CI SONO TRE MODI PER IMPUGNARE IL DECRETO “SICUREZZA”
È contro la Costituzione
CI SONO TRE MODI PER IMPUGNARE IL DECRETO “SICUREZZA”
Il giurista indica ai sindaci, alle Regioni e agli stessi stranieri colpiti nei loro diritti le strade per far giudicare illegittimo dalla Corte il decreto Salvini
Luigi Ferrajoli
Il rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza. Esso vale a svelare, del decreto, il carattere “disumano e criminogeno”, secondo le parole del sindaco Orlando. E rappresenta, finalmente, una forte presa di posizione istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo che per tutti coloro che non condividono lo statalismo etico e il gius-positivismo ideologico, cioè la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della morale sul diritto quale che sia, la disobbedienza civile alla legge palesemente ingiusta è un dovere morale, ovviamente al prezzo delle conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti.
Ma qui non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza. L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte alla Corte costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile. Esso è previsto nel corso di un giudizio, qualora il giudice ritenga la questione non manifestamente infondata e, inoltre, su iniziativa di una Regione, qualora essa ritenga che la legge statale o una sua parte invada la sfera delle sue competenze.
Ci sono pertanto tre strumenti di tutela dei diritti fondamentali che potranno essere utilizzati contro l’applicazione di questa legge disumana e immorale. Il primo è affidato all’iniziativa degli stessi migranti, i cui diritti sono dalla legge vistosamente lesi. Consiste nell’attivazione della procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile, secondo il quale “chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”. In questo caso il “provvedimento d’urgenza” che i migranti possono chiedere al giudice per opporsi alla minaccia di “un pregiudizio imminente e irreparabile” ai loro diritti fondamentali è precisamente l’eccezione di incostituzionalità che lo stesso giudice ha il potere di promuovere davanti alla Corte Costituzionale contro le norme del decreto che ledono o minacciano tali diritti, tutti costituzionalmente stabiliti.
Il secondo strumento è affidato all’iniziativa delle Regioni e richiede la deliberazione delle rispettive giunte regionali. E’ infatti indubbio che il decreto cosiddetto “sicurezza”, sopprimendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha trasformato decine di migliaia di migranti in clandestini irregolari, privandoli di fatto delle garanzie dei loro diritti fondamentali, a cominciare dai diritti alla salute e all’istruzione. Ebbene, sia l’istruzione che la tutela della salute, secondo il terzo comma dell’articolo 117 della nostra Costituzione, sono “materie di legislazione concorrente” tra Stato e Regioni. Le norme del decreto che direttamente o indirettamente incidono su tali materie appartengono perciò alla competenza legislativa, sia pure concorrente, delle Regioni. Non solo. L’assistenza sociale, che il decreto Salvini rende impossibile a favore dei migranti da esso ridotti allo stato di clandestini, è materia di competenza esclusiva delle Regioni: una competenza esclusiva ribadita più volte dalla Corte costituzionale, intervenuta in sua difesa con svariate pronunce (sentenze n. 300 del 2005; n. 156 del 2006; n. 50 del 2008; n. 124 del 2009; nn. 10, 134, 269 e 299 del 2010; nn. 40, 61 e 329 del 2011) contro le invadenze dello Stato. Di qui la legittimazione delle Regioni, prevista dall’articolo 127, 2° comma della Costituzione, a sollevare sul decreto Salvini la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 3 dicembre 2018. Ci sono ancora, in Italia, molte regioni governate da maggioranze democratiche, dal Lazio al Piemonte, dall’Emilia alla Toscana, dalle Marche alla Campania, dalle Puglie alla Calabria. La loro disponibilità a promuovere la questione davanti alla Corte costituzionale sarà il banco di prova di quanto, al di là delle parole, queste Regioni a guida democratica intendono prendere sul serio i principi costituzionali.
Infine c’è una terza via di accesso alla giustizia costituzionale, percorribile dagli stessi sindaci che hanno deciso di non dare applicazione al decreto Salvini. Oltre alla strada intrapresa dal sindaco Orlando – l’azione di accertamento, già sperimentata in materia elettorale, davanti al giudice civile perché questi chieda alla Corte costituzionale se la legge è conforme o meno alla Costituzione – i sindaci disobbedienti potranno, qualora i loro provvedimenti venissero annullati dai prefetti, impugnare gli atti di annullamento di fronte ai Tar, cioè ai tribunali amministrativi, e, in quella sede, proporre l’eccezione di incostituzionalità delle norme da essi ritenute incostituzionali.
Insomma, la battaglia in difesa della Costituzione è nuovamente aperta, grazie alla coraggiosa iniziativa dei sindaci antirazzisti. Ciò che ora occorre è una mobilitazione di massa a loro sostegno e a salvaguardia, di nuovo, della Costituzione della Repubblica, già difesa dal 60% degli elettori nel referendum costituzionale di poco più di un anno fa e oggi tradita dai nuovi governanti. Questa volta è in questione assai più della tenuta o della modifica delle regole formali sul funzionamento dei nostro organi di governo. Sono in gioco – direttamente – tutti i principi sostanziali della nostra democrazia: l’uguaglianza, la dignità delle persone, il rifiuto delle discriminazioni razziste, la solidarietà, i diritti fondamentali di tutti, la civile e pacifica convivenza.
Luigi Ferrajoli
LA COSCIENZA CRISTIANA FERITA DALLA LEGGE SUI MIGRANTI
I sindaci guidino la disobbedienza fino in fondo
Quelli che vogliono i crocifissi nelle scuole e in tutti gli edifici pubblici, quelli che esibiscono il rosario ed il Vangelo nei comizi sono gli stessi che brontolano contro papa Francesco perché parla di accoglienza nei confronti dei migranti, sono gli stessi che hanno dato uno schiaffo alla civiltà ed uno strappo alla nostra Costituzione con la legge “Sicurezza ed Immigrazione”.
Ma sta prendendo piede l’ipotesi della disobbedienza civile e dell’obiezione di coscienza di fronte agli effetti perversi della legge entrata in vigore come messaggio di “fraternità” alla vigilia di Natale. Tanti sindaci, consapevoli delle loro responsabilità, sono protagonisti di iniziative in questa direzione.
La strategia di alimentare e di creare paura verso i migranti e verso il “diverso” inizia a mostrare i suoi limiti. Molte realtà di base del mondo cattolico si stanno impegnando a favore di chi sarà penalizzato dalle nuove norme. E tutte le strutture della Chiesa, nessuna esclusa a partire dai vescovi e dai preti, in nome dell’universalismo cristiano, devono mobilitarsi, il silenzio non è tollerabile. Il quotidiano cattolico ha iniziato a farlo.
La destra “cattolica” che parla sempre con passione di “valori non negoziabili” a difesa della vita (ma gli “altri” sarebbero a favore della morte?) dica se sia negoziabile o sopportabile l’offesa che questa legge fa al bene comune e al precetto evangelico di accogliere lo “straniero”. Facciamo questa domanda da quando abbiamo saputo che il ministro Salvini è stato invitato ed accolto con “entusiastico consenso” all’assemblea nazionale del Forum delle Associazioni Familiari tenutasi a Roma il 24 novembre. Le centinaia di piccole e grandi associazioni che aderiscono al Forum, i loro aderenti e i preti che le animano sono tutti d’accordo?
Vittorio Bellavite
coordinatore di Noi Siamo Chiesa