UN PAPATO MESSIANICO
UN PAPATO MESSIANICO
Lo scarto è finito, non c’è nessuno che non sia eletto da Dio. Contrappasso non è giustizia, la divina commedia è finita. Il Signore ritorna, la parola cammina, la sua voce risuona in molte voci, voce dei poveri voce di tutti, voce della Chiesa, le nostre voci
Raniero La Valle
Dopo cinque anni di papa Francesco, certamente si può confermare ciò che già apparve all’inizio del pontificato, e cioè che egli fosse venuto per riaprire, a una modernità che l’aveva chiusa, la questione di Dio . E infatti il ministero di papa Francesco è un ininterrotto annuncio del Dio del vangelo, un Dio inedito, un Dio che sorprende, un Dio non più “tremendum” ma solo “fascinans”. Però oggi dire questo non basta più. Ci vuole una sorta di “relectio de papa Francisco”, una rilettura che vada al di là dei due stereotipi in base a cui oggi si parla di lui: quello dell’esaltazione e quello della denigrazione: apologetica contro riprovazione. Mi pare invece che l’approccio giusto sia quello di una interpretazione: il pontificato di Francesco va interpretato perché nasconde un mistero. Come si parlò di un “mistero Roncalli”, “ le mystère Roncalli”, alludendo al mistero o carisma del papa che aveva convocato il Concilio, così c’è un segreto di questo pontificato che va interrogato, che va svelato. E forse da questa interpretazione, anche dopo che esso sarà concluso, dipenderà il futuro della Chiesa.
C’è un’interpretazione diffusa di questo pontificato come di un pontificato profetico. E certamente è verissima, né è smentita dal fatto che esso sia contrastato, perché anzi è proprio della profezia essere combattuta. Però se fosse solo profetico, non ci sarebbe niente di veramente straordinario, perché la storia della Chiesa, sia sul versante della successione apostolica che sul versante della tradizione dei discepoli, è piena di profeti, papi compresi: basta pensare a Leone Magno che con la sua lettera a Flaviano dona alla Chiesa la fede di Calcedonia, o a Gregorio Magno che attraverso la figura di san Benedetto è il vero padre dell’Europa.
Io però penso che si possa dare un’interpretazione ulteriore, come non solo di un pontificato profetico, ma di un pontificato messianico.
Messianico cioè, semplicemente, cristiano
Neanche questo di per sé sarebbe straordinario; perché messianico non è che l’altro nome del cristiano, Cristo non è che il greco di Messia, quindi “un papa messianico” è come dire “un cristiano sul trono di Pietro”, come si disse di papa Giovanni; ma siccome ci siamo dimenticati di questa identità messianica e il popolo cristiano ignora il greco, non è così ovvio, e un pontificato messianico appare effettivamente straordinario.
Ma di quale messianismo si tratta? Infatti non tutti i messianismi sono buoni, tanto che alcuni maestri talmudici hanno detto: “Se questo è il messia, non lo voglio vedere”.
C’è un messianismo apocalittico, come quello di Qumram o del IV libro di Esdra, che annuncia un mondo nuovo ma attraverso la catastrofe del mondo presente, e non si tratta certo di questo, anzi come dice padre Antonio Spadaro nel suo ultimo libro , questo pontificato è una “sfida all’Apocalisse”, e come abbiamo detto noi nell’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, semmai è una forza frenante, che resiste, che trattiene la catastrofe, come il katécon messianico paolino.
C’è poi un messianismo utopico che si aspetta il realizzarsi delle promesse messianiche nella storia, ma soffre l’angoscia del loro non avverarsi, del loro ritardo; secondo lo storico e filosofo ebreo Gershom Scholem, ciò avrebbe fatto della vita ebraica una vita in condizioni di rinvio, una vita vissuta nel differimento, mentre secondo molti saggi dell’ebraismo, un attivismo messianico che cercasse di abbreviare questo ritardo si risolverebbe in tragedia.
Né l’apocalisse, né l’irrealtà dell’utopia
Il messianismo del pontificato di Francesco non assomiglia a nessuno di questi modelli. Non a quello apocalittico; semmai, come dice la biblista Rosanna Virgili, è escatologico, dove l’escatologia accende un’attesa in cui si apre lo spazio al presente.
