UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI, AUTORITÀ SOVRANAZIONALE, COSTITUZIONE MONDIALE
Quello che i giovani chiedono
UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI, AUTORITÀ SOVRANAZIONALE, COSTITUZIONE MONDIALE
Il contributo degli studenti della Sapienza di Roma all’ideazione embrionale di una società diversa. Lo studio delle povertà, del perché delle migrazioni di massa, ma anche la rivendicazione della sovrana libertà degli esseri umani di andare in qualsiasi Paese. Verso la globalizzazione dei diritti
Pubblichiamo una sintesi dei contributi portati dagli studenti di molti Paesi che frequentano l’Università di Roma “La Sapienza”, sotto la guida del prof. Francesco Carchedi, ai lavori dell’Assemblea del 6 aprile di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, sui temi: “Il grido dei popoli. Non siamo stranieri. Unità ed eguaglianza della famiglia umana”, e “Il grido dei poveri. Deporre il denaro dal trono, insediarvi il lavoro mediante la politica e il diritto”.
La premessa di Francesco Carchedi
Ciò che segue è il frutto di un lavoro di gruppo svolto da studenti dell’Università degli Studi di Roma Sapienza – Dipartimento di scienze sociali, Unità didattica Scienze e tecniche del servizio sociale – frequentanti il primo anno (hanno iniziato a settembre 2018). Il gruppo ha iniziato a riunirsi a metà dicembre e ha continuato fino al giorno precedente questa Assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, con una cadenza (quasi) settimanale. I temi trattati sono stati prescelti dagli stessi studenti, secondo il loro interesse e il suggerimento degli organizzatori dell’Assemblea. La riflessione ha riguardato le motivazioni di spinta che sottendono la formazione dei flussi migratori; tra queste non poteva mancare la condizione di precarietà e povertà che a tutt’oggi caratterizza parti della popolazione mondiale (ed anche segmenti significativi di quella europea, e pertanto anche italiana).
Non bisogna, purtuttavia, confondere povertà relativa e povertà assoluta, giacché con la prima s’intende una condizione socio-economica ed esistenziale comunque dinamica che permette di progettare, di intraprendere attività volte al proprio miglioramento, ed anche di emigrare e dunque desiderare un percorso di vita più consono alle personali aspettative (e a quelle della propria famiglia di riferimento). La povertà assoluta, invece, come esprime il termine stesso, è una condizione quasi statica, una sorta di intrappolamento sociale, nel quale le azioni sono ristrette al mero soddisfacimento dei bisogni primari. In genere tale condizione non stimola l’intrapresa personale o di gruppo/familiare, poiché è immobilizzante. In tale condizione non si è in grado di progettare, di prefigurare una vita altrove, in un altro Paese.
Sicché coloro che tendono ad emigrare rappresentano la prima componente, quelli in condizione di relativa deprivazione: coloro che hanno un titolo di studio ma sono disoccupati da lungo periodo, coloro che sono professionalmente capaci ma non trovano una giusta collocazione nei mercati del lavoro, coloro che sono perseguitati per le loro idee o orientamenti sessuali oppure religiosi. Oppure si tratta di donne maltrattate e assoggettate a culture strettamente patriarcali, etc. Queste sono le persone che emigrano per lo più volontariamente, anche se a fianco di queste emigrano – sovente fuggono improvvisamente – persone che resterebbero volentieri nel loro Paese, ma cause di forza maggiore – in primis la guerra e le devastazioni ambientali – le spingono contro la loro volontà a partire, a spostarsi verso luoghi in cui queste calamità sono attutite o inesistenti (tali sono i rifugiati/richiedenti asilo). A queste migrazioni indesiderate o forzose si aggiungono segmenti di persone trafficate, ovvero oggetto di tratta di esseri umani. Sono micro-flussi che si formano su progetti ingannevoli e mistificatori, sulla spinta di gruppi delinquenziali che propinano false promesse di lavoro; ad esempio per l’Italia anticipano le spese del viaggio (la stessa organizzazione gestisce il trasferimento) e del passaggio della frontiera. Una volta in Italia – o in Francia o Spagna, ma anche in Germania e Gran Bretagna – il gruppo criminale chiede la restituzione del denaro anticipato che la vittima predestinata non potrà pagare: sia perché è appena arrivata (non parla la lingua, etc.), sia perché le era stato promesso un lavoro remunerativo (che si rivela una falsità), sia perché è sola o solo in una città o Paese di cui non sa nulla (tra le promesse spesso c’è anche la sistemazione abitativa).
