I “Viandanti” per il Sinodo

PROPOSTE DI LAICI PER LA LITURGIA

18 Maggio 2022 / Editore / Libero Sinodo / 0 Comment

Le conclusioni del “Gruppo sinodale” dell’Associazione “Viandanti” per un aggiornamento delle forme della celebrazione liturgica. Un esempio di interlocuzione di laici credenti  nella riflessione in corso nella Chiesa

Franco Ferrari e Roberto Tarasconi

Pubblichiamo la “Sintesi del gruppo sinodale” dell’Associazione “Viandanti” sul NucleoTematico “Celebrare” come contributo al percorso sinodale della Chiesa

1. Composizione del Gruppo Sinodale e metodo di lavoro
Il nostro gruppo sinodale ha riunito 15 tra soci (due di questi di altre diocesi: Gubbio e Novara) e simpatizzanti. Tra i partecipanti (7 donne e 8 uomini) c’erano un presbitero, due ministre straordinarie dell’eucarestia e due con esperienza di catechiste.
Data l’ampiezza delle questioni poste dai 10 nuclei tematici (Nt) proposti si è scelto preventivamente prenderne in considerazione uno solo. La scelta è stata operata attraverso una consultazione tra i 15 partecipanti, che ha fatto emergere il Nt “Celebrare” (n. 4) come quello ritenuto di maggiore interesse.

All’incontro si è giunti con una preparazione remota individuale su una scheda che integrava le domande relative al Nt 4 proposte dal “Vademecum” con quelle proposte dalla CEI (nelle schede “Ascolto di tutti”, “Ambienti di vita” e “Parrocchia”) e dall’équipe sinodale della nostra diocesi.
Le domande della scheda sono state raccolte attorno ai seguenti 5 filoni: partecipazione; Parola di Dio; liturgia e vita della comunità e del mondo; ministerialità; pandemia.

L’incontro, di un intero pomeriggio, si è aperto con la recita dell’“Adsumus”, la preghiera proposta dalla Segreteria generale del Sinodo. Lo scambio (nei vari round tutti hanno preso la parola) è stato preceduto dalla condivisione delle proprie esperienze sui vari aspetti del “Celebrare”.

La sintesi finale, elaborata dal coordinatore del Gs e dal segretario, è stata poi sottoposta a tutti per l’approvazione.

2. Le nostre esperienze
Lo scambio ha portato l’attenzione su questi elementi:
• La celebrazione eucaristica
a) Partecipazione – Spesso si partecipa a celebrazioni poco curate; l’accoglienza all’arrivo prima dell’inizio della celebrazione è una pratica quasi sconosciuta; l’attenzione per il canto riguarda più il coro che l’assemblea. Ancora oggi più che partecipare si assiste alla celebrazione; il coinvolgimento è sempre di carattere intellettuale e poco attivo/partecipativo. Possono essere di aiuto certi interventi del celebrante al di fuori del testo del messale. Si è richiamata l’importanza e il ruolo del gruppo liturgico, del quale alcuni hanno fatto o fanno parte.
“La messa è un’esperienza faticosa, ingessata, noiosa; non mi sento in colpa se non ci vado”; “Cerco di difendermi dalla messa, vado volentieri se ci sono condizioni di relazione”; “Per evitare che la messa diventi un’abitudine se non ci vado la sostituisco con un’opera di carità”; “Bisogna sentirsi un popolo che celebra”; “La dimensione del corpo è assente nella nostra religione”; “la messa è comunque molto importante e significativa e non per il precetto”.

b) L’omelia – Le voci critiche sono state quasi unanimi. Non sempre sembra preparata, a volte non fa che ripetere con altre parole quanto già letto nel Vangelo; il taglio moralistico non è ancora scomparso. Si è fatto riferimento alla possibilità che anche i laici possano fare l’omelia.
“L’omelia dovrebbe essere un commento che ti aiuta a fare un percorso”; “L’omelia non aiuta a vivere il quotidiano”.

