SPEZZARE IL PANE LAVARE I PIEDI
“Riflessioni di un eretico”
SPEZZARE IL PANE LAVARE I PIEDI
Non solo ricordare, ma rivivere quel momento e ripetere quelle parole rendendoli presenti con l’impostare la propria vita secondo il contenuto profondo del messaggio
Carlo Ferraris
Il racconto dell’ultima Cena si trova nei vangeli sinottici e nel vangelo di Giovanni, e riportato in parte dalla lettera agli Efesini, che è precedente ai due testi e si basa sulla tradizione, perché S. Paolo non era presente alla Cena. Nei sinottici e in S. Paolo il momento centrale è quello dello “spezzar del pane”, mentre in Giovanni è la “lavanda dei piedi”.
Quando, nella liturgia del giovedì santo, si fa memoria della lavanda dei piedi, nei commenti e nelle omelie ricorre spesso la domanda sul perché nel vangelo di Giovanni non è riportato lo spezzar del pane: a volte ci si ferma alla domanda, altre volte si cerca di dare una risposta. Cercherò anch’io una risposta, sulla base delle parole pronunciate da Gesù e sul confronto fra i due contesti.
Partiamo dalla lavanda dei piedi. Al termine Gesù dice: “… anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Nessuno pensa che con queste parole Gesù abbia invitato i discepoli a ripetere il suo gesto, ma il significato che si dà a queste parole è quello di essere ciascuno al servizio dell’altro, senza distinzione di ruoli o di altre posizioni o qualifiche personali e sociali. Il rito della lavanda dei piedi è considerato un gesto liturgico simbolico a richiamo e memoria dell’invito di Gesù.
Nel racconto di quella che impropriamente è detta l’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio (io credo che Gesù non abbia mai istituito nulla, ma lasciato soprattutto messaggi di vita e di salvezza) Gesù conclude con un invito breve ma intenso: “Fate questo in memoria di me”.
I due inviti di Gesù, dopo la lavanda dei piedi e dopo lo spezzar del pane, diversi nelle parole, hanno però lo stesso contenuto. Questa coincidenza mi spinge a pensare che anche i fatti che hanno preceduto le parole abbiano lo stesso significato simbolico. Se si considera che nei Vangeli Gesù, per quanto ne ricordo, non dà mai precetti, ma parla sempre per parabole o in forma parabolica, credo di poterne dedurre che anche i discorsi dell’ultima Cena siano da leggere come parabole. In particolare l’invito: “Fate questo in memoria di me” non mi sembra un invito a ripetere la stessa azione sul pane e sul vino. Quando Gesù dice “Questo è il mio corpo” è come se dicesse: “Questo è quello che io faccio con il mio corpo”, quindi siamo invitati a fare lo stesso delle nostre risorse fisiche: spezzarle e darle agli altri, per farli partecipi della nostra forza e della nostra debolezza. Allo stesso modo siamo invitati a versare il nostro sangue, cioè la nostra vita, come si versa il vino nei bicchieri di chi ci sta accanto. Per inciso, nel canone della messa c’è la parola “sacrificio”, che nei vangeli e in san Paolo non c’è.
Ecco dunque che gli evangelisti, pur narrando due episodi diversi, hanno voluto dire la stessa cosa, cioè che Gesù ci invita ad essere a completa disposizione di chi ha bisogno e di chi sta accanto a noi.
La tradizione liturgica ha interpretato le parole di Gesù come invito a ripetere un rito che poi si è concretizzato in formule, dando ad esse l’effetto di trasformazione della sostanza del pane e del vino. Nelle chiese cristiane è comune la fede nella presenza di Gesù, ma non nello stesso modo, e ciò è fonte di divisioni ed ostacolo alla condivisione di un mistero.
Nella prima lettera ai Corinzi si parla di mangiare il pane e bere il vino in memoria della passione. E’ questo il senso del rito della Cena: fare memoria, cioè non solo ricordare, ma rivivere quel momento e ripetere quelle parole rendendo il tutto attuale e presente, nel suo significato simbolico e di invito ad impostare la propria vita secondo il contenuto profondo del messaggio.
Carlo Ferraris
maggio 2014 e successive aggiunte