UN PAESE CHE SOFFRE
Le statistiche e la vita reale
UN PAESE CHE SOFFRE
I dati dell’ISTAT in termini percentuali fanno cantare vittoria; ma i disoccupati sono 2.855.000, aumentano gli ultracinquantenni che lavorano per effetto della riforma Fornero, e cresce il precariato
Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT gli occupati in Italia sono più di 23 milioni.
Il tasso di occupazione 15-64 anni è salito al 58,4% con un aumento di 0,2 punti percentuali su ottobre e di 0,9 punti su novembre 2016. Per le donne il tasso di occupazione è arrivato al 49,2%, il livello più alto.
Tra i nuovi occupati c’è tuttavia un boom dei contratti a termine.
Guardando ai dati di novembre, l’incremento rispetto al mese precedente di 65mila unità è dovuto in larghissima parte ai dipendenti (+68mila), tra cui prevale l’aumento dei posti di lavoro a termine (+54mila) mentre l’incremento dei posti con contratto a tempo indeterminato è molto più contenuto (+14mila).
Su base annua, la crescita degli occupati si concentra tra i lavoratori dipendenti (+497 mila, di cui +450 mila a termine e +48 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-152 mila).
Se si prende in considerazione l’ultimo anno, quindi, la proporzione tra i contratti a termine e quelli a tempo indeterminato dei nuovi assunti (dipendenti) è di 90 a 10, come si evince da un grafico pubblicato su Twitter da Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt.
In valori assoluti aumentano soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+396 mila) ma anche i 15-34enni (+110 mila), mentre calano i 35-49enni (-161 mila). Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-7,8%, -243 mila) sia gli inattivi (-1,3%, -173 mila).
Il tasso di disoccupazione a novembre è sceso all’11% dall’11,1% di ottobre, al livello più basso dopo settembre 2012. L’ISTAT sottolinea che il tasso è diminuito di un punto percentuale rispetto a novembre 2016. I disoccupati totali sono 2.855.000 con un calo di
18.000 unità su ottobre e di 243.000 unità su novembre 2016.
Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni a novembre scende al 32,7% in calo di 1,3 punti rispetto a ottobre. L’ISTAT spiega che rispetto a novembre 2016 si registra un calo di 7,2 punti percentuali. È il tasso più basso da gennaio 2012. Il tasso di occupazione in questa fascia di età è al 17,7% con un aumento di 0,5 punti rispetto a ottobre e di 1,4 punti rispetto a novembre 2016.
Queste cifre sono state considerate dagli uomini di governo come un grande successo e come una conferma dei miracoli attribuiti al Jobs Act, in quanto si sarebbe recuperata l’occupazione persa con la crisi di questi anni. Sul sito “Potere al popolo” Roberta Fantozzi il 9 gennaio fa invece questa analisi:
«I dati, a leggerli correttamente, dicono cose assai diverse:
«1. è del tutto falso che si sia recuperato il lavoro complessivamente perso in questi anni. Il confronto fatto in termini di ULA, cioè di “posizioni lavorative ricondotte a misure standard a tempo pieno” mostra che mancano ancora 1 milione di unità di lavoro rispetto al 2008. In sostanza gli occupati in più dipendono dalla crescita del part-time imposto e della sottoccupazione, non da posti di lavoro a orario pieno. Va ricordato che secondo i criteri di rilevazione dell’ISTAT è considerato occupato chiunque abbia svolto nella settimana in cui è intervistato, almeno “un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura”.
«2. la crescita degli occupati è quasi integralmente riconducibile a contratti non solo a orario ridotto ma a termine. Nel confronto rispetto al novembre 2016, il 90,5% dell’occupazione in più è con contratti precari e meno del 10% è con tempo indeterminato.
«3. continua ad essere abnorme il dato dal punto di vista dell’età degli occupati. La crescita infatti è concentrata tra gli over 50 (+396mila rispetto ad un anno fa a fronte di un aumento complessivo di 345mila occupati). Diminuiscono invece in termini assoluti gli occupati nella fascia di età tra 35 e 49 anni (-161mila).
«In sostanza l’occupazione cresce per le persone ultracinquantenni per gli effetti della controriforma Fornero delle pensioni, per gli altri ci sono solo contratti precari e di breve durata, mentre la quantità complessiva di lavoro continua ad essere inferiore di 1 milione di unità (equivalenti a posti di lavoro a tempo pieno) rispetto ai livelli precedenti la crisi.
«Tutto questo è costato alla collettività circa 20 miliardi di decontribuzione nel triennio, a cui vanno aggiunte le risorse andate alle imprese per i tagli strutturali all’IRAP e all’IRES (non meno di 8 miliardi annui), e quelle legate alle mille forme di incentivi messi in campo.
Per le lavoratrici e i lavoratori invece il Jobs Act ha comportato la definitiva eliminazione dell’articolo 18, demansionamenti, videosorveglianza, precarietà generalizzata».
Rispondendo a Vermigli nella trasmissione “Piazza Pulita”, Bersani ha aggiunto che si sono perse 1 miliardo 200.000 ore lavorative.