Il pagamento avviene mediante lo sfruttamento intensivo di carattere sessuale, lavorativo o l’ accattonaggio forzoso, mediante pratiche assoggettanti e spesso di natura servile e para-schiavistica. Lo jus migrandi – come ha spiegato il prof. Luigi Ferrajoli – è un istituto giuridico già avqanzato dai giuristi della scuola di Salamanca, tra il XVI e il XVII secolo – in primis da Francisco de Vitoria – per giustificare l’arrivo dei coloni nelle Americhe e per legittimare il processo di impossessamento delle aree in cui i coloni medesimi si insediavano. E’ stato utilizzato dai Paesi occidentali fino alla Seconda guerra mondiale, ovvero fin quando le emigrazioni partivano anche dall’Europa. Quando i flussi hanno preso la rotta inversa, e la meta migratoria è divenuta l’Europa stessa, si è cominciato a mettere in discussione l’impianto teorico e pratico dello jus migrandi.
Oggi con l’istituzione dell’Europa-fortezza lo ius migrandi è addirittura considerato un mito negativo, in quanto considerato un “fattore attrattivo dei flussi” e dunque propedeutico al pericolo di invasione straniera. Condizione quest’ultima del tutto enfatizzata, giacché per invasione s’intende l’ingresso sul territorio nazionale di un esercito straniero in armi, anche senza che vi sia una guerra dichiarata. Questa visione è parziale e riduttiva; al contrario per governare i flussi migratori servono programmi di ampio respiro transnazionale, né essi sono da considerarsi di per sé negativi. Anzi, in Italia, come in altre parti d’Europa, sono compensativi dell’effetto del cosiddetto “declino demografico”: ossia della carenza di popolazione dovuta al saldo negativo tra le nuove nascite e le morti, con conseguente scarsità di forza lavoro.
Queste sono le cause strutturali che postulano società tendenzialmente aperte e multiculturali, dove il benessere venga equamente redistribuito in una ottica inclusiva e solidaristica. Ciò anche per prevenire lo scatenamento dei conflitti e delle guerre miranti all’accaparramento predatorio delle risorse presenti in abbondanza nei Paesi da cui provengono i principali flussi interessanti l’Europa, a cominciare dall’Africa e dal Medio Oriente.
Nella riflessione fatta dal gruppo ci si è anche posto il problema del governo mondiale, e l’attenzione è andata subito all’idea pacifista e inclusiva che portò alla nascita delle Nazioni Unite; è un’idea altrettanto valida oggi, per la sua capacità di mediazione a livello mondiale (contro gli attuali neo-nazionalismi emergenti), per la sua visione globale e per l’attenzione ai diritti umani. Lo sforzo che sarà necessario intraprendere non può prescindere da questo patrimonio storico-culturale e scientifico, ma occorrerà comprendere come renderlo di nuovo propulsivo e punto di riferimento mondiale per i popoli desiderosi di vivere armonicamente tra di loro. Si è anche detto che l’idea di conflitto è antica e sottende in ultima analisi un principio del movimento. Cosicché chi si pone in conflitto può indicare un’altra direzione da intraprendere che può anche essere inclusiva e cooperante (et et) – e non necessariamente implicare una contrapposizione netta e distruttiva (aut aut).
Di seguito le sintesi dei contributi dei singoli studenti, come li hanno concepiti e redatti sulla base delle riflessioni congiunte.
La povertà relativa, principale causa delle migrazioni. Che fare per un migliore domani?
di Benedetta Ferrara
Una delle cause principali della povertà a livello globale sono le migrazioni che avvengono a causa di molteplici fattori; la povertà è la principale causa.