• La Parola di Dio
Per la conoscenza e l’approfondimento della Parola di Dio si ritiene importante, ma insufficiente, l’omelia. La centralità della Parola proclamata dal Vaticano II (Dei Verbum) non sembra aver trovato ancora piena realizzazione. La scarsa conoscenza della Bibbia è ancora diffusa. Nella pastorale parrocchiale si avverte il bisogno di piccoli gruppi che, con iniziative sistematiche, approfondiscano i testi biblici.
“Tutti siamo discepoli se siamo in ascolto, se si studia, se si medita la Parola”; “Importante sarebbe fare celebrazioni solo della Parola, anche al di fuori della messa”

• Il linguaggio
Si avverte che il linguaggio utilizzato in molte parti della liturgia non risponde più alla nostra esperienza e sensibilità. Inoltre, costituiscono un problema vari concetti, ad esempio “sacrificio”, alcune espressioni del Credo, …
In ordine ai segni/simboli si sono manifestate tre posizioni. Chi avverte che molti segni stanno perdendo di significato e che i simboli dovrebbero essere di comprensione immediata, chi si è domandato se siano ancora necessarie azioni simboliche, infine, chi ha fatto esperienza di una presentazione dei simboli che ha aiutato ad entrare nella liturgia.
“Il rito snatura il segno”; “La parola ‘sacrificio’ fa problema, non c’è il sacrificio c’è la cena, si sono gli amici”; “Quale immagine di Gesù veicoliamo con la liturgia?”

• La comunità
Lo scambio delle esperienze ha fatto emergere che il celebrare, – la sua qualità e il suo rapporto con la vita, con il contesto sociale, in una parola con la storia – ha a che fare con la presenza di una comunità viva non modellata sui ritmi “amministrativi” della parrocchia. In proposito l’esperienza di quasi tutti i presenti porta a sottolineare l’inesistenza della comunità o come la parrocchia non si possa ritenere una reale comunità.
“Se ci fosse una comunità si porterebbero lì le preghiere, la vita”; “Vorrei andare a messa con la mia comunità”; “La messa è un momento comunitario, ma se la comunità non c’è la messa è snaturata”; “Una comunità mostra il suo volto come celebra (rif. a G. Zanchi)”; “In parrocchia vi sono grandi compartimenti stagni”.

• Il parroco
Un altro elemento, che interseca il celebrare e la vita comunitaria e al quale naturalmente le esperienze hanno fatto riferimento, è il ruolo e la figura del presbitero/parroco, con accenni anche alla sua insufficiente preparazione.
In modo particolare si sono sottolineate le difficoltà che si creano con il cambiamento dei parroci. Difficilmente il nuovo parroco tiene conto della storia della parrocchia e assicura un minimo di continuità nell’impostazione pastorale.
“È difficile fare comunione quando il parroco decide tutto”.

• La Ministerialità
L’essere ministri straordinari dell’eucarestia è vissuto sul piano personale come un’esperienza molto significativa, profonda e spirituale, si avverte però la carenza di formazione e il fatto che sul piano istituzionale si connota più per gli aspetti funzionali che per una concezione di Chiesa ministeriale per la quale si è annotato che “Non ci sono segni significativi di applicazione”. Si è rilevata anche la difficoltà a trovare disponibilità per i ministeri.
C’è stato un riferimento positivo al nuovo ministero di catechista e all’accesso delle donne ai ministeri di lettore e accolito. Un riferimento ha riguardato anche il rapporto tra il presbiterato e gli altri ministeri.
“Il clero non riveste più, né può più essere inteso come un concentrato di tutti i carismi, un ‘superministero’”.

• Il rapporto liturgia vita, mondo
I limiti del linguaggio liturgico, della partecipazione al celebrare e la carenza di vita comunitaria hanno messo in evidenza un esile rapporto tra liturgia e vita, che si manifesta anche nelle formulazioni stereotipate delle preghiere dei fedeli e nel momento della presentazione dei doni. I problemi del mondo, della città, del territorio dovrebbero entrare nella celebrazione per animare poi la carità. In proposito c’è chi si è chiesto come la comunità cristiana vive la carità tra i suoi membri (comunione) e come si fa strumento di carità per tutta la comunità umana?
“Celebrazione e omelia dovrebbero far cogliere che Gesù è stato nella storia”; “Il pane e il vino sono la rappresentazione del vissuto di ciascuno. È il momento della presa di coscienza del legame con la quotidianità della vita”; “La celebrazione della messa dovrebbe continuare nella vita”.