Ma quello del pontificato di Francesco non assomiglia neanche al messianismo che, tutto proteso verso il futuro, vive, come dice Scholem, “in una situazione di irrealtà”; il significato messianico del pontificato di Francesco non sta nella logica del differimento. La sua vera patria è l’oggi di Dio, l’oggi biblico dell’ascolto della sua voce, come dice la lettera agli Ebrei (Eb. 3, 7), è un nunc, è il nun kairós paolino (Rm. 3,26; 8,18; 11,5), è il tempo presente investito dall’evento messianico, è l’irruzione del tempo di Dio nel tempo storico, nel tempo di ora. Non è il tempo che verrà, è il tempo che viene ed è questo, dice Gesù alla Samaritana. Sta qui, nella storia.
Però è un presente, un oggi che non è chiuso nella conservazione e nell’eterna ripetizione di se stesso, non è “un tempo omogeneo e vuoto”, come dice Walter Benjamin, ma è il tempo dove il nuovo accade e la storia avanza. Ma non si tratta di una crescita continua, di uno sviluppo costante e graduale dall’antico al moderno, al postmoderno, come lo pensa il progressismo; no, questo non è un papato migliorista. Esso infatti assume il tempo di ora, ma lo assume nel senso della discontinuità, una discontinuità che accade nel presente. C’è un cambiamento, pacifico, certo, ma vero, è una rivoluzione.
Restano allora da individuare alcuni momenti nodali, topici di questa discontinuità messianica, di questo cambiamento epocale (perché, come si dice, questa non è un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento d’epoca). Ne indicherei tre.
Non scarti, non esuberi
1) Il primo è che si chiude l’età dello scarto. Cioè si chiude un intero ciclo della storia dell’Occidente, e non solo dell’Occidente, che si è fondato e si è svolto nel pensiero della diseguaglianza tra gli uomini. Se vogliamo assumere simbolicamente il nome che più rappresenta questo pensiero della diseguaglianza, che gli ha dato autorità e lo ha fatto diventare cultura diffusa, prenderei, e spero di non scandalizzare nessuno, il nome di Aristotile. Ancora nel 1500, al tempo della conquista delle Americhe, per dimostrare che gli Indi non erano veramente uomini, e che perciò gli Spagnoli avevano il diritto di assoggettarli, si ricorreva all’antropologia di Aristotile, per la quale vi sono uomini e collettività che non essendo per limiti innati dotati di ragione sufficiente, sono schiavi per natura, naturaliter servi. È la tesi che cita anche Francisco De Vitoria nella sua Relectio de Indis, per confutarla: ma intanto gli Indios erano stati assoggettati come incapaci di essere liberi e padroni di se stessi, e questo pensiero della diseguaglianza arriverà fino ad Hegel, a Croce, a De Gobineau e ai razzismi del Novecento europeo.
Ma alla teoria dell’inevitabile diversità di destino tra sommersi e salvati hanno dato spago anche le culture castali dell’Oriente e, da noi, le teologie dell’elezione, della predestinazione, della natura non risanata dalla grazia, dell’ “extra Ecclesiam nulla salus”, che sono le teologie di un privilegio.
Il diritto aveva provato ad affermare che non c’è e non ci può essere un’umanità di scarto, ma basta vedere che fine fanno nel Mediterraneo gli scartati in nome del diritto, in nome della legge per la quale i perseguitati dalla fame, a differenza dei perseguitati dai signori del potere e della guerra, non hanno diritto di passare, per l’Europa non hanno diritto di esistere.
La discontinuità messianica di papa Francesco sta in questo, che oggi, e non domani, nessuno deve essere scartato, nessuno deve essere escluso, non ci sono tante umanità quanti sono gli Stati, le lingue, le religioni, c’è una sola ed unica umanità, ed è Dio stesso che se ne fa garante, perché si è fatto umanità nel Figlio, si è rivestito dell’umanità come di una tunica che in nessun modo può essere lacerata e spartita. È in questo scatto, in questa discontinuità messianica che si colloca il paradosso di una teologia missionaria che respinge il proselitismo, di un papa che “sta in Roma ma sa che gli Indi sono sue membra”, come già aveva ricordato il Concilio citando san Giovanni Crisostomo, e quindi considera una sciocchezza l’annetterseli, perché già sono nell’unità di Dio.