Sappiamo che emigrano gruppi di persone che si trovano in condizione di povertà relativa, ossia patiscono una tipologia di povertà che “permette” alle persone interessate di uscirne, anche grazie al capitale umano e sociale che porta gli interessati a cercare soluzioni per uscire dalla povertà, come nel caso di usare il reddito per affrontare un viaggio verso nuovi Paesi.
Più difficilmente le persone in povertà assoluta riescono ad emigrare e a provare a cambiare il proprio status e quello della propria famiglia; la povertà assoluta è generalmente causata da fenomeni naturali come la desertificazione o i cataclismi (terremoti, maremoti ecc.) e da fenomeni umani come guerre, regimi dittatoriali, persecuzioni o anche l’industrializzazione che ha creato uno strato di precariato.
Povertà anche intesa come mancanza di un progetto di vita, ossia la mancanza di un capitale che permetta a persone e famiglie di aspirare ad una condizione migliore di vita.
Quindi la povertà è intesa non solo come povertà materiale ma anche come assenza di un progetto di vita autonomo scaturente a causa dell’impossibilità o incapacità di utilizzare un reddito o un bene che si possiede per migliorare e assicurarsi una qualità di vita.
Globalmente, il reddito delle 500 persone più ricche del mondo è superiore a quello dei 416 milioni di persone più povere (secondo lo Human Development Report 2005). Povertà è anche una sensazione di impotenza e di frustrazione, di impossibilità di prendere decisioni, di esclusione, di mancanza di accesso ai servizi, al sistema finanziario, alla società. Povertà è anche essere al di fuori dei canoni ‘soliti’, non poter avere un bell’aspetto o sentirsi in grado di garantire un futuro dignitoso ai propri figli
Povertà come causa delle migrazioni:
1. i fattori naturali (scarsità di risorse per lo sviluppo del gruppo umano, disastri naturali);
2. i fattori umani: esogeni (esterni al gruppo coinvolto nell’emigrazione).
In Italia non troppi anni fa le famiglie erano più numerose; da molte di loro uscirono donne che andavano a lavorare presso altre famiglie come “collaboratrici domestiche”, niente di differente dall’ondata di arrivi di donne dell’Est in Italia verso gli anni 80.
Oggi nel nostro Paese c’è una nuova fascia di precariato giovanile che non riesce a svincolarsi da questo status, giovani con contratto a prestazione occasionale o indeterminato, nei casi più gravi con lavoro in nero, una percentuale importante di queste categorie emigra in paesi come Londra, Berlino, Parigi, Amsterdam, dunque anche in Italia abbiamo un fenomeno di emigrazione causato dalle politiche economiche e sociali attuali nel nostro Paese.
Una delle conseguenze della povertà, sappiamo essere la guerra.
Nel 2019 sono in corso guerre e guerriglie che contano circa 69 Stati coinvolti con 818 “milizie” in campo.
I cambi di governo e le dittature stravolgono interi Paesi, grazie a ciò i più deboli devono pagare sempre il prezzo più alto.
Nel mondo però non si sono propagate solo guerre e governi dittatoriali, ma anche fenomeni come la globalizzazione e lo sviluppo della tecnologia avanzata; questi sono fenomeni più recenti che hanno portato al miglioramento delle tecnologie a discapito però del lavoro manuale. Il lavoro automatizzato ha preso il posto delle persone e questo ha portato molti persone a perdere il lavoro, aumentando i precari e diminuendo il salario ai dipendenti, spingendo le aziende a cercare territori sempre più poveri e privi di garanzie per impiantarvi le loro fabbriche. Si creano nuovi impianti per le industrie in Paesi poveri, con salari da fame, che provocano anche la deforestazione e l’inaridimento dei territori, aiutando così il fenomeno della desertificazione che costringe centinaia di persone a fuggire alla ricerca di una vita migliore. All’interno della povertà mondiale, si annidano le organizzazioni mafiose che approfittano del disagio delle persone più bisognose, creando delle vere e proprie reti di sfruttamento e inganno che non fanno altro che arricchire i vertici già ricchi e impoverire ulteriormente i già molto poveri.