• La preghiera e il rapporto con il mistero
Il tema del celebrare ha richiamato anche l’esperienza del pregare e del rapporto con il mistero/il divino.
Con una varietà di accenti si avverte la carenza della preghiera personale e comunitaria e la difficoltà di trovare un gruppo con il quale fare esperienza, si valuta positivamente la preghiera con i salmi, mentre si incontra una maggiore difficoltà a pregare con il testo biblico.
È emerso un significativo bisogno di fare esperienza di ascolto e di silenzio vissuta insieme ad altri.
Si avverte l’esigenza che vari aspetti della vita di fede (catechesi, preghiera, Parola di Dio, la liturgia, …) debbano aiutare a comunicare/avvicinarsi al mistero, pur restando questo sempre insondabile.
“Il mio prete ha ammesso la difficoltà di pregare, questo mi è stato di grande aiuto”; “L’uomo come tale è strutturalmente legato al mistero di Dio, anche se sarà sempre inconoscibile per noi”; “Le attuali parole delle celebrazioni non aiutano ad entrare in contatto con il divino, con il mistero”.

• La pandemia
Il lungo periodo di distanziamento e di restrizioni della vita sociale, da un lato, hanno fatto emergere il vuoto della vita comunitaria che peraltro già esisteva, dall’altro, il grave limite di aver incentivato l’“assistere” la messa alla televisione essendo più attenti al rispetto del precetto che alla perdita di elementi fondanti dell’azione liturgica attraverso l’inevitabile spettacolarizzazione e distanziamento del linguaggio televisivo.
“Occorre ricordare che nei primi tre secoli l’eucarestia veniva celebrata nelle case”

3. Una chiesa che verrà
Anche la narrazione del gruppo sinodale, come ogni tipo di narrazione, presuppone termini di riferimento con i quali discernere il dato di esperienza, il “ciò che è vissuto”, che rappresentano comunque valori che evidenziano implicitamente “ciò che non è”, che sollecitano “ciò che dovrebbe essere” e in certo modo prefigurano “ciò che verrà”.
È quanto il nostro GS, dopo essere partito dal racconto delle esperienze, ha cercato di fare tenendo presente alcune indicazioni del “Vademecum”:
– la domanda fondamentale:
“Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?”.
– alcune considerazioni del paragrafo 1.3:
“questo Sinodo, intende ispirare le persone a sognare la Chiesa che siamo chiamati a essere, a far fiorire le speranze, a stimolare la fiducia, a fasciare le ferite, a tessere relazioni nuove e più profonde, a imparare gli uni dagli altri, a costruire ponti, a illuminare le menti, a riscaldare i cuori e a rinvigorire le nostre mani per la nostra missione comune. […] Questo cammino percorso insieme ci chiamerà a rinnovare le nostre mentalità e le nostre strutture ecclesiali per vivere la chiamata di Dio per la Chiesa in mezzo agli attuali segni dei tempi”.

Per questa seconda parte anche noi abbiamo utilizzato la categoria biblica del “sognare”, tanto cara al Vescovo di Roma, “perché sognare è aprire le porte al futuro. fecondi nel futuro”[1].

Nel pensare alla “Chiesa che siamo chiamati ad essere” ci siamo accorti che i cambiamenti pastorali necessari rimandano a cambiamenti che investono molti altri aspetti della vita ecclesiale, senza i quali i maquillage pastorali offrono soluzioni illusorie e di corto respiro.

► Una sperimentazione liturgica
Crediamo che l’esperienza suggerisca come non più rinviabile il riformare profondamente il celebrare (la liturgia) nel linguaggio, nelle modalità e nella varietà, anche perché la frequenza quotidiana della celebrazione eucaristica impedisce di fatto lo sviluppo di altre forme celebrative comunitarie e acuisce la dipendenza della comunità dal clero. Nella consapevolezza che ciò sia un’operazione complessa che richiede attenzione è emersa l’idea che si debba pensare alla possibilità di sperimentazioni liturgiche, sia esaminando con attenzione quelle già praticate da presbiteri e da comunità sensibili al tema, sia favorendo la ricerca delle comunità religiose e monastiche.
Questi contributi radicati nel vissuto, pur diversamente condotti e impostati, possono porsi come testimonianze di comunione evangelica responsabili e persuasive aiutando nel recuperare bellezza e attualità, freschezza e condivisione di gesti, parole e simbologie, nel praticare accoglienza, ascolto, richiesta di perdono e dialogo effettivi. In modo che la comunità sia veramente riunita per “concelebrare” con chi presiede.

