si era in situazione di attesa; c’era stata una sofferenza, era mancato qualcosa durante questa attesa apocalittica.
“A me pare (è la Virgili che parla) che papa Francesco non porti il suo annuncio evangelico sposando questa lettura (d’altra parte ci sono tante letture di Gesù nei Vangeli, Gesù stesso viene presentato in molti modi diversi). Non mi sembra che lo schema apocalittico, pur presente nei Vangeli, sia quello a cui va l’interesse di papa Francesco. Invece la sensibilità, l’anima dei Vangeli che viene declinata da lui è quella che chiamiamo profetico-sapienziale”.
Si prenda ad esempio la lettura politica che molti hanno fatto dell’attesa del ritorno di Cristo presente nei Vangeli. “Ebbene, direi che nei riguardi della politica papa Francesco ha un atteggiamento profetico. Nello schema apocalittico la politica intesa come governo è una politica di potere, e il potere terreno è qualcosa cui la Chiesa si deve contrapporre. Invece mi sembra che papa Francesco segua un’altra anima evangelica che è quella della profezia come istanza critica; non una contrapposizione nel senso di dire: ogni potere è malvagio, per cui abbiamo bisogno di un’apocalisse, abbiamo bisogno di annientare quel potere; no, piuttosto vedo quello che anche Gesù stesso faceva, una critica costruttiva, quale si può trovare soprattutto nell’opera di Luca; qui l’identificazione del potere, del katécon con Roma, viene assolutamente ad essere smentita; è piuttosto l’inverso: sia nel Vangelo sia negli Atti, nella sua denuncia della legge Paolo non si riferisce al nomos come legge di Roma, ma si riferisce alla legge di Mosè. Paolo non si contrappone alla legge di Roma aspettando la parusia, al contrario si appella alla legge di Roma. Tutta l’opera lucana non vede una contrapposizione ma un rapporto stretto del cristiano con la legge di Roma, con l’Impero romano. Il che non vuol dire che non ci sia un’istanza critica. Ma la profezia è soprattutto questo; i profeti del Primo Testamento non volevano abolire la monarchia, la volevano invece correggere; la negatività della monarchia non è in se stessa ma nello spirito cattivo che vi penetra, come nel primo libro di Samuele si dice che uno spirito cattivo entra in Saul (I Sam. 16). Papa Francesco ha questa sensibilità”.
La critica politica apre al futuro
“Vorrei concludere dicendo che la critica politica è un lievito nel presente, perché con questo filone sapienziale e profetico del Vangelo si riapre lo spazio escatologico: esso restituisce il presente e apre al futuro, mentre la visione apocalittica chiude il futuro, vuole che non ci sia futuro, perché apocalisse significa la fine, dopo la quale ci sarà pur un altro eone, ma intanto deve venire la fine.
“Il vangelo di Luca si conclude così, porta dal tempio alla casa e questo significa la casa laica: le chiese non sono separate ma sono le case, la laicità della Chiesa cristiana è un’anima dei Vangeli che è assolutamente presente in papa Francesco. Egli appare interessato a fare un annuncio del Vangelo che consiste essenzialmente in ascolto. Anche nei discorsi che abbiamo sentito in questi giorni in Myanmar e in Bangladesh: quale dottrina cristiana essi presentano, quale elaborazione della dottrina cristiana? Mi sembra che le sue parole siano tutte informate dall’ascolto delle realtà che lui visita, un ascolto che poi diventa accoglienza, apertura alle trasformazioni, conoscenza di ciò che ancora non è stato scritto. La mia sensazione è che il modo in cui egli annuncia il Vangelo sia talmente casto per cui le parole che vengono fuori sono perfino nuove ai Vangeli, non ci sono neanche nei Vangeli, eppure sono Vangelo.
“Papa Francesco utilizza due categorie: l’incarnazione e il riscatto, che sono le due anime dei Vangeli; anzitutto l’incarnazione dell’attesa escatologica che significa abbraccio del mondo, a partire da quelli che sono più in basso, cioè da quelli a cui i Vangeli furono rivolti, ossia i poveri, gli esclusi; e dunque c’è questa volontà di abbattere i muri, c’è il dialogo, la collaborazione, l’incontro con le altre religioni; la religione cristiana è assolutamente insieme alle altre religioni, insieme devono servire l’umanità, essere avvocate della giustizia, di chi non ha avvocato: solo così possono avere la dignità di una presenza nel mondo.
Nella misericordia il kerigma della salvezza
“E poi il tema del riscatto, la forza critica della parola del papa è sempre costruttiva, non è mai di giudizio; se la parusia sarà anche un giorno di giudizio, il giudizio è solo critico, profetico, costruttivo, sapienziale.
In conclusione, c’è una tale spoliazione della dottrina cristiana nelle parole di Francesco che mi permetterei di dire: abbiamo parlato a lungo di umanesimo cristiano, ma qui forse si parla di un cristianesimo umano, c’è un capovolgimento perché non si parte dalla identità cristiana che poi viene applicata ai poveri, a tante altre identità umane, piuttosto si ha il cammino opposto, lui parte proprio dalla Chiesa in uscita, c’è un esilio di questa Chiesa perché uscire significa esodo ma anche esilio, ed esilio significa lasciare la propria lingua, la propria casa, tanti schemi, anche l’ideologia. C’è un abbandono assoluto di ogni possibile via ideologica; è un atteggiamento che permette il futuro. Qui c’è un’aria comune che circolava nei Vangeli e che anche si respirava nelle Chiese delle origini, in una certa parte delle Chiese; il cristianesimo è una cultura della spigolatrice. Già c’era stata una demolizione, l’Impero romano aveva demolito tante cose, aveva demolito l’identità di tanti piccoli popoli (come già aveva fatto Alessandro Magno), il popolo d’Israele aveva già vissuto tante demolizioni”.
La demolizione dunque c’è già stata, ora si tratta di costruire qualcosa a partire da un mondo che è in trasformazione; anche l’antropologia è fortemente coinvolta; è il momento in cui si raccolgono i vari semi, le spighe per costruire qualcosa che certamente deve venire, ma non è questo il momento di fare una sintesi, cioè di definire che cosa accadrà.
Siamo nella fase dell’ascolto, nel cuore del kerigma. C’è una novità rispetto al Nuovo Testamento, all’attività kerigmatica. L’attività kerigmatica serviva a dare compimento a ciò che Cristo aveva iniziato. Il Signore risorto dà questo compito di essere testimoni di lui fino ai confini della terra, quindi c’è questo sguardo sull’annuncio del Signore risorto. Papa Francesco annunzia la salvezza all’umanità. Le parole di papa Francesco ci mettono davanti la preoccupazione non tanto di annunciare il Signore risorto, quanto l’annuncio della salvezza all’umanità, ci mettono davanti l’umanità; annunciano la salvezza che è declinata però come misericordia. E quindi la parola misericordia è tutta da costruire: che significa una salvezza che non è più definibile attraverso delle dottrine precise, ma che è un grembo di misericordia, qualcosa che è in formazione, che nascerà?
La relazione di Rosanna Virgili si è conclusa pertanto lasciando aperta una domanda: come nascerà, quale struttura nascerà, questo non è nella nostra cognizione di oggi.
Rosanna Virgili
(sintesi redazionale non rivista dall’Autrice)