I “nuovi poveri” si trovano di fronte all’altra faccia della medaglia, rappresentata dai giovani che hanno studiato, che hanno acquisito conoscenza e che con fatica cercano di immetterla nel mercato del lavoro. Persone che anche a 40-42 anni, ancora non hanno avuto un lavoro stabile, quindi non hanno mai avuto la possibilità di iniziare un progetto di vita, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La legislazione in Italia a contrasto e contenimento della povertà: abbiamo il Decreto legislativo n°147 del 2017 sul reddito di inclusione e quello sul reddito di cittadinanza che è stato al centro di discussioni animate. Esso è molto basato su centri per l’impiego non attrezzati e con impiegati non formati per seguire i procedimenti di assegnazione di tale reddito.
Nel corso di uno dei nostri incontri di lavoro per la programmazione e la messa a punto degli argomenti per questa Assemblea, insieme al professore Francesco Carchedi, abbiamo abbozzato un’idea embrionale di un progetto molto più grande.
Ci siamo chiesti come poter “prevenire” la povertà di domani, per noi e i nostri figli. Abbiamo pensato a livello globale per la prevenzione anche locale. La tutela delle persone più bisognose, sappiamo essere a carico dello Stato, che se ne occupa tramite l’emanazione di leggi e procedure (come per esempio la 104 per gli invalidi, i sussidi statali, l’assegnazione delle case popolari o il reddito di inclusione in vigore dal 2017) ma dovrebbe anche monitorare e prevenire situazioni di degrado e di esclusione sociale. Come fare?
Per esempio, noi abbiamo ipotizzato come idea embrionale la realizzazione di un organo (statale non statale? No profit? Governativo?) che possa essere replicabile in ogni Stato, che possa avere la sua sede nella quale, a livello “locale”, si possa fare un monitoraggio continuo per la verifica della giusta attuazione delle leggi e norme emanate dallo Stato. Ogni Stato così avrebbe la possibilità di un continuo monitoraggio, per poi inviarlo al “cervellone” centrale che potrà avere una visione globale di quale sia l’andamento della povertà mondiale, così da poter attuare progetti di prevenzione e di sensibilizzazione in materia.
Lo Ius Migrandi: la differenza è la stessa faccia dell’eguaglianza
di Mihai Vasile Serban
Lo Ius Migrandi proviene dal diritto latino che attribuiva uno status civile, anche di livello intermedio tra la piena cittadinanza romana e lo stato di non cittadino. Rappresentava la svolta nella società civilizzata del passato perché teneva in conto il bisogno di emigrare delle persone. Ma che cos’è lo Ius migrandi? E’ il diritto delle persone di spostarsi in un altro Paese; questo divenne legge nel periodo del primo colonialismo con la scuola di Salamanca che affermò il diritto degli europei sul Nuovo mondo. Ciò che realmente Francisco de Vitoria scrisse era una relazione sulla giusta integrazione tra i selvaggi (così li definivano all’epoca) e il popolo di Dio che non avrebbe mai dovuto usare la forza, se non per difendersi. Questa opera si chiama Relectiones de Indis recenter inventis et de jure belli Hispanorum in barbaros.
Adesso andiamo un po’ più in profondità. Cosa spinge una persona a lasciare la sua terra, la sua cultura, le sue conoscenze, per imbarcarsi in un viaggio verso l’ignoto? Abbiamo dati storici su grandi spostamenti di massa come nel periodo del collasso dell’Impero romano, nel periodo imperialista ma anche nei periodi recenti, come nel 900 dove vediamo un grande spostamento di persone verso un luogo che può offrire speranze di vita migliori come l’America. Ancora più semplicemente in Italia possiamo vedere lo spostamento dal Sud verso Nord, e dall’Italia verso altri Paesi. La sofferenza che hanno vissuto è stata del tutto dimenticata. Oggi gli italiani rispetto all’immigrazione si spaccano in due fazioni: una parte (in questo periodo forse la maggioranza) vede solo clandestini e vuole che siano rimandati ai loro Paesi di origine; altri credono che sia meglio inserirli, poiché sono persone come quelle che andarono via dall’Italia, offrendo solidarietà e possibilità di integrazione. Sinceramente non so quale posizione prendere, se non pormi nel mezzo e prendere le cose migliori dell’una e dell’altra posizione, ma sono sicuro che se non si giunge al più presto ad una soluzione del problema, questo si moltiplicherà all’ennesima potenza.