Non il contrappasso come giustizia
2) Il secondo punto cruciale di questo messianismo è l’uscita dall’ideologia del contrappasso. Il contrappasso è la giustizia della pesata uguale, come la chiamava Isacco di Ninive: tu hai fatto una cosa a me, io faccio una cosa a te. È la legge del taglione, occhio per occhio dente per dente. È la bilancia della giustizia che su un piatto mette il delitto, sull’altro la vendetta; una vendetta che poi, certo, l’incivilimento vuole non più privata, ma pubblica, ma a cui i privati non rinunciano e che continuano a pretendere, per loro soddisfazione, proprio dallo Stato. Quando dicono che “vogliono giustizia”, significa che vogliono vendetta. Anche Dio è incluso in questo girone infernale. Se non condanna non è giusto. Se lo si risarcisce, se lo si soddisfa, se gli si offre riparazione, sacrificio, allora può perdonare. Se vogliamo assumere il nome che più rappresenta questo pensiero, che gli ha dato autorità e lo ha fatto diventare cultura diffusa (e, di nuovo, non vorrei scandalizzare nessuno), prenderei il nome di Dante. L’Occidente non ha bisogno del catechismo, basta la Divina Commedia. L’immaginario è quello, inferno purgatorio e paradiso, contrappasso e stridor di denti.
Il pontificato messianico sta in questo, che annuncia la misericordia, come il tutto di Dio. Non è l’alchimia della retribuzione, non c’è un do ut des divino. La divina commedia è finita. Dio è il padre che non solo ti aspetta, ma accorcia il tempo dell’attesa, cancella il differimento, arriva per primo, “primerea”, come dice il papa con il suo neologismo argentino. E così devono fare gli uomini, secondo il vangelo: settanta volte sette, cioè sempre. Rimandare questo a domani è l’apocalisse, farlo oggi è messianismo.
C’è una miriade di detti di papa Francesco che si potrebbero citare a questo proposito. Ne citerò solo uno, rivolto il 4 gennaio scorso a un gruppo di ragazzi romeni ospiti di un orfanotrofio. Un ragazzo gli aveva raccontato che di uno di loro, che era morto l’anno scorso, un prete ortodosso (perché i romeni sono ortodossi) aveva detto che era morto peccatore e per questo non sarebbe andato in paradiso. E il papa ha risposto: “Forse quel prete non sapeva quello che diceva, forse quel giorno quel prete non stava bene, aveva qualcosa nel cuore che l’aveva fatto rispondere così. Ti dico una cosa che forse ti stupisce: neppure di Giuda possiamo dirlo”. E ha aggiunto: “Io ti dico che Dio vuole portarci tutti in paradiso, nessuno escluso. Dio non se ne sta seduto, lui va, come ci fa vedere il vangelo, è sempre in cammino per trovare quella pecorella, e anche se siamo sporchi di peccati, se siamo abbandonati da tutto e dalla vita, lui ci abbraccia e ci bacia. Sono sicuro che questo è ciò che il Signore ha fatto con il vostro amico”.
La discontinuità messianica è tra ciò che quel prete aveva nel cuore, in base alla teologia che gli era stata insegnata, e la buona notizia che Francesco ha dato ai ragazzi, e che sta dando al mondo, che il Signore non lascia indietro nessuno. Se si pensa all’angoscia di Lutero riguardo alla salvezza e se si pensa alle prime quattro tesi di Wittenberg, secondo le quali tutta la vita dei fedeli deve essere un sacro pentimento, vissuto nella mortificazione della carne fino all’ingresso nel regno dei cieli , si vede che la vera Riforma è questa. La “sola misericordia” è la vera risposta alla “sola fide”, la trascende; è per questo che, 500 anni dopo, l’ecumenismo si può ora realizzare.
Il Signore ritorna, continua a parlare
3) La terza discontinuità messianica sta nell’annuncio che Gesù veramente ritorna, e ritorna oggi. Il cuore del messianismo cristiano sta nella fiducia che il Signore torni. I cristiani aspettano il ritorno di Gesù. Ma egli non può tornare se tutto è già scritto, se la rivelazione è chiusa, e tutto quello che c’è da fare è di portare a buon fine ciò che la Tradizione ci ha già consegnato. C’è stato anche il buon lavoro fatto dall’esegesi, che al di là del Cristo della fede ha ritrovato il Gesù storico, ma proprio in quanto storico quel Gesù è definitivo. Se vogliamo assumere il nome che più rappresenta questo pensiero dell’impossibile ritorno di Gesù, prenderei quello del Grande Inquisitore di Dostoevskij, che dice a Gesù, tornato a Siviglia, di non venire a disturbare il loro lavoro.
