POLEMICA TRA LA CARITAS E IL GOVERNO
Dossier genocidio
POLEMICA TRA LA CARITAS E IL GOVERNO
I naufraghi contesi: secondo il governo l’Italia non rispedisce i migranti sorpresi in mare in Libia, ma lo fa fare alla guardia costiera libica. Non c’è accordo su chi siano i buoni e chi i cattivi. Il capo di gabinetto accusa il commissario del Consiglio d’Europa sui diritti umani di dire il falso. Il drammatico racconto dei volontari di “Sea Watch”
Eleonora Camilli
ROMA, 8 novembre – “L’esternalizzazione delle frontiere in Nord Africa ci preoccupa. L’urgenza del contenimento dei flussi, non può indurre a soluzioni che si muovono su un terreno pericoloso sul fronte dei diritti umani. Lo stesso commissario dei Diritti umani del Consiglio d’Europa, lo scorso 28 settembre, chiedendo chiarimenti sull’accordo con la Libia ha scritto che: “consegnare individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li espone a un rischio reale di tortura o di trattamenti inumani e degradanti o punizioni. Il fatto che queste azioni siano portate avanti in acque territoriali libiche non esime l’Italia dai suoi doveri stabiliti dalla Convenzione”. Sono queste le parole pronunciate dal direttore della Caritas, Francesco Soddu, che hanno scatenato la reazione polemica del capo di Gabinetto al ministero dell’Interno, Mario Morcone, durante la presentazione a Roma del Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017. Un botta e risposta sullo stato dei diritti in Libia e sull’accordo tra Roma e Tripoli.
Nessun respingimento da navi italiane, dice Morcone. “Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo; ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un Paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni Unite, il discorso è diverso, sottolinea Morcone. L’Italia non ha mai rispedito nessuno in Libia, se il commissario ai diritti umani dice questo, dice il falso. Noi abbiamo solo consentito che la Guardia costiera libica salvasse le persone e le riportasse in Libia, ma lo ha fatto la Guardia costiera libica, non lo hanno fatto le navi italiane. Molto spesso questo tema è usato in modo strumentale rispetto al ruolo che l’Italia ha svolto e svolge rispetto ad altri Paesi europei. L’Italia dal 2014 ha accolto numeri sempre più elevati di persone che cercavano il riconoscimento di un diritto – aggiunge Morcone -, questo ha portato ad avere oggi in accoglienza 200 mila persone e a porci il problema di quanto saremmo stati in grado di garantire effettivamente a queste persone”. Secondo Morcone finora “nessuno si era mai posto il problema delle condizioni della carceri in Libia: c’erano gli sbarchi, le ONG portavano i migranti in Italia e fine”. “Noi da tempo stiamo spingendo a favore delle grandi organizzazioni umanitarie, UNHCR e OIM innanzitutto, perché siano presenti in Libia per garantire un’accoglienza dignitosa”.
La replica della Caritas: alle parole di Morcone ha subito replicato in maniera laconica Soddu. “Sul terreno del rispetto dei diritti umani in Libia ci sono problemi, credo che questo sia innegabile. Se poi il commissario europeo dei diritti umani ha detto una bugia lo apprendiamo qui oggi, e ci fa molto piacere”.
Caso Sea Watch. A margine della presentazione, rispondendo a Redattore sociale, sulle accuse avanzate ieri in un’intervista, da un attivista di Sea Watch, alla Guardia costiera libica, Morcone ha aggiunto: “Noi non crediamo né a Sea Watch né alla Guardia costiera libica, ma non dobbiamo neanche stabilire aprioristicamente chi sono i buoni e chi sono i cattivi, perché c’è molto da discutere su chi oggi siano i buoni e chi siano i cattivi”. Per il capo di Gabinetto l’Italia sta solo “aiutando un governo legittimamente riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se alti numeri di persone sono stati riportati in Libia, questo è stato fatto dalla Guardia costiera libica, che è uno strumento e un’istituzione del Consiglio presidenziale della Libia. L’Italia non ha mai portato a terra in Libia nessun migrante”.