Avendo chiarito che il diritto di circolare è intrinseco all’essere umano, possiamo cominciare a domandarci perché noi abbiamo paura del diverso, di chi viene da fuori. Dobbiamo però usare criteri umani, e criteri di giustizia sociale e non criteri che si basano sull’egoismo, o peggio ancora sulla razza. Nel passato questi ultimi criteri erano quelli correnti, e abbiamo visto i fascismi e i nazismi selezionare le persone in base alla razza, e alle inclinazioni politiche e anche sessuali. Il focus sul quale alcune politiche si basano è quello del rifiuto di queste nuove emigrazioni, che sono invece un bisogno per quelli che partono e un bisogno per le società dove arrivano. Perciò non è l’uomo che deve essere accettato dalla società ma la società che deve integrare il maggior numero di cittadini e rispettarne le esigenze. La società è fatta di persone, di individui con la loro diversità, il loro bagaglio culturale, i loro sentimenti.
Emigrare magari dall’altra parte del mondo, vedere tante persone e non farcela! Sapere che sono stati fatti dei sacrifici per il viaggio ed infine arrivare e sentirsi come intrusi, emarginati! Immaginatevi di entrare ogni giorno in un ambiente e sentirvi tra i tanti presenti come un nessuno, come un invisibile. Alle origini, lo ius migrandi si è caratterizzato come un diritto del più forte e non un diritto uguale per tutti, nonostante esso sia entrato, per merito del pensiero liberale, dentro i diritti fondamentali e faccia parte della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Infatti, nel secondo comma dell’articolo 13 essa recita: “Ogni persona ha diritto di abbandonare qualsiasi Paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio Paese”.
La legge è chiara ed è stata scritta nel passato ma attualmente si mette in discussione ogni volta: ogni volta che arrivano, ad esempio, nuovi migranti. E questa posizione è presa dai più non perché dietro c’è un ragionamento scientifico, perché si analizzano i dati e su questi si ragiona. No. Ma solo perché è più facile chiudersi nel proprio egoismo e rimanere nella propria sfera confortevole. Dobbiamo invece dire ad alta voce che l’immigrazione è non solo utile, ma anche preziosa poiché ci apre la mente e spinge la cultura a confrontarsi con il mondo e con tutte le sue bellezze e differenze. La differenza è la stessa faccia dell’uguaglianza, l’una senza l’altra non sono possibili.
Verso una società interculturale. “Si aspettavano braccia, sono arrivate persone”
di Irina Caraman
Quando parliamo di flussi migratori si tende a pensare solamente ai cosiddetti “stranieri” che arrivano nel Paese in cui viviamo. Dobbiamo, invece, guardarli per ciò che sono veramente. I flussi migratori sono tutti quegli spostamenti che intraprendono le persone dal luogo della propria residenza verso altri Paesi: può trattarsi di un’altra nazione come anche di una regione diversa all’interno del proprio Paese. Le migrazioni possono essere temporanee oppure permanenti.
Ma chi è che si sposta? Se riflettiamo un secondo ci possiamo rendere conto che quasi ognuno di noi lo ha fatto almeno una volta nella vita. Il fenomeno migratorio interessa tutti, non solamente chi si trova in situazioni particolari.
Vediamo quindi quali sono i motivi che portano le persone a migrare. Ci sono due tipologie di fattori strutturali che generano le migrazioni: i fattori push, ossia le ragioni che spingono le persone a partire, e i fattori pull, ovvero di attrazione verso un determinato luogo.
I fattori di spinta sono: la ricerca di condizioni di vita migliori rispetto a quelle possibili nel luogo di residenza; i fattori ambientali come le desertificazioni, deforestazioni, alluvioni o siccità, divenuti motivi sempre più importanti e in continua crescita; le violenze e i conflitti che spesso causano fughe di massa; infine l’aumento del livello di istruzione che allarga gli orizzonti delle persone. Infatti, sappiamo che generalmente si sposta non chi vive nella povertà assoluta, bensì coloro che hanno i mezzi per farlo.