Il messianismo di questo pontificato sta nel mostrare che Gesù continua a parlare, non solo spiegando meglio e facendoci capire meglio le cose già dette, ma proprio dicendo cose nuove, inedite, che erano sconosciute anche a lui. Il papa sa che nel Vangelo non tutto è stato scritto, perché anzi, come dice Giovanni alla fine, se fossero scritte tutte le cose compiute da Gesù, “il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”; e ci sono cose che Pietro non ha capito nemmeno quando aveva Gesù ai suoi piedi che glieli lavava, e che capirà solo dopo, non l’indomani, perché anzi l’indomani lo tradirà, ma nei secoli futuri; per esempio Pietro ha capito solo adesso che la pena di morte non ci deve stare nel Catechismo, e ha detto ai suoi di toglierla, perché “è necessario … che la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce; questa Parola non può essere conservata in naftalina”: Gesù di Nazaret cammina con noi, lo Spirito Santo non si può legare e Dio non cessa di parlare alla Chiesa (discorso dell’11 ottobre 2017). Questo dice il papa: la rivelazione infatti non è chiusa e la notizia migliore è quella che oggi ancora non fa notizia, non si può dare, non ci può essere nei Telegiornali, perché è una notizia che ancora non c’è. E allora Gesù può tornare. Ma non per essere licenziato di nuovo con un bacio, come quello esangue del Grande Inquisitore, ma per essere accolto e fatto parlare e ascoltato, certo, attraverso le voci degli angeli che lo acclamano ma anche attraverso le voci della sterminata moltitudine di uomini, di donne, di poveri che lui ama e che sono, dopo di lui, i secondogeniti di Dio sulla terra, di noi che siamo i secondogeniti del Padre. Le loro voci, le nostre voci. Come disse papa Giovanni la sera dell’apertura del Concilio, affacciandosi alla finestra di piazza san Pietro nel buio illuminato dalle fiaccole: “Sento le vostre voci”, ascolto le vostre voci….
Raniero La Valle
(Intervento alla Federazione Nazionale della Stampa, il 2 marzo 2018)
Comments
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E’ di questi discorsi che abbiamo bisogno per continuare a sperare, a credere e ad amare Dio e il mondo…
Grazie, Raniero, per queste riflessioni che aprono il cuore e danno luce agli occhi!…
Dio ti benedica e ti faccia conoscere il suo volto…
tiziana
COMMENTI DA FACEBOOK
Lucio Pirillo .
10 marzo alle ore 16:00 •
Spunti di riflessione e ricerca per aprire il cuore e la mente hic et nunc ( grazie!)
Paolo Bertagnolli
Bellissima riflessione.
Gioacchino Lagreca .
10 marzo alle ore 15:17 •
Voglio essere come Dio, andare abbracciare e baciare tutti.
Angela Ricci
Bisogna rileggerlo più e più volte per come è denso di concetti…ma la tesi è affascinante.
Gerardo Iuliano
10 marzo alle ore 16:03 •
Straordinaria lucidita’; da leggere, e rileggere
Francesco D’Angelo
10 marzo alle ore 16:36 •
2013 – 13 Marzo – 2018 : Cinque Anni di Papa Francesco… “La Divina Commedia” é finita!!!
Mimma De Maio
10 marzo alle ore 23:01 •
UNA LETTURA STRAORDINARIA DEL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO
Il vangelo che si disvela, oggi, nuovo, un Gesù che ritorna.
Mimma De Maio
Mi va di riflettere ancora sulla riflessione di La Valle, perché col tempo si illumina il già detto, si aprono nuove finestre sulla comprensione. La Valle parla di un papa “venuto per riaprire a una modernità” che diceva “no” ad un’immagine di Dio da tempo rigettata, quella della tradizione,.la questione di Dio. Ed ecco Francesco che “annuncia Dio”, ma quello del vangelo, che nessuno conosceva perché sopraffatto dal Dio antico, che aveva invaso chiese e menti dell’uomo e le costringeva. Quello di Francesco infatti è un “Dio inedito” che ha sorpreso quelli della tradizione che infatti l’hanno rifiutato. La Valle ci invita a svelare il mistero di Francesco, il mistero che risiede in ogni profezia e che qui si svela come “messianico”, “un papa messianico”, che poi è come dovrebbe essere ogni papato. E Raniero va oltre e spiega di quale messianismo si tratta, non apocalittico e neanche utopico, forse escatologico, di attesa, neppure, perché “il significato messianico del pontificato di Francesco non sta nella logica del differimento”, questo pontificato conosce “l’oggi di Dio”, quello “dell’ascolto della sua voce” che irrompe nel presente, “è il tempo che viene”, un oggi non chiuso e ripetitivo, ma dove “il nuovo accade e la storia avanza”, non nel senso di crescita continua, invece nel senso della discontinuità, “una discontinuità che accade nel presente. Un cambiamento “pacifico, certo”, da diventare un “cambiamento d’epoca”. E La Valle indica tre elementi di questa novità.