Eleonora Camilli
(da Redattore Sociale)
Nel mare una lotta
Il racconto di Sea Watch a cui il funzionario del governo dice “Noi non crediamo”, è il seguente, ripreso da “Vita.it”:
Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ONG Sea-Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio del 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri:
“Una volta tornato a terra voglio incontrarla, ministro Marco Minniti. Io, italiano fino al midollo, voglio raccontarle quello che ho visto con i miei occhi. Come ho recuperato dal mare il corpo di un bambino di 3-4 anni annegato e poi sono stato ore a consolare la madre, come noi volontari dell’ong Sea-Watch abbiamo preso uno a uno, a braccia, 58 persone dall’acqua. E come la Guardia costiera libica lì di fronte ha agito in modo disumano, lasciando decine di persone in mare ad annegare senza lanciare salvagenti e picchiando chi non voleva essere preso da loro per non tornare in Libia e voleva invece venire sulla nostra nave, dove vedeva al sicuro i fratelli, le mogli, i padri. È stato straziante vivere tutto questo, ma conto di descriverglielo personalmente, caro ministro. E, sempre da italiano, voglio chiedere scusa alla mamma di quel bambino, a tutte le persone che stanno avendo sofferenze indicibili nel tentativo di raggiungere l’Europa”. Gennaro Giudetti, 26 anni, ha la voce ancora spezzata e non riesce a dormire e mangiare quando lo raggiungiamo al telefono: è stato protagonista, nella giornata di lunedì 6 novembre, di un dramma assurdo in mare in cui 5 persone sono state recuperate senza vita dalla nave Sea-Watch 3 , “ma almeno altre 20 erano già annegate e non siamo riusciti a recuperarle perché dovevamo dare priorità a issare sul gommone di salvataggio chi era ancora vivo”. In tutto 105 sono le persone sopravvissute al naufragio, tra i 58 a bordo dell’ONG e le altre 47 prese dalla Guardia costiera libica e riportate indietro, alla fine di una dinamica da discesa nell’inferno che Giudetti racconta a Vita.it e che si può capire anche dal video girato da un altro volontario di Sea Watch.
Cosa è successo esattamente in quel punto del mar Mediterraneo?
Eravamo a 30 miglia marine dalla Libia, in piene acque internazionali. L’IMRCC di Roma, la Centrale di comando della guardia costiera, ci ha detto di effettuare un salvataggio di un gommone in difficoltà, aggiungendo che sullo scenario avremmo anche trovato una nave della Marina francese con cui collaborare. Quando siamo arrivati, però, lo scenario è stato traumatico fin da subito: prima di noi e dei francesi era arrivata una nave della Guardia costiera libica, che aveva agganciato il gommone dei migranti, in quel momento bucato e quindi con decine di persone in mare, alcuni con il salvagente molti altri senza nulla. Noi abbiamo lanciato i due gommoni di salvataggio, io ero su uno di questi con altri tre dell’equipaggio, e abbiamo dovuto farci largo tra persone che erano già annegate per riuscire a raggiungere quelli che invece erano ancora in vita, per recuperarli. La situazione era abominevole: abbiamo tirato a bordo i superstiti con le braccia, faceva talmente male dopo un po’ che mi si stavano per bloccare. C’era chi per rimanere in vita si attaccava al mio collo mentre salvavo altri, sono stati momenti tanto tragici quanto rischiosi. A un certo punto ho visto un bambino che galleggiava senza vita davanti a me, l’ho preso con le mie mani sperando in un miracolo, ma quando l’abbiamo riportato sulla Sea Watch 3 la rianimazione non è andata a buon fine.
Come si stava comportando la Guardia costiera libica, che in un duro comunicato di qualche ora dopo accusa invece l’ONG Sea-Watch di “avere provocato le morti interferendo con il salvataggio che era già in atto”?
Ho visto cose allucinanti a cui faccio fatica ancora a credere, nonostante le ho ben fisse nei miei occhi. Ma sono motivato a raccontare ora più che mai perché tutto il mondo deve saperlo, ogni politico che parli di questo tema e prenda decisioni si deve rendere conto di quello che accade. I militari libici sembravano non interessarsi a quelli che erano più lontano da loro, tra cui diversi già senza vita, e hanno lanciato corde alle quali le persone si aggrappavano per salvarsi. Ma molte persone sapendo che sarebbero ritornati in Libia – dove come oramai è documentato le violenze sono all’ordine del giorno – quando ci hanno visto hanno iniziato a nuotare verso di noi. I libici all’inizio sembravano collaborativi, non ostacolavano chi voleva venire via. Poi però hanno iniziato a fare un gesto folle: ci hanno lanciato addosso delle patate, mentre ci urlavano di andarcene. Nello stesso tempo si rendevano protagonisti di brutalità sulla loro nave: prendevano a frustate e bastonate chi era già a bordo ma cercava di alzarsi e ributtarsi in mare per venire da noi. Tante frustate e bastonate. Ma le persone continuavano a provarci, erano pronte a tutto, anche perché vedevano che alcuni dei loro parenti erano già in salvo sui nostri gommoni e la separazione faceva esplodere la loro disperazione.