I fattori di attrazione sono invece: la necessità da parte del mercato del lavoro di manodopera in un determinato territorio, soprattutto negli impieghi meno graditi dagli autoctoni, accanto al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione; l’esistenza di canali di ingresso; la regolarizzazione da parte delle politiche nazionali; il richiamo delle persone già inserite in un determinato posto; l’aiuto a favore dei migranti da parte delle ONG; e sicuramente negli ultimi tempi la diffusione dei mezzi di comunicazione.
A livello globale, è quasi impossibile avere dei dati precisi sui flussi migratori. Nel 2015 si è potuto stimare un numero di circa 244 milioni di migranti, numero nettamente superiore rispetto a quindici anni fa quando se ne contavano all’incirca 173 milioni. Ciò non va visto semplicemente come l’aumento delle migrazioni ma anche come un generale aumento della popolazione stessa e maggiore facilità nello spostarsi rispetto al passato.
Le migrazioni interessano tutti i continenti e in base al momento storico possono riguardare particolarmente alcune aree.
Il nostro compito è avere una visione oggettiva e umana dei fatti, non pensare alla propria nazione o continente come luogo primario di eventi, sbarazzarsi della visione etnocentrica che applichiamo nell’agire e nel pensare.
Questo etnocentrismo è sicuramente legato a fattori economici, in particolare di chi è più egemone, e allo stesso tempo è una scelta a livello politico, e questo lo possiamo vedere senza andare troppo lontano. Come ci mostra un sondaggio di Demos, la percezione dei migranti come pericolo in Italia cresce in corrispondenza delle elezioni. Accanto al sentimento di superiorità dei Paesi più sviluppati viene, quindi, alimentata l’idea infondata che i migranti siano pericolosi. Di fatto, secondo il rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla sicurezza, la relazione tra immigrazione e incremento della criminalità è solamente una convinzione dell’opinione pubblica italiana, ma non si è verificato un incremento effettivo dei crimini. Inoltre, i crimini commessi da parte degli stranieri sono per lo più reati di scarsa rilevanza sociale, e sono determinati da motivi sociali quali la discriminazione e i pregiudizi.
È questa la visione etnocentrica dei Paesi occidentali, che viene giustificata attraverso dei pregiudizi mascherati come dati di fatto. Si irrigidiscono i controlli alle frontiere, e la possibilità di entrare in un Paese.
Ciò comporta a sua volta l’incremento della criminalità organizzata e in particolare il traffico e sfruttamento delle persone, che diventa un circolo vizioso per ulteriori atti illegali e violenti. Ma ciò non rende i migranti colpevoli bensì mezzo per attuare crimini in quanto la criminalità organizzata si muove sul territorio ed è gestita dagli stessi connazionali. Le migrazioni che trasmettono un senso di “invasione” ai popoli dell’occidente, sono in realtà dei meccanismi che creano equilibrio demografico e vanno a colmare il calo di natalità.
Anche a livello economico i migranti sono una risorsa molto importante in quanto arrivano per la maggior parte in età lavorativa (tra i 25 e i 50 anni, come possiamo osservare dal World Migration Report) e contribuiscono come forza lavoro. In Italia in particolare, il mito che gli immigranti “rubano” il lavoro viene sfatato dai dati dell’Istat secondo i quali i lavori che praticano gli stranieri sono quelli considerati più umili e poco praticati dagli italiani (domestici, badanti, pastori, braccianti, operai nel settore edile anche non qualificati, addetti a pulizie di alberghi e uffici, addetti alle merci e imbianchini).
Essendo pertanto le migrazioni una risorsa, non solamente demografica ma anche economica e sociale, sembrerebbe scontato che la migliore scelta sia attuare una politica di integrazione e soprattutto rendere libero il movimento delle persone con l’incremento delle migrazioni transnazionali e rendere più armonica la convivenza multiculturale. Non basta il riconoscimento del lavoro ma va riconosciuta anche la dignità a livello umano di ogni persona. E’ utile ricordare che nelle migrazioni dei decenni scorsi i Paesi cosiddetti. importatori di manodopera si accorsero che “Si aspettavano braccia, sono arrivate persone”, come scrisse Max Frisch scrittore svizzero nel 1965.
La cattiva globalizzazione e l’universalità dei diritti
di Andrea Ricci e Larisa Ivu
La globalizzazione indica il fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle trasformazioni economiche, dalle innovazioni tecnologiche e dai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso modelli di produzione e di consumo più uniformi e convergenti. Coniato dalla rivista The Economist nel 1962, il termine globalizzazione. si è diffuso solo a partire dalla metà degli anni Novanta dello scorso secolo, e talvolta è inteso come sinonimo di liberalizzazione, per indicare la progressiva riduzione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei capitali su scala planetaria.
La globalizzazione dell’economia da un lato sta facilitando gli scambi internazionali producendo maggiore benessere. Dall’altro sta mettendo in luce i grandi squilibri del pianeta: per il 20% della popolazione mondiale che dispone dell’80% delle ricchezze del pianeta, tutto sembra vicino, accessibile, acquistabile;per tutti gli altri le necessità anche basilari, sono negate dalla povertà e dall’arretratezza. Al Nord sempre più ricco si contrappone un Sud più povero e sempre più sfruttato.
A regolare il commercio in tutto il mondo è un organismo chiamato Wto (World trade organization). Il Wto dovrebbe permettere che lo scambio di merci tra i Paesi del mondo avvenga liberamente, ma in realtà finisce con il difendere gli interessi delle nazioni più ricche.
Quindi il fatto che gli equilibri economici siano stabiliti a livello globale e non più locale non ha finora diminuito gli squilibri e le differenze. Anzi, per i Paesi più sviluppati del Nord del mondo (America del Nord, Europa, Giappone), la globalizzazione ha significato un maggiore arricchimento. I Paesi in via di sviluppo del Sud del mondo ( America latina, Africa, Asia), invece stanno diventando sempre più poveri.
In molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina più di trecento milioni di persone vivono con 1-2 dollari al giorno.
Le grandi multinazionali hanno creato occupazione in molti Paesi in via di sviluppo, spostandovi le proprie fabbriche, ma questo non ha generato vera ricchezza, in quanto:
1. la manodopera locale riceve stipendi molto bassi e lavora spesso in condizioni di sfruttamento;
2. l’impiego nelle fabbriche toglie braccia alla produzione agricola, fonte di sostentamento principale;
3. le multinazionali anche quando creano occupazione nell’agricoltura, impongono la coltivazione di prodotti per il consumo dei Paesi industrializzati e non quelli necessari a sfamare la popolazione locale;
4. le grandi aziende scelgono di delocalizzare la produzione in Paesi in cui non esistono leggi a difesa dell’ambiente e contro l’inquinamento, producendo danni ambientali molto seri.
Per sfuggire alla trappola della povertà e del sottosviluppo molti lasciano i loro Paesi d’origine sognando un futuro diverso in Europa o in America. Paradossalmente, alla facilità con cui il denaro e le merci circolano, non corrisponde la stessa facilità di accoglienza da parte dei Paesi sviluppati degli immigrati provenienti dal Sud del mondo.
Spesso il sogno di una vita migliore per i migranti si infrange contro una realtà fatta di esclusione di diffidenza e a volte finisce nell’incubo di un nuovo sfruttamento.
Sin dall’antichità lo ius migrandi sancito dal Trattato di Augusta nel 1555 e poi confermato nel 1948 nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu, garantisce alla persona il diritto di emigrare. Dato questo assetto mondiale derivato dalla globalizzazione economica andrebbe incentivato ogni singolo Paese all’accoglienza dei migranti, tutelando gli interessi degli Stati e soprattutto rispettando i diritti umani universali. Pensiamo, allora, a un’autorità sovranazionale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, in grado di tutelare a tutti gli effetti i diritti dei migranti, per una globalizzazione totale che prenda in considerazione non solo le ricchezze ma anche i bisogni dell’umanità.