Il primo è che si chiude “un intero ciclo della storia dell’Occidente” poggiato sulla “diseguaglianza tra gli uomini”, diventata cultura diffusa, parametro di misura, come quando per sottomettere gli Indios si dimostrò che “non erano veramente uomini, e che perciò gli Spagnoli avevano il diritto di assoggettarli”, un pensiero ed un metro di valutazione che ha percorso tutta la modernità, sostenuto anche da alte culture (le culture castali dell’Oriente, le teologie della predestinazione, dell’ “extra Ecclesiam nulla salus”) e che hanno portato avanti i privilegi e il diritto a non esistere. Con la sua “discontinuità messianica” papa Francesco invece dice che oggi nessuno deve essere scartato ed escluso, che c’è una sola ed unica umanità e che Dio stesso se ne fa garante e respinge il proselitismo che nasce dal sentirsi diversi.
Il secondo elemento è uscire dalla ideologia del contrappasso inteso “come giustizia”, la legge del taglione, la giustizia che su un piatto mette il delitto, sull’altro la vendetta, che diventa pubblica, per cui “volere giustizia” significa “volere vendetta” quindi “condanna”, quindi “risarcimento”, riparazione, allora si può perdonare. Si può dire afferma La Valle che “l’Occidente non ha bisogno del catechismo, basta la Divina Commedia. L’immaginario è quello, inferno purgatorio e paradiso, contrappasso e stridor di denti”. Ed ecco che Francesco annuncia la misericordia, che non conosce “l’alchimia della retribuzione, il “do ut des”, Francesco annuncia che “Dio è il padre che non solo ti aspetta, ma accorcia il tempo dell’attesa, cancella il differimento, arriva per primo”. Perdonare “settanta volte sette”, questo è vangelo. Dice Francesco: “Io ti dico che Dio vuole portarci tutti in paradiso, nessuno escluso. Dio non se ne sta seduto, lui va, come ci fa vedere il vangelo, è sempre in cammino per trovare quella pecorella, e anche se siamo sporchi di peccati, se siamo abbandonati da tutto e dalla vita, lui ci abbraccia e ci bacia. Sono sicuro che questo è ciò che il Signore ha fatto con il vostro amico”.
“La terza discontinuità messianica sta nell’annuncio che Gesù veramente ritorna, e ritorna oggi”, ma ritorna superando la Tradizione, il già fatto, il tutto saputo, perché così è inutile che torni Gesù, invece deve tornare Gesù, continuare a parlare, non solo “spiegando meglio e facendoci capire meglio le cose già dette, ma proprio dicendo cose nuove, inedite, che erano sconosciute anche a lui ma esistenti nei libri, di cui parla Giovanni e che si dovrebbero ancora scrivere”, ritorna nelle cose che oggi si possono capire, che devono ancora venire alla luce, perché la rivelazione non è chiusa e la “notizia migliore è quella che oggi ancora non fa notizia, non si può dare, non ci può essere perché è una notizia che ancora non c’è”. Ecco che allora Gesù può tornare “per essere accolto e fatto parlare e ascoltato”, attraverso le voci della sterminata moltitudine di uomini, di donne, di poveri che lui ama e che sono, dopo di lui, i secondogeniti di Dio sulla terra, di noi che siamo i secondogeniti del Padre”. Grazie, Raniero La Valle.
Mimma De Maio Lo facciamo tornare noi quel Gesù insieme al suo Vangelo che ora stiamo conoscendo nella novità e profondità del nostro tempo. Ed è un papa a darcelo nuovo e rinnovato col suo pontificato messianico, ma di un messianesimo speciale, diverso, moderno, di oggi, del nostro presente. Un papa che ci insegna cose nuove sul Vangelo dopo che per duemila anni altri papi e l’intera Chiesa non hanno fatto altro che distorcere quelle pagine, travisarle. In questo senso realmente c’è una rivoluzione in atto, un modo diverso di “fare” vangelo e di viverlo e di pensare la vita. Senza interessi di parte, manie di poteri, accecamento del denaro.