Poi dalle immagini si vede che la nave libica si allontana, perché?
A un certo punto hanno deciso di andarsene a tutta velocità, senza una chiara motivazione. A un certo punto anche l’elicottero militare italiano presente sulla scena si è abbassato di colpo costringendoli a rallentare almeno per un attimo: il dramma ulteriore è stato che molte persone erano ancora attaccate alle corde, in estremo pericolo. Ho visto una scena orribile: un marito che si è aggrappato a una corda per scendere dopo avere sentito la moglie che lo chiamava dal nostro gommone, ma non sapendo nuotare aveva paura di lanciarsi in acqua. Proprio in quel momento i libici sono partiti e lui è rimasto appeso, chissà ora che ne sarà di lui: non l’abbiamo recuperato e non sappiamo se sia vivo o morto. Lascio immaginare quanto sia disperata ora sua moglie, così come la mamma del bimbo che ho visto annegare davanti ai miei occhi. Si tratta di donne e uomini e molti giovani di Paesi centrafricani come Nigeria, Mali, Gambia e Senegal. Ora stiamo attendendo indicazioni dal ministero dell’Interno su dove sbarcare. Non avendo una cella frigorifera a bordo, abbiamo chiesto all’IMRCC di trasbordare il corpo senza vita sulla nave Aquarius, dell’ong Sos Mediterranée, che sta tornando a Catania con altre quattro vittime consegnate loro dalla nave militare francese, ma ci è stato negato perché non è arrivato il via libera dall’Olanda: la nostra nave batte bandiera olandese e quindi la burocrazia impone che si debba chiedere il permesso a tale nazione. Ho visto il giro di email con cui l’IMRCC di Roma chiedeva loro l’autorizzazione, che però non è arrivata e quindi anche noi siamo stati fatti tornare verso l’Italia. Con spreco di tempo e risorse, perché ora quella zona del Mediterraneo è sguarnita di navi di soccorso e con il mare calmo è molto probabile che ci siano altri gommoni in navigazione. Le persone recuperate dall’ong cercano conforto, soprattutto quelle che hanno perso parenti in mare o li hanno visti portare via dai libici
Come ti senti in questi momenti?
Sono molto arrabbiato e amareggiato. Lo siamo tutti qui, le 23 persone dell’equipaggio. In particolare noi soccorritori volontari, provenienti da Germania, Italia, Olanda, Australia, Inghilterra e altre nazioni occidentali ci sentiamo anche in colpa, nonostante abbiamo fatto del nostro meglio per evitare che la strage fosse ancora peggiore. È per questo, ribadisco, che come italiano ed europeo chiedo scusa a queste persone la cui unica colpa è essere nati nella parte sbagliata del mondo. Non sono solo numeri: per me hanno un nome, una faccia, vorrei che tutto il mondo venisse su questa barca per capire davvero come stanno le cose. Anche perché non riesci a stare zitto di fronte a tutto questo, la tua coscienza parla molto più della tua voce. Mi amareggia pensare che c’è ancora oggi chi liquida quanto accade con frasi come “c’è un’invasione che va fermata”. E ancora di più il fatto che sto pagando con i miei soldi da contribuente l’accordo che il governo italiano ha fatto con la Libia, le navi donate alla Guardia costiera libica tra cui immagino la stessa che ieri si è macchiata di quanto ho visto. È follia pura. Per questo chiedo di potere andare a parlare quanto prima al ministero dell’Interno, davanti allo stesso ministro Minniti se avesse la cortesia di ricevermi. Gli vorrei dire di fermare immediatamente questo accordo. Non si può dire, ora più che mai, “chissà cosa succede veramente?”. Io c’ero, è tutto vero, sta succedendo e non deve succedere mai più.