Immaginiamo un mondo globale in cui la politica estera e la cooperazione internazionale acquistino una centralità totale. Dobbiamo dire con forza che le risposte sovraniste e nazionaliste non sono solo inefficaci, ma anche nocive. In realtà noi non abbiamo bisogno di meno globalizzazione, ne abbiamo bisogno di più, di una globalizzazione dei diritti. Questa ci potrà portare ad essere tutti più liberi ed uguali.
Oltre l’ONU, verso un costituzionalismo mondiale
di Larisa Ivu
Nonostante l’Onu come struttura abbia avuto importanti riconoscimenti in passato, oggi risulta essere debole e bisognosa di un rafforzamento o meglio dire di un superamento.
L’organizzazione è nata il 24 Ottobre 1945 e la Carta Atlantica ha rivestito un ruolo fondamentale per la stipulazione dei suoi obiettivi.
I suoi fini principali sono:
1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale
2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza e dell’autodeterminazione dei popoli e altre misure per rafforzare la pace
3. Cooperazione internazionale nella soluzione di problemi di carattere economico, sociale, culturale ed umanitario
4. Costruire un centro per il coordinamento delle attività delle nazioni.
Per quanto riguarda i principi invece sono:
1. Il principio della sovrana uguaglianza.
2. Assicurare a ciascun membro diritti e benefici ma allo stesso tempo ogni membro è richiesto di adempiere ai propri doveri.
3. Risolvere controversie internazionali con mezzi pacifici
4. Astenersi da relazioni basate sull’uso della forza e della minaccia
5. Dare assistenza a qualsiasi azione intrapresa in conformità con lo statuto.
Ovviamente tutti i concetti sopra elencati sono inestimabili, ma la domanda che dobbiamo porci è se questo organismo internazionale è veramente efficace.
Per il momento possiamo rispondere sì e no, ma quello che risulta essere evidente è la necessità di un cambiamento.
L’inizio di questo cambiamento può essere predisposto con un’implementazione dei diritti e il monitoraggio effettivo di questi ultimi con una conseguente valutazione dell’impatto sulle persone reali.
Quindi necessitiamo di un’organizzazione che abbia un potere sovranazionale ed effettiva capacità di azione, alla cui base sia presente anche una nuova Costituzione Internazionale più ampliata per poter garantire la democrazia ai cittadini del mondo.
Possono sembrare concetti lontani da noi e dalla nostra realtà attuale, ma non possiamo negare l’impatto positivo e di empowerment che apporterebbe a livello globale.
Conclusione: l’idea della clessidra, tra mondo e nazioni
Abbiamo pensato a una forma di governo che garantisca l’applicazione dei diritti, ossia i diritti fondamentali dell’essere umano quali giustizia, libertà uguaglianza, dignità e inoltre il diritto alla libera circolazione, all’assistenza, all’integrazione e sostegno al raggiungimento di una vita dignitosa.
La struttura potrebbe avere la forma di una clessidra. Nella parte superiore si troverebbe il cosiddetto governo planetario, unico per tutte le nazioni del mondo, che realizzasse le leggi e si assicurasse che esse vengano applicate a livello nazionale.
Le nazioni a loro volta, che si troverebbero nella parte inferiore della clessidra, si dovrebbero occupare della gestione e risoluzione dei problemi interni individuati. La struttura di questo governo a livello nazionale sarebbe quindi più personalizzato. Le varie problematiche interne farebbero da spunto per nuove leggi, e ogni Stato si occuperebbe del monitoraggio e del funzionamento effettivo delle leggi.
Tra i vari governi nazionali e il governo globale ci sarebbe un filtro centrale attraverso il quale comunicherebbe continuamente. Esso serve ad accogliere le richieste attraverso degli incontri sistematici.
In conclusione, nonostante la proposta utopica, abbiamo i mezzi per avviarci verso l’universalizzazione dei diritti. Per fare ciò bisogna iniziare a rendere consapevoli le persone che esistono dei diritti fondamentali che vanno tutelati e applicati. Con questo progetto di governo ci possiamo avvicinare a tale iniziativa.