Walter Bazzanella Oggi, Gesù ci parla ancora e ci dice cose nuove. Eterna gratitudine ai nostri cari fratelli esegeti che si sono dedicati a quest’opera di purificazione ed attualizzazione della Parola. Una Lode al Padre per averci donato l’opportunità di attraversare questo pontificato messianico e la liberazione da una distorta teologia.
Mimma De Maio Sì, è straordinario come la nuova esegesi fa emergere dal vangelo nuovi significati, diversi da quelli morti e stantii che si danno dagli altari perché seguono una lettura superficiale e interessata, non vera. Quando si fa scorrere lo spirito nelle nostre cose questo dimostra la vitalità e la profondità della vita e del suo senso.
Lucia Rutigliano
Grazie
Carla Biagetti
Grazie
Massimiliano Ronchi
Condivido pienamente
Patrizia Colosio
Una lettura molto interessante di Raniero la Valle; sarà un caso che ogni giorno Libero quotidiano pubblica un articolo contro di lui?
Stefano Cavallotto
Grazie di cuore!!
Iosif Husaru
Il testo non è male. Ma la sintesi non è il vostro forte. Oggigiorno la gente ha sempre più fretta e chi ci legge più?
Giuseppe Angelone
Non posso trattenere le lacrime di commozione e di gioia!
E leggetelo tutto, con calma che ne vale la pena.
Bruno Magatti Grazie per aver illuminato ciò che di più profondo e grande caratterizza questo nostro tempo (il cambiamento di quest’epoca )
Graziella Ardia
Mi dispiace ma per quel che riguarda Lutero, sappiamo bene che la Riforma è nata non perché lui volesse discostarsi dal sacerdozio cattolico, ma perché non accettava le rinunce, i sacrifici e la salvezza per le opere poiché “Siamo salvati per immeritata benignità”. La vita del cattolico è fatta di colpe e pentimenti inculcategli dai catechismi, il Vangelo e l’evangelico dicono che la vita in Dio è gioiosa infatti Davide entrò danzando nudo nel suo Regno. Inoltre le Tesi furono affisse perché l’accesso al Paradiso i cattolici lo facevano pagare in moneta contante.
Se dopo 500 anni, come questo articolo dichiara, il Papa l’ha capito tanto meglio… agli evangelici è noto dall’inizio.
Vorrei aggiungere che se il Vaticano che il Papa rappresenta, desse l’esempio di accoglienza di cui lui parla – e carità – e aiuti ai poveri della terra visto che è uno degli Stati più ricchi del mondo, non crede che sarebbe un esempio migliore di tante parole messianiche?
Graziella Ardia
La cultura del “contrappasso” il cristiano non l’ha mai avuta e quindi non ci vedo nessuna novità messianica.
Nel Vangelo secondo San Luca piuttosto c’è scritto: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?». Conoscendo la loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»
Diego Cecco
Lucido, propositivo, appassionato: questo è vero discernimento!
Edda Bisson Buzzetti •
Una apertura su tutto. Grazie infinite me lo leggerò e rileggersi più volte
Stefano Cavallotto •
Grazie.
Franca Centra
Un particolare grazie per le riflessioni che condivido pienamente, fino al … “Sento le vostre voci”.
Fausto Grismondi
Grazie, grazie di cuore.
Alessandro Zambonelli •
Grazie..
Carmine Monaco •
Grazie
Gabriele Coppola
Grazie.
Maria Antonietta Bel
GRAZIE è stato bello cominciare questa domenica con queste e riflessioni su Papa Francesco.
Luana Neri
Grazie mille
Lorena Boggian
Grazie. Parole che aprono il cuore alla speranza.
Rosetta Cassarino Vedo dai commenti che è sentimento comune la riconoscenza per riflessioni che arricchiscono la nostra anima, così aggiungo il mio grazie.
Rosario Grillo
Non finirò di ringraziare mai delle parole di luce che, comunicano il carisma che il Vangelo contiene e liberano il messaggio del Papa dalla ordinarietà rivelandone il deciso senso di rinnovamento spirituale.
Nel mio piccolo ho sempre ritenuto il tema tempo la questione centrale . Nella Bibbia, nel pensiero ebraico e in una fetta del pensiero Cristiano , esso è insegnato
Giovanni Ladiana
GRAZIE.
Grazie sempre illuminante
Sr patrizia pasini