► La Chiesa popolo di Dio
Occorre dare attuazione piena all’affermazione conciliare di Chiesa come Popolo di Dio ad ogni livello delle sue articolazioni, comunitarie e gestionali, sulla base della comune scelta battesimale che riconosce a tutti i fedeli “una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire” (can. 208). In proposito c’è stato chi ha sostenuto che dal dono battesimale della regalità non si possa far derivare la funzione di governare, riservata solo ai vescovi, ma vada reinterpretato come funzione di servizio, di carità e di aggregazione. Solo così si potrà parlare di dono comune a tutti i battezzati.
Nell’ottica di una “vera uguaglianza nella dignità” si è sottolineata ripetutamente l’esigenza di assicurare alla donna la presenza e le responsabilità che le competono.

► Una comunità di comunità
La messa in comune delle esperienze come abbiamo visto ha fatto emergere in modo forte e quasi unanime la criticità della vita comunitaria parrocchiale e il convincimento che “la Chiesa che siamo chiamati ad essere” debba dedicare a questa cellula fondamentale un forte e convinto impegno riformatore su due piani: quello dell’essere e quello normativo.
Ci sembra non più rinviabile il pensare alla parrocchia (unità amministrativa) come ad una “comunità di comunità” (v. Evangelii gaudium 28) per stimolare il rifiorire comunitario favorendo cioè quelle “comunità particolari”, aggregazioni di base come parte sì della più vasta comunità parrocchiale o delle “unità pastorali”, ma attraenti perché creative, vivificate da relazioni vitali e relativamente autonome.
Mentre sul piano normativo occorre dare soggettività giuridica alla comunità cioè riconoscendo al consiglio pastorale la fisionomia di organo rappresentativo della comunità con un potere deliberativo e non solo consultivo.

► Una comunità ministeriale
In funzione della dimensione comunitaria e in relazione alla realtà di Chiesa popolo di Dio occorre un radicale ripensamento dell’esercizio del ministero ordinato, abolendo l’attuale concentrazione di competenze e ruoli sedimentato nei secoli, prevedendo una distinzione tra la presidenza dell’eucarestia e la conduzione o presidenza della comunità.
Un ripensamento in chiave ministeriale dovrà portare alla diversificazione del ministero ordinato e ad un’affermazione dei ministeri laicali, anche per la donna. In particolare si ritiene importante lo sviluppo del ministero di diacono e di catechista, senza tralasciare il riconoscimento di altri carismi.
Conseguentemente si pensa ad una diversa formazione dei presbiteri, nelle forme e nei contenuti a partire dalla stessa istituzione del seminario, e l’impostazione di una diffusa catechesi degli adulti, sia come conoscenza biblica aggiornata sia come riflessione e confronto sull’attualità, al fine di prepararli ai nuovi compiti.

► Uno sguardo anche al Diritto canonico
Una riforma del Codice di diritto canonico è stata valutata urgente per due motivi: da un lato, il superamento dell’imperfetta traduzione delle linee guida della teologia conciliare, dall’altro, l’esigenza di un’elaborazione organica di norme che rendano ragione di una visione sinodale della Chiesa. D’altra parte si può dire che il futuro sinodo indichi già implicitamente questa esigenza nel suo titolo “Per una Chiesa sinodale: partecipazione, comunione e missionarietà”. Un dinamismo che poco si riscontra nell’attuale Codice.
Il superamento di un diritto di fatto sbilanciato verso il clero, in quanto ogni partecipazione è depotenziata da discrezionalità e da ruoli meramente consultivi e nemmeno obbligatori, appare un indispensabile adeguamento a realtà e pratiche che nei quarant’anni che ci separano dalla promulgazione dell’attuale Codice sono profondamente mutate.

Franco Ferrari
Coordinatore del GS

Roberto Tarasconi
Segretario del GS

Parma, 2 aprile 2022

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[1] Francesco, Meditazione mattutina nella cappella di santa Marta, 18 dicembre 2018.

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