«BANDIRE L’ATOMICA, APRIRE LE FRONTIERE»
La conferenza stampa sul “katécon”
«BANDIRE L’ATOMICA, APRIRE LE FRONTIERE»
L’appello a resistere “per un mondo non genocida patria di tutti patria dei poveri” è stato presentato alla Camera dei Deputati a Roma. I resoconti del “Manifesto” e dell’”Avvenire”. Gli interventi del console Enrico Calamai, del giudice Domenico Gallo e la registrazione dell’evento
Si è tenuta mercoledì 29 novembre 2017 alla Camera dei Deputati a Roma una conferenza stampa per la presentazione ufficiale dell’ “Appello a resistere (katécon) per un mondo non genocida Patria di tutti Patria dei poveri” e per l’illustrazione del programma dell’assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” di sabato 2 dicembre. Hanno dato conto delle ragioni del katécon alcuni dei primi firmatari, Raniero La Valle, Enrico Calamai, Grazia Tuzi e Domenico Gallo, ha presentato l’assemblea Monica Cantiani. Ampi resoconti dell’evento sono stati pubblicati dall’ “Avvenire” e dal “Manifesto”, Radio radicale ha provveduto alla registrazione video, fruibile cliccando qui
Qui pubblichiamo l’articolo di Luca Kocci sul “Manifesto”, i testi di Enrico Calamai e di Domenico Gallo, e la nota di Angelo Picariello sull’”Avvenire”:
NOBEL PER LA PACE, GIURISTI, UOMINI E DONNE DI CHIESA, ARTISTI E ATTIVISTI PRESENTANO UN DOCUMENTO IN CUI DENUNCIANO LA MENTALITÀ DEL GENOCIDIO CHE GOVERNA OGGI NEL MONDO
Luca Kocci (dal Manifesto del 30 novembre 2017)
Appello ad una nuova resistenza contro chi minaccia di distruggere il pianeta e la convivenza fra i popoli, con due impegni prioritari: lottare perché gli Stati firmino il Trattato Onu per l’interdizione delle armi atomiche e perché sia attuato lo ius migrandi, ovvero «il diritto universale di migrare e stabilirsi nel luogo più adatto a realizzare la propria vita».
Lo chiedono quattro premi Nobel per la pace: Adolfo Perez Esquivel (difensore dei diritti umani negli anni della dittatura militare in Argentina), Shirin Ebady (leader nella lotta per i diritti delle donne e delle bambine in Iran), Jodi Williams (promotrice abolizione mine antiuomo, presidente del Nobel Women’s Initiative) e Mairead Corrigan-Maguire (fondatrice con Betti Williams del Northern Ireland Peace Movement).
E lo chiedono giuristi (Luigi Ferrajoli, Lorenza Carlassare, Ugo Mattei, Paolo Maddalena), uomini e donne di Chiesa che si richiamano al magistero di papa Francesco (il card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, l’ex vescovo di Caserta Raffaele Nogaro, don Luigi Ciotti, padre Alex Zanotelli), attivisti per la giustizia e la pace (Luisa Morgantini, Riccardo Petrella, Giorgio Nebbia), artisti (Fiorella Mannoia, Moni Ovadia) e altri ancora.
Il documento («Per un mondo non genocida, patria di tutti patria dei poveri») è stato presentato ieri alla Camera dei deputati, in una conferenza stampa con Domenico Gallo, Raniero La Valle ed Enrico Calamai, lo «Schlinder argentino», ex console italiano nell’Argentina dei generali.
Nel 1948 gli Stati adottarono la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Ma oggi si ragiona e si governa «come se quella scelta non ci fosse stata», si legge nell’appello.
«Giocare a minacciarsi l’atomica tra Corea del Nord e Usa significa ammettere come ipotesi il genocidio; pretendere di rovesciare regimi sgraditi votando alla distruzione i relativi popoli come danno collaterale è già genocidio; mettere in mano a un pugno di persone la maggior parte delle ricchezze di tutto il mondo vuol dire attivare “un’economia che uccide”, cioè genocida; incendiare il clima e devastare la terra significa ecocidio, cioè scambiare il lucro di oggi con il genocidio di domani; intercettare il popolo dei migranti e dei profughi, fermarlo coi muri e coi cani, respingerlo con navi e uomini armati, discriminarlo secondo che fugga dalla guerra o dalla fame, e toglierlo alla vista così che non esista per gli altri, significa fondare il futuro della civiltà sulla cancellazione dell’altro, che è lo scopo del genocidio».
Una situazione che, spiegano i promotori, rende attuale quello che san Paolo descriveva come «il mistero dell’anomia», cioè la perdita di ogni legge e la pretesa dell’uomo e del potere di mettersi al di sopra di tutto. All’epoca si annunciava «una resistenza, una volontà antagonista che avrebbe trattenuto e raffrenato le forze della distruzione». Oggi quella resistenza va rilanciata. Luca Kocci
IL RISCHIO DI UN GRANDE SISTEMA GENOCIDARIO NEL BACINO AFRICANO E MEDIORIENTALE
Enrico Calamai
Viviamo in un contesto mondiale caratterizzato dall’asimmetria: scientifico\tecnologica in primo luogo, ma di conseguenza anche militare, economica e culturale. Un mondo in cui la guerra è tornata a essere uno strumento praticabile e praticato da parte della iperpotenza sopravvissuta alla guerra fredda e dell’Occidente che ruota intorno ad essa. Perfino da parte di Stati la cui costituzione la ripudia. Viviamo in un sistema economico globale, il neoliberismo, che antepone l’economia alla politica e all’etica, atomizza le società, valuta le masse come materiale per la produzione, l’individuo in quanto consumatore – che è l’altra faccia della sua attività lavorativa – e non in quanto titolare di diritti umani.
Un contesto in cui le risorse dei Paesi che non si dimostrano in grado di difendere la propria sovranità, specie il petrolio, vengono accaparrate da una parte di gran lunga minoritaria della popolazione mondiale, per mantenere livelli di vita e di spreco cui si accompagnano nel resto del mondo miseria, disastri ecologici, guerre e terrorismo, che è la guerra dei poveri, tentativi di proliferazione nucleare, migrazioni di massa. Un mondo orwelliano nel quale l’informazione quotidianamente ci ripropone baluginanti caleidoscopie che ben poco hanno a che vedere con la realtà.
L’appello che stiamo presentando richiama due punti cruciali dell’attuale contesto mondiale: il rischio di un conflitto nucleare che spazzi via la vita sul nostro pianeta da una parte, il quotidiano massacro di migranti che si verifica ai confini dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, dell’Australia, dall’altra. Entrambi sono problemi strutturali di un mondo che ancora oggi vede contrapporsi la protervia dei ricchi alla lotta per la sopravvivenza dei dannati della terra.
Per quanto riguarda la proliferazione nucleare, non può sfuggire che oggi l’ottenimento dell’arma per eccellenza è il principale obiettivo cui può puntare, se vuol sopravvivere, uno Stato canaglia come la Corea del Nord – e ce ne sono tanti. Così come non può sfuggire che Saddam Hussein, se avesse veramente disposto di un arsenale di armi di distruzione di massa , sarebbe probabilmente ancora oggi al suo posto. Arrivare a possedere l’arma nucleare è dunque una specie di assicurazione per vedere la propria sovranità rispettata da parte degli Stati che già ne dispongono, con il continuo lievitare del rischio globale che questo rincorrersi comporta.
E allora, l’unica soluzione realistica, per quanto apparentemente in contrasto con la realpolitik, è quella proposta dal nostro appello, vale a dire l’adozione del Trattato delle Nazioni Unite per la messa al bando delle armi nucleari, una de/escalation da parte delle attuali, arroganti potenze nucleari finalizzata a rendere possibile la costruzione di un mondo nuovo, libero dalla minaccia di sterminio totale nel rispetto del basilare principio della sovranità degli Stati.
Per quanto riguarda l’afflusso di migranti e richiedenti asilo, occorre premettere che l’arrivo di masse in fuga per la vita da dittature, catastrofi climatiche, miseria endemica, guerre e crisi troppo spesso da noi stessi provocate, può comportare contraccolpi destabilizzanti soltanto in un contesto neoliberista di drastica e costante riduzione della spesa pubblica, quale quello che stiamo vivendo. Basterebbe cambiare le politiche di bilancio per smorzare qualunque contraccolpo e soffocare sul nascere le guerre tra poveri.
Ma non è così che agiscono i Paesi dell’UE. Si tenta di risolvere il problema esternalizzando le frontiere e spingendole sempre più a sud, frapponendo normative proibizionistiche che trasformano in res nullius la massa dei disperati che riescono comunque ad arrivare alla sponda sud del Mediterraneo. Non solo, si è costruito un complesso sistema a tenaglia, attraverso il cosiddetto Processo di Rabat sulla sponda occidentale dell’Africa e il processo di Khartoum su quella orientale, di cui fanno parte dittature quali quella eritrea, sudanese, egiziana, che ricorda il tristemente noto Piano Condor degli anni 70 tra le dittature latino americane, e in cui governi criminali vengono sostenuti, armati e finanziati affinché blocchino in qualunque modo il flusso dei migranti prima che possano arrivare alle coste mediterranee e diventare percettibili dalla nostra pur ondivaga opinione pubblica.
Sappiamo ormai, perché ampiamente documentato, quanto avviene in Libia, che è soltanto un tassello del sistema, possiamo ben immaginare i metodi seguiti dai “ diavoli a cavallo” incaricati in un primo tempo dal governo sudanese del genocidio in Sud Sudan e attualmente di dare la caccia e bloccare, costi quello che costi, migranti e richiedenti asilo. Si sta mettendo a punto un sistema concentrazionario diffuso ma rispondente a un disegno unitario, in tutto l’enorme bacino africano e mediorientale che fa capo al Mediterraneo, nel quale le torture, i massacri, i trattamenti inumani e degradanti sono da tempo all’ordine del giorno e che se non bloccato potrebbe diventare il più grande sistema genocidario della storia dell’umanità
L’appello che oggi presentiamo contiene un forte e persuasivo richiamo a tutti gli uomini di buona volontà, qualunque ne sia il credo, per un ritorno alla partecipazione alla vita pubblica, per una resistenza pacifica ma determinata contro tutte le politiche guerrafondaie ed eliminazioniste messe in atto dai governi europei e Nato.
Occorre recuperare la capacità di colmare la distanza tra governanti e governati che oggi sembra essersi affermata, riscoprire l’ homo politicus che sta a monte dell’homo economicus, ricreare massa critica come ai tempi della prima guerra contro l’Iraq. E’ un invito a ritrovare fiducia nella nostra capacità di resistenza contro il solipsismo di un’Europa Fortezza che pensa di poter sopravvivere annegando i propri valori fondanti nel sangue altrui, come se fosse diverso dal nostro.
E in questo chiediamo l’appoggio in particolare dei settori più sensibili e avvertiti della stampa, per riuscire ad abbattere il muro di gomma dell’indifferenza mediatica e della disinformazione diffusa che ne deriva.
Enrico Calamai
RISTABILIRE IL TABÙ DELLE ARMI NUCLEARI
LA DEPLOREVOLE SCELTA DELL’ITALIA
Domenico Gallo
I giornali di oggi 29 novembre hanno aperto mettendo in rilievo la notizia del lancio da parte della Corea del Nord di un nuovo missile balistico che ha una gittata capace di colpire gli Stati Uniti e l’Europa
Questa mattina la televisione di Pyongyang ha annunciato in una trasmissione speciale il nuovo test missilistico. Il messaggio è che la Nord Corea è riuscita nella «storica impresa» di diventare una potenza nucleare e missilistica a tutti gli effetti. «Lo diciamo al mondo con orgoglio, la Repubblica Popolare Democratica di Corea è uno Stato nucleare», ha detto con la sua voce esultante la presentatrice televisiva.
I principali mezzi di comunicazione riferiscono delle performance militari della Corea del Nord e del crescendo di insulti e minacce fra Trump e Kim Jong-un e ne danno una lettura colorita, a volte anche in chiave folkloristica. Tuttavia, mentre si descrive il sintomo si ignora la malattia che lo ha generato. Nessuno si chiede cos’è che non ha funzionato, com’è possibile che ci troviamo di nuovo di fronte al rischio di olocausto nucleare? L’appello a resistere all’iniquità del tempo presente, che oggi presentiamo, si propone proprio di guardare oltre, leggere le cause ed i rischi del tempo corrente e denunziare le tendenze distruttive ed i pericoli di genocidio che gravano di nuovo sull’umanità.
Osserva l’appello: “Giocare a minacciarsi l’atomica tra Corea del Nord e Stati Uniti significa infatti ammettere come ipotesi il genocidio di uno o più popoli o di tutti i popoli; pretendere di rovesciare regimi sgraditi votando alla distruzione i relativi popoli come “danno collaterale”, è già genocidio; mettere in mano a un pugno di persone la maggior parte delle ricchezze di tutto il mondo vuol dire attivare “un’economia che uccide”, cioè genocida, poiché attenta alla vita di popolazioni intere, mettendole fuori mercato; continuare a incendiare il clima e a devastare la terra significa ecocidio, cioè scambiare il lucro di oggi con il genocidio di domani; intercettare il popolo dei migranti e dei profughi, fermarlo coi muri e coi cani, respingerlo con navi e uomini armati, discriminarlo secondo che fugga dalla guerra o dalla fame, e toglierlo alla vista così che non esista per gli altri, significa fondare il futuro della civiltà sulla cancellazione dell’altro, che è lo scopo del genocidio”.
E’ un grido d’allarme che nasce da una epistemologia delle condizioni reali in cui si dibatte l’umanità. Si tratta di un grido d’allarme di personalità che in qualche modo riflettono la coscienza morale dell’umanità e vedono con chiarezza quei mali che la politica ed il sistema dei media tendono a banalizzare o a nascondere. E’ un’analisi impietosa, che non chiude alla speranza. Infatti, osserva l’appello: “. Queste pratiche, oltre che malvagie, sono contro ragione; infatti nessuna di esse va a buon fine, mentre scelte opposte sarebbero ben più efficaci e vantaggiose, possibili e politicamente capaci di consenso”.
Di qui l’appello alla resistenza, a suscitare una volontà antagonista che possa trattenere e frenare le forze della distruzione ed impedirne il trionfo: “noi avanziamo l’urgenza che dai popoli si esprima una tale resistenza, si eserciti questo freno, come già avvenne nel Novecento quando il movimento della pace in tutto il mondo, interponendosi in modo non violento tra i missili nucleari da un lato e l’umanità votata allo sterminio dall’altro, riuscì a ottenere il ritiro della minaccia e a scongiurare la guerra atomica. Due appaiono oggi gli impegni prioritari di questo resistere agendo:
1 . Lottare perché le Potenze nucleari simultaneamente firmino e attuino il Trattato dell’ONU per la interdizione delle armi nucleari, cui già aderisce la maggior parte delle Nazioni;
2 . Lottare perché sia riconosciuto e attuato con politiche graduali e programmate il diritto universale di migrare e stabilirsi nel luogo più adatto a realizzare la propria vita.”
Ciò che auspica questo appello è che tale visione del mondo e della civiltà di domani non solo sia enunciata come ideale, ma sia assunta come compito, diventi resistenza e azione, si faccia “movimento”.
A questo punto è necessaria una spiegazione di questi due impegni prioritari per resistere agendo.
Come spiega l’appello: ““ Alla fine della seconda guerra mondiale i popoli giudicarono la civiltà che li aveva portati a quella crisi, e si resero conto di come essa fosse avanzata nel tempo rendendosi più volte colpevole di razzismi aggressioni e genocidi. Nel 1948 essi adottarono la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, termine con cui si intendeva non solo lo sterminio di un intero popolo, ma tutti gli atti volti “a distruggere in tutto o in parte” un gruppo umano come tale. Pertanto essi decisero di passare a una civiltà di popoli eguali senza più genocidio.”
Nel 1948 fu approvata dall’ONU anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che costituisce una vera e propria “magna Carta” dell’Umanità. La Carta dell’Onu, la Dichiarazione Universale e la Convenzione contro il genocidio rappresentavano gli strumenti culturali e giuridici con i quali i popoli si proponevano di aprire una nuova pagina nella storia dell’umanità, ripudiare la guerra ed il genocidio e fondare la convivenza sulla cooperazione pacifica fra le nazioni. A questi strumenti si è aggiunta una mobilitazione generale delle coscienze che, dopo la bomba di Hiroshima, ha fatto sì che nascesse nell’opinione pubblica mondiale un forte tabù contro l’uso delle armi nucleari. Noi sappiamo che questo tabù ha funzionato. E’ stato proprio durante la guerra di Corea che i vertici militari e politici americani hanno programmato l’uso della bomba atomica per porre fine alla guerra, ma noi sappiano che questo progetto fu accantonato a cagione del tabù che si era formato nell’opinione pubblica, che interdiceva l’uso delle armi nucleari. Da allora si è fatto tutto il possibile per rimuovere il tabù, che nel tempo si è affievolito, sino al punto che oggi si considera come un evento naturale della politica il fatto che il contrasto con la Nord Corea possa sfociare in un conflitto nucleare.
Vero è che la corsa verso il nucleare della Corea, come di altri “Stati canaglia” trova la sua ragione nel fallimento del sistema di sicurezza collettiva delineato dalla Carta delle Nazioni Unite. Quando si è permesso agli Stati Uniti di aggredire l’Iraq per cancellare il regime di Saddam Hussein, la sicurezza collettiva non è stata più garantita dal diritto, che vieta il ricorso alla guerra, ma può essere assicurata solo dalla potenza delle armi. Il possesso di armi nucleari è diventato un atout per garantire la sopravvivenza a quegli Stati che non godono di buona salute nelle relazioni internazionali.
Tuttavia la stragrande maggioranza dei popoli della terra non ama le armi nucleari ed il messaggio di genocidio che esse esprimono. Per questo è di straordinaria importanza l’evento che si è verificato il 7 luglio di quest’anno quando la conferenza della Nazioni Unite ha adottato il testo di un Trattato per la messa al bando e la totale eliminazione delle armi nucleari. Il trattato è stato approvato da 122 Paesi (quasi due terzi dei membri dell’ONU), con un solo voto contrario (l’Olanda) ed un solo astenuto. Il tabù delle armi nucleari, che si è formato nell’opinione pubblica dopo la bomba di Hiroshima e che ha impedito sinora l’uso bellico delle armi nucleari, attraverso l’ONU, ha fatto uno straordinario passo avanti, perché si è trasformato in una vera e propria interdizione giuridica, in una delegittimazione radicale delle armi atomiche, che mira a liberare finalmente l’umanità dal ricatto e dalla minaccia di estinzione che deriva dalle armi nucleari. E tuttavia questo Trattato è stato osteggiato, non solo dalle potenze nucleari, che non vogliono rinunciare al loro privilegio, ma anche dai Paesi che, pure hanno aderito al Trattato di Non Proliferazione rinunciando a dotarsi di armi nucleari, com’è avvenuto per tutti i Paesi della Nato, che hanno perfino rifiutato di partecipare al negoziato, salvo l’Olanda, che ha votato contro.
Può sembrare utopistico l’obiettivo di impegnarsi perché tutte le Potenze nucleari firmino il Trattato di messa al bando, però non è utopistico pretendere che un Paese come l’Italia che, per Costituzione ripudia la guerra, aderisca al Trattato e rinunci ad accettare lo schieramento sul proprio territorio delle armi nucleari altrui. Tutti noi possiamo fare qualcosa per ripristinare il tabù delle armi nucleari. Visto che siamo alle soglie di una campagna elettorale in cui si preannunziano scontri vivacissimi fra le forze politiche in campo, questo è il momento di porre nel piatto della politica il tema del disarmo nucleare.
L’altro aspetto è il genocidio nei confronti del popolo dei migranti. Questa estate, grazie a delle scelte che sono state apprezzate da tutte le forze politiche, è stato creato una sorta di “Vallo Atlantico” nel centro del Mediterraneo, che impedisce quasi completamente ai migranti di esfiltrare dalla Libia. Qualche giorno fa l’Alto commissario Onu per i diritti umani ha dichiarato che la collaborazione tra UE e Libia per fermare il flusso di migranti è «disumana»., e ha poi aggiunto: «La politica dell’Unione europea di sostegno alla Guardia costiera libica perché intercetti i migranti e li consegni alle terrificanti prigioni in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità. Il sistema di detenzione per migranti è irrecuperabile: una situazione già disperata è diventata catastrofica».
Non si era ancora asciugato l’inchiostro delle dichiarazioni dell’Alto Commissario, che l’Italia non ha avuto alcun ritegno a ripetere l’oltraggio alla coscienza dell’umanità. Venerdì scorso la nave Aquarius della ONG Sos Méditerranée ha individuato due barconi in difficoltà in acque internazionali ma non ha potuto soccorrerli perché il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha ordinato di non procedere al soccorso e di restare in stand by in attesa dell’arrivo della Marina libica, che dopo quattro ore è intervenuta, ha catturato i migranti e li ha riportati nell’inferno libico.
In pratica questa politica tende a tracciare una linea di divisione dell’umanità, da un lato i sommersi (anche in senso materiale) e dall’altro lato i salvati. Alla base di questa politica c’è l’illusione che sia possibile tenere separato il nostro destino da quello degli altri popoli a noi vicini. Con i muri e l’esclusione cerchiamo di restare indifferenti al destino degli altri popoli che sono travolti da guerre, dalla fame e da altri disastri. Si tratta di un’illusione penosa, se una larga parte dell’umanità soffre per disastri di vario genere, questa sofferenza in qualche modo si trasferirà su di noi, non è possibile fermarla al confine. Del resto, ce lo insegna la Dichiarazione universale, i diritti dell’uomo o sono universali o non sono. Se noi riducessimo i diritti universali nei diritti dell’uomo bianco, avremmo creato una sorta di egoismo etnico, che può aprire la strada soltanto a conflitti sanguinosi e potenzialmente genocidi.
Domenico Gallo
I NOBEL: IL MONDO DIVENTI LA «PATRIA DEI POVERI»
Quattro premiati da Oslo per la Pace, personalità e attivisti chiedono il bando al nucleare, la tutela dei migranti e degli ultimi contro «i genocidi»
Angelo Picariello (dall’”Avvenire” del 30 novembre 2017)
Quattro premi Nobel a sostegno di un appello ancora poco conosciuto. Un invito a resistere «per un mondo non genocida patria di tutti patria dei poveri» presentato ieri alla sala stampa della Camera da Raniero La Valle, ultimo direttore dell’Avvenire d’Italia; da Domenico Gallo, magistrato di Cassazione; da Enrico Calamai ex console, noto come “lo Schindler di Buenos Aires” per aver messo in salvo più di 300 perseguitati dal regime militare argentino; dal giornalista Gianni Minà; da Grazia Tuzi, docente alla Sapienza e referente italiana del premio Nobel per la pace argentino, Adolfo Pérez Esquivel. È sua la firma numero uno a questo appello a far sì che «le Potenze nucleari simultaneamente firmino e attuino il Trattato dell’Onu per la interdizione delle armi nucleari». E affinché venga «riconosciuto e attuato il diritto universale di migrare e stabilirsi nel luogo più adatto a realizzare la propria vita». Uno «ius migrandi», da riconoscere come «uno dei primi “diritti naturali”».
La Valle si sofferma soprattutto sulle colpe e sulle assenze dell’Europa verso il popolo migrante al punto che, nonostante gli incessanti appelli di papa Francesco, si configura un vero e proprio genocidio. Gallo denuncia invece il silenzio intorno alla messa al bando da parte dell’Onu delle armi nucleari. Decisione del luglio scorso che vede ancora una volta in prima fila – in negativo – l’Europa, tiratasi fuori sin dalla fase della trattativa. Gli altri premi Nobel per la pace firmatari sono l’iraniana Shirin Ebady, la statunitense Jodi Williams e l’irlandese Mairead Corrigan-Maguire. Fra le adesioni quella di don Luigi Ciotti e della cantante Fiorella Mannoia. Sabato a Roma, al circolo Frentani, è in programma una manifestazione per pubblicizzare l’iniziativa e raccogliere nuove adesioni. Che possono essere date anche al sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it.
Angelo Picariello