QUANTO TEMPO MANCA A….
QUANTO TEMPO MANCA A….
È partita da Milano un’iniziativa per promuovere “un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale”. C’è l’appello a un’urgenza che soprattutto i giovani raccolgono, temendo di non avere più un futuro Giustizia climatica e nuovo umanesimo sono ormai una cosa sola
Mario Agostinelli
Pubblichiamo l’intervento di Mario Agostinelli all’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri del 6 aprile scorso.
Il 19 gennaio scorso abbiamo avuto a Milano un Forum di grande rilievo per dare seguito all’enciclica “Laudato sì” e promuovere “Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale”. Da anni io non vedevo una cosa simile a Milano e quindi mi è sembrato molto importante rinsaldare i rapporti con voi per costruire questa novità che porta una nota di ottimismo, quale negli ultimi anni non avevo mai rilevato. Io ho parlato spesso da questa tribuna perché ero segretario della CGIL lombarda; venivamo qui e mi si attribuiva un certo fiuto. Ora a me sembra che siamo in una fase di respiro nuovo, abbiamo qui questi ragazzi che tra l’altro mantengono un rapporto molto positivo con i loro insegnanti, cosa che quando io avevo la loro età non esisteva, anzi erano in conflitto. Questa convergenza è a mio giudizio anche un segno dell’urgenza a cui ci troviamo di fronte, che riguarda ormai non più solo alcuni singoli problemi, ma addirittura la sopravvivenza. Questo è il messaggio che io vi posso portare, e ve lo porto uscendo dal pessimismo che gli schermi televisivi ci buttano in faccia tutti i giorni; non basta essere presenti senza futuro, senza costruire.
Cosa ci sta succedendo? Dal mio punto di vista ad esempio è successa una cosa terribile. Si è spappolato il movimento operaio e non è una cosa indifferente, non è una cosa da poco; non è una cosa da poco nemmeno rispetto ai problemi di cui ci hanno parlato qui i magistrati. Perché? Perché all’interno dei luoghi di lavoro lo vedo tuttora la stessa discriminazione che viene inflitta agli immigrati, in modo così becero. Essa si riflette nelle fabbriche come una specie di concorrenza da cui ci si dovrebbe liberare, cosa che non ha nessun fondamento di verità. Vi porto se volete nelle fabbriche di Brescia: tutti i lavori peggiori li fanno gli immigrati, e questo dato non è mai calcolato.
Ora, per darvi un’idea più precisa di che cosa noi stiamo facendo vi dirò che è nata un’associazione che come dato di fondo fin dall’inizio ha avuto quella di essere tanto pluralista da chiamarsi “Laudato Sì”: credenti e non credenti insieme per la cura della terra. Volutamente questa associazione è nata in periferia, attorno al lavoro sugli immigrati, anche per impulso di don Colmegna, un po’ se volete l’erede del cardinale Martini. Io non sono un credente, ma vi posso dire che la rete di Martini non solo si era consolidata a Milano, ma in un certo modo era stata di esempio anche in tutta la Lombardia. Don Colmegna ha posto il problema di rileggere la “Laudato Sì” in prospettiva operativa e io quindi porto una mia esperienza. Sono passati quattro anni, la stiamo rileggendo un po’ meglio adesso. Per lungo tempo è stata sotterrata mentre oggi – e questo è un altro segno di speranza – io giro anche nelle parrocchie della Lombardia e finalmente si legge la “Laudato Sì”. Dentro questo fatto assolutamente nuovo, sono esplose da noi, in Lombardia, le generazioni che vanno dalla media al liceo.
Io vi racconto solo due cose. e la terza è che noi dobbiamo mantenere i contatti con voi.
La prima: un gruppo di studenti ha chiesto di avere un incontro con quelli che loro ritenevano impegnati sul tema dei beni comuni, delle migrazioni; così hanno chiesto a Guido Viale, a me e a Emilio Molinari di fare un incontro per parlare dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti e hanno chiesto in una forma quasi rivendicativa ai loro presidi di avere la possibilità quella mattina di avere un credito. Ebbene, si sono iscritti così tanti, ben ottocentosettantasei, che siamo dovuti andare in un teatro, il più grande che c’è a Milano; e lì quello che mi ha stupito è che noi abbiamo parlato poco e i ragazzi hanno parlato molto: hanno continuamente argomentato, chiesto, ragionato. Se io dovessi dare un titolo a quella straordinaria assemblea la chiamerei: “quanto ci manca a…”. Io alla loro età vedevo il tempo davanti a me come un tempo che non aveva fine, mentre ora chiedersi: “quanto manca a…” è una novità. E’ una novità sconvolgente; la mia nipotina che avevo portato a Venezia mi diceva: “sai nonno che quando io avrò la tua età non si può più venire a Venezia, me lo ha detto la maestra”. Pensateci un po’, noi non facciamo su questo mente locale, ma il tempo è adesso.
La seconda cosa che ha orientato un po’ tutto il nostro lavoro è la velocità. La velocità con cui noi stiamo in comunicazione a distanza ha sconvolto completamente il senso del trovarsi, del parlarsi incontrandosi nello stesso luogo. Mandare comunicazioni e incontrarsi sono due cose che non hanno più un nesso tra loro. A scuola a me non avevano insegnato che Einstein dice esattamente che i due sistemi battono tempi diversi e quindi che tra quel tempo e il nostro non c’è rapporto. Tra il tempo della tecnica, della tecnologia, che come ci ha insegnato lui non ha sesso, e l’umano, non c’è più raccordo. Noi siamo quindi di fronte a un fatto nuovo, un fatto profondo, e dobbiamo pensare che questo modo di collegarci, di comunicare, diventi una cosa permanente. Io credo che siamo ancora in tempo perché questa rotta rovinosa in cui siamo precipitati ci ha portato di fatto a scoprire un’idea profetica, e cioè che la giustizia sociale e la giustizia climatica, che la Terra e l’uomo sono la stessa cosa. È un’idea che non era ad esempio nella mia formazione marxista, non pensavamo così, e ora questa percezione forse apre degli spazi completamente nuovi.
Faremo altre assemblee su questi temi, questo è un invito perché ci veniate, restiamo